domenica 27 aprile 2014

Orazio Congedo, ‘padre amorevolissimo delle orfanelle’

Noha - La Trozza


"Raro esempio di amore del prossimo" e "padre amorevolissimo delle orfanelle": questi gli appellativi indelebilmente incisi nel marmo, con i quali il 14 luglio 1886 la Congregazione di Carità di Galatina, che gestiva l’Ospedale e l’Orfanotrofio della Città, ha trasmesso ai posteri il ricordo di Orazio Congedo, nato a Galatina il 27 agosto 1793 da Giuseppe e Francesca Congedo. Egli, dopo aver frequentato le Scuole Pie di Campi e completato gli studi secondari nel Collegio dei Gesuiti di Lecce, s’iscrisse all’Università di Napoli, dove si laureò poi in Giurisprudenza.

Giovanissimo, in qualità di avvocato, si dedicò gratuitamente all’assistenza legale dei contadini che trovavano  difficoltà nell’affrancamennto dei propri campi dai vincoli della feudalità, abolita dai re napoleonidi, Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, nel 1° quindicennio dell’800.

Il 12 luglio 1834, per espressa decisione del Governo Borbonico, i beni dell’ex Università degli studi di Castro, rappresentati dalle proprietà degli ex conventi di Andrano, Marittima e Poggiardo e dalla somma di ducati 2880,70 in Titoli di Debito Pubblico, furono consegnati alla Commissione Amministrativa delle Scuole di Galatina, costituita dal sindaco Diego Mongiò, dai deputati Giuseppe Papadia e Giacinto Leuzzi e da Orazio Congedo, in qualità d’invigilatore. E’ evidente che l’opera di quest’ultimo era essenziale nello svolgimento dei molteplici compiti di detta  Commissione, che andavano dall’amministrazione del patrimonio all’impianto e gestione delle scuole, dal reperimento e l’assunzione dei docenti alla vigilanza sull’andamento didattico–disciplinare delle scolaresche.

Purtroppo, nonostante il generoso impegno del Nostro, il funzionamento delle scuole, iniziato nel 1836, per circa 18 anni andò avanti stentatamente per mancanza di metodo, di cura e di continuità didattica, dovuta alla irreperibilità di buoni  maestri .

Per questo le Autorità municipali, verosimilmente sollecitate dall’invigilatore Orazio Congedo, presto si convinsero dell’opportunità di affidare la direzione e l’insegnamento delle scuole a Religiosi dediti all’istruzione e all’educazione della gioventù.

Le trattative con i Padri delle Scuole Pie, presso i quali, come già detto, il Nostro aveva compiuto i suoi primi studi, furono già intavolate  nel 1839, ma non ebbero seguito, perché il Municipio, mentre da un lato aveva per le scuole le necessarie risorse finanziarie, dall’altro non  disponeva di un edificio con annessa chiesa aperta al pubblico, come richiesto dagli Scolopi. Solo nel 1850 ci fu finalmente la  possibilità di disporre di un siffatto stabile, perciò nell’ottobre del 1853, previo regio assenso del 26 agosto u.s., furono aperte al pubblico le Scuole Pie a Galatina.

Il carattere generoso e mite e la solida preparazione culturale, maturata sia con lo studio del diritto che con quello di lettere e filosofia, portavano Orazio Congedo a dire ai giovani studenti: “…A nulla approda ammaestrar l’intelletto, lasciando da parte il cuore; anzi l’educazione del cuore e l’istruzione, specchiando in sé l’unità indivisibile dello spirito, ove procedano discongiunte, offendono qualunque manifestazione dello spirito in ordine al pensiero e all’opera”.

Negli anni quaranta dell’800 il Nostro aderì alla “Carboneria”, partecipando alla fondazione della “vendita carbonara dei Bruti”, ma presto se ne distaccò, non intendendo compromettere con la cospirazione politica i propri amici. Si dedicò, quindi, a tempo pieno alle opere di carità, sull’esempio dell’amato fratello Gaetano, insieme al quale fece dono agli abitanti della borgata di Noha dell’orologio pubblico di piazza S. Michele e della cosiddetta “trozza”, pozzo artesiano profondo circa 90 metri, dotato di un grandioso puteale in pietra leccese: su un lato di questo campeggia lo stemma della famiglia Congedo, mentre sul lato opposto è incisa l’iscrizione “HAURIAR  NON  EXAURIAR” (disseto, non mi esaurisco), a significare che i donatori avevano inteso alleviare la scarsezza di acqua nell’abitato della borgata, situato in zona rocciosa e quindi privo di pozzi alimentati dalla falda acquifera superficiale.

Il governo del neonato Regno d’Italia, nell’intento di organizzare con criteri unitari la pubblica assistenza e beneficenza, emanò il 3 agosto 1862  la “legge sull’amministrazione delle Opere Pie”, che istituiva in ogni Comune la Congregazione di Carità (C.d.C.). Scopo di questa era l’amministrazione dei beni  destinati a  favore dei poveri e la distribuzione dei soccorsi. Essa, quindi a Galatina era preposta alla gestione dell’Ospedale, dell’Orfanotrofio e dell’erigendo Monte dei Pegni, per il quale Gaetano Congedo nel 1859 aveva disposto un lascito di 1000 ducati.   La C.d.C. fu operativa dal 1° gennaio 1863 sotto la presidenza di Orazio Congedo, la cui elezione  fu accolta con grande soddisfazione dai galatinesi, che di lui apprezzavano il carattere mite, la religiosità, la solida formazione culturale e soprattutto la totale disponibilità a pubbliche e private elargizioni a beneficio dei bisognosi. A tal proposito Egli,  a quanti  gli proponevano di aumentare e migliorare il proprio patrimonio, era solito rispondere: “…ma non sapete che le mie rendite sono dei poveri e che non ho il diritto di spenderle per me?

Orazio Congedo come pubblico amministratore operò con grande saggezza, avendo cura di evitare tutte le occasioni che avrebbero potuto creare pericolose controversie. Contrario ad ogni forma di spreco, fu molto impegnato a migliorare le risorse delle Opere Pie, a cui era preposto.     

Egli, molto attento nel ridurre i disagi della permanenza degli infermi nell’ospedale e delle orfanelle nell’istituto “Madonna della Purità”, già nei primi tempi di presidenza fece adottare provvedimenti significativi, anche se apparentemente di poco conto, come per esempio:
-          l’aggiunta del suono dei quarti d’ora all’orologio interno del nosocomio;
-          l’installazione “ne’cessi de’saloni degl’infermi di vasi inodori e di doccioni”;
-          l’acquisto di una bagnarola in rame e della stufa per riscaldarne l’acqua, necessarie per l’igiene e la cura e degli ammalati;
-          l’acquisto di una portantina per il trasporto degli infermi;
-          l’edificazione accanto al pozzo dell’Orfanotrofio di un locale idoneo sia per installarvi le “pile”, in cui lavare i panni, sia per costruirvi un “novello focolare” al fine di rendere meno penose le operazioni del bucato.

Più volte confermato nell’incarico di presidente della C.d.C., il Nostro fece approvare per l’Orfanotrofio lo “statuto organico”, che rispetto ai precedenti regolamenti conteneva::
-          il riferimento alla donazione fatta da lui stesso affinché fosse aumentato di tre unità il numero delle orfane ospitate;
-          il riconoscimento ad ogni orfana del diritto a due terzi (e non come prima ad  un solo terzo)  del frutto del lavoro effettuato dalla stessa dopo il compimento del 15° anno di età, al fine di potersi formare una dote di lire ottantacinque per quando sarebbe passata a marito;
-          il dichiarato dovere degli amministratori a salvaguardare “il danaro del povero”.

Egli anche per l’Ospedale, per il quale non esisteva un documento che ne regolasse dettagliatamente il funzionamento, promosse l’approvazione dello “statuto organico”, determinando con questo anche il superamento del carattere promiscuo dell’Istituto. Infatti, mentre in passato avevano sempre goduto dell’hospitalitas sia gli anziani indigenti che gl’infermi bisognosi di cure, invece l’art.2 dello “statuto organico” disponeva testualmente che il nosocomio aveva lo scopo:“1° di accogliere e curare gli infermi poveri;2° Di somministrare gratuitamente medicinali agli altri ammalati poveri del Comune; 3° Di sussidiarli ancora con razioni di vitto a domicilio quando il bisogno richiede.

L’ex casa Scalfo, sede dell’Orfanotrofio, a parte due saloni, aggiunti a partire dal 1863 per iniziativa della Superiora delle Figlie della Carità, era rimasta pressoché inalterata per oltre 75 anni. Ma dopo il 1873, sempre su proposta di Orazio Congedo, andò assumendo sia nelle dimensioni che nell’aspetto la grandiosità architettonica che tuttora è possibile constatare.

L’ampliamento, progettato dall’arch. Fedele Sambati, fu dato in appalto per  le opere murarie al costruttore Marino Mangia, al quale furono poi corrisposte in totale lire 10.381. Questa e le altre somme, necessarie al completamento dell’opera, erano state ricavate esclusivamente dalla vendita del prodotto degli oliveti di proprietà dell’Istituto, sebbene nella seconda metà del XIX secolo, a causa della crisi degli affitti,  frequentemente venivano alienati non pochi poderi. Ma il ricavato di tali vendite veniva investito dalla C.d.C. in Rendita Pubblica, poiché il presidente Congedo sosteneva con fermezza che il relativo importo faceva parte del patrimonio dell’Istituto, i cui frutti erano destinati al sostentamento delle orfane.

L’art.6 dello Statuto dell’Ospedale prevedeva fra l’altro che non potevano esservi ricoverati ammalati cronici. Tuttavia da tempo le Figlie della Carità avevano ricoverato e sostenuto con proprie  economie  cinque di tali infermi. Questo comportamento esemplare delle Suore indusse Orazio Congedo a programmare la donazione al Nosocomio di una rendita annua di lire 1000, che egli possedeva nel Gran Libro del Debito Pubblico, affinchè si provvedesse in perpetuo alla cura di cinque ammalati cronici. Secondo il Codice Civile per tale elargizione era necessario un  atto notarile del donante, da farsi però dopo l’accettazione del donatario (cioè dell’ ospedale), anche questa fatta con atto pubblico.

In occasione della riunione della C.d.C. del 13 giugno 1880 il Nostro informò i convenuti del proprio proposito, ottenendone unanimi  complimenti e sinceri ringraziamenti. La notizia fu regolarmente verbalizzata, ma ciò non significava che fosse già avvenuta la donazione, per la quale erano necessari i due sopraccitati atti pubblici. Ma non fu dello stesso parere  un Ispettore del Registro, il quale, letto il verbale, ingiunse all’Ospedale il pagamento della tassa di registro, della doppia tassa per mancata denunzia della donazione, nonché della  penalità per mora.

L’assurda presa di posizione dell’Ispettore provocò un’interminabile vertenza, nella quale a vario titolo furono coinvolti l’Intendente di Finanza della Provincia, il Ministro Guardasigilli, il Ministro delle Finanze e anche la Deputazione Provinciale di Terra d’Otranto.
Con l’intervento del Guardasigilli la donazione in questione fu regolarmente stipulata il 22 giugno 1882, ma la controversia con gli Uffici Finanziari per la cancellazione  delle penalità durò quasi fino alla fine del 1883.

Però successivamente la stessa donazione  non fu immediatamente utile agli ammalati cronici, perché si rese necessaria  la modifica dell’art. 6 dello Statuto, il cui 3°comma vietava il ricovero nell’Ospedale degli affetti di malattie croniche o contagiose  o da sifilide. Per ovviare a questo inconveniente il Comune doveva ottenere dall’ Autorità Tutoria detta modifica. Purtroppo, dopo uno scambio epistolare tra la Prefettura e il Comune e tra quest’ultimo e la C.d. C., durato fino a tutto il 1884, ciò non avvenne. In seguito per oltre tre anni e mezzo nulla fu fatto, mentre in successione ben 4 assessori fungevano da sindaco. Il 14 luglio 1888 Raffaele Papadia, sindaco in carica dal gennaio 1886, tornò sull’argomento, ma soltanto dopo un ulteriore scambio epistolare durato altri nove mesi, con delibera approvata il 31 maggio 1889 dal Consiglio Comunale (quando era sindaco Pasquale Micheli), e poi confermata dalla Giunta Provinciale Amministrativa, si pervenne alla seguente modifica statutaria: “Nell’Ospedale saranno soltanto ammessi gli infermi di malattie acute e non contagiose, né sifilitiche. Non di meno si terranno in perpetuo e senza interruzione cinque poveri affetti da malattie croniche ai sensi della donazione del fu Orazio Congedo, rogata dal notaio Pietro Garrisi il 22 giugno 1882.

Trascorsero dunque ben nove anni prima che le risorse della donazione Congedo fossero utilizzate a favore dei poveri ammalati cronici. Purtroppo ciò avvenne quando il generoso Donatore era morto da circa tre anni, il 13 luglio 1886, dopo aver trascorso i suoi ultimi sei anni di vita nell’amarezza, provocatagli dalla gretta incomprensione di pubblici funzionari, dalle lungaggini della burocrazia e dalle omissioni degli amministratori comunali, che in successione avevano ostacolato la solidarietà verso gl’indigenti, che era stata l’habitus della sua lunga vita. Orazio Congedo fu rimpianto da tutti i galatinesi e onorato con lapide nel vecchio Ospedale e nell’Orfanotrofio e con l’intitolazione della strada che, partendo dall’angolo nord-est di piazza S. Pietro, s’inoltra verso est nel centro storico. Al n. 29 di questa  c’è  il grande palazzo (gravemente manomesso e lottizzato), nel quale il Nostro nacque e visse per 93 anni.  

Pietro Congedo

lunedì 14 aprile 2014

I Castriota Scandembergh, duchi di Galatina




Alcuni anni fa ho cercato di consultare presso la biblioteca “P. Siciliani” di Galatina  un estratto dalla ‘Rivista Storica Salentina’del luglio 1903, costituito di 32 pagine della stessa (da p.152 a p.183), nel quale è riportato un saggio di Umberto Congedo[1], intitolato appunto ‘I Castriota Scandembergh / Duchi di Galatina (1485 – 1561).  Allora, però,  non mi fu possibile  portare a termine detta consultazione, poiché da quel fascicolo era stato asportato il foglio centrale, causando un salto di quattro pagine, e precisamente dalla p.19 alla p.22 (corrispondenti alle pp. 167-170 della rivista). Ovviamente non si sa chi sia stato l’autore del “misfatto”, avvenuto verosimilmente in tempi remoti.

Mi sono, quindi, domandato: perché  lo sconosciuto lettore ha sottratto il suddetto foglio, mutilando il testo del saggio? Forse vi ha trovato qualcosa di molto interessante?   
Per avere una risposta sarebbe bastato consultare la suddetta ‘Rivista Storica Salentina’, la quale, purtroppo, non era però a portata di mano, in quanto mai posseduta dalla “Siciliani”.

Ultimamente, essendo stata istituita presso la Biblioteca Comunale di Galatina una Mediateca, c’è la concreta possibilità di consultare pubblicazioni del passato, purché i loro contenuti siano stati registrati in appositi file.
Pertanto qualche settimana fa la solerte addetta alla Mediateca, sig.ra Beatrice Ghezzi, nel giro di qualche minuto, coadiuvata dal collaboratore distributore della biblioteca, Donato Grandioso,  mi ha potuto fornire il testo completo del lavoro di Umberto Congedo. 

Così ho appurato che il foglio sottratto contiene, fra l’altro, quanto segue[2]:

« […] A  poco a poco colla violenza e colla paura il duca avea tolto ai Galatinesi tutti i loro antichi privilegi. Si era intromesso nell’amministrazione della giustizia da una parte assicurando l’impunità ai delinquenti che potessero pagarla, dall’altro incarcerando…e  torturando i cittadini nelle prigioni del castello, accusandoli  ingiustamente di trasgredire alle leggi di pubblica sicurezza…, estorcendo da loro onerosi pagamenti per spese processuali. Ai cittadini imponeva gravami di ogni sorta: li reclutava come soldati […] toglieva loro ogni libertà ed ogni indipendenza nella elezione dei propri magistrati […]. Le tasse e i balzelli si riscuotevano a beneplacito del duca riguardo al tempo ed alla quantità, approfittando di tutto perfino del denaro destinato dall’Università al Capitano della stessa corte ducale. La proprietà privata era in tutto manomessa: i cittadini  dovevano aprir le loro case ed alloggiare chi al duca piacesse; non potevano tutelare le proprie possessioni dalle mani avide dei dipendenti del duca, che allegerivano ai contadini le fatiche della raccolta, e dal pascolo abusivo delle greggi ducali […]. 

I Galatinesi dopo una prima ribellione piegarono il capo, ma, ridotti agli estremi, lo risollevarono se non colla violenza col reclamare i loro diritti […], ottenendo capitoli che il duca giurò di rispettare  e permise che su di essi cadesse il sugello della reale approvazione.[…].  Eppure con quei capitoli, sanzionati dal vicere, con diploma del 14 agosto 1514, i Galatinesi avevano rinunziato, pur di vivere in pace, a non pochi dei loro privilegi.
Ma le buone intenzioni del duca, se pur mai n’aveva avute, durarono poco; e le prime  avvisaglie si ebbero in due liti dello stesso con i frati olivetani custodi e gerenti dell’Ospedale di S.Caterina: la prima per la riscossione delle tasse fiscali, la seconda  per la giurisdizione di tre  casali. 

La prima fu risolta … da un ordine di Ferdinando il Cattolico, dato il 25 ottrobre 1515, col quale proibiva  al duca di S. Pietro in Galatina l’esigere le funzioni fiscali delle terre feudali dello spedale di S. Caterina […].
La seconda lite, relativa alla grave prevaricazione ai danni del nosocomio riguardante l’amministrazione della giustizia sia penale che civile, che il duca esercitava senza averne titolo nei casali di Aradeo, Bagnolo e Torrepaduli, percependone i diritti.
La giurisdizione criminale su detti casali, essendo stata un diritto degli Orsini del Balzo, dopo l’estinzione della loro casata era passata a Ferrante I d’Aragona e quindi alla corona di Napoli. Spettava dunque al re di Napoli pro tempore amministrarla direttamente o assegnarla a un feudatario. Invece il duca non solo se ne era di fatto appropriato durante la guerra franco-spagnola, ma tendeva anche ad invadere il campo della giustizia civile, che tradizionalmente era amministrata dalla curia cateriniana.

Nel 1515 il Capitolo degli Olivetani avea chiesto a Ferdinando il Cattolico che nei tre casali suddetti il Monastero potesse eleggere ogni anno due magistrati per amministrar la giustizia; uno di questi approvato dal duca dovesse risolvere (per conto del medesimo) le cause criminali, mentre l’altro avrebbe amministrato per conto dell’Ospedale S. Caterina la giustizia civile che, come disposto dal sovrano, comprendeva ogni reato che non comportasse la pena di morte o di mutilazione di membra.

Ma gli stessi Olivetani, temendo nuove prevaricazioni del duca, nel 1530 acquistarono da lui i diritti della giurisdizione criminale, cedendogli in cambio il feudo non abitato di Petrore.
Intanto nel 1518 il sindaco di Galatina, Giorgio Mori, si era recato in Spagna per domandare alle loro Maestà, Carlo V e Giovanna, con alcune nuove concessioni la ratifica dei patti stabiliti tra Galatina e il duca. Questa richiesta fatta direttamente ai Sovrani e non al Vicerè  prova che il duca  non era molto proclive a mantenere i patti […].
Infatti non passò molto e li violò così apertamente e con tanto danno, che Galatina ricorse al vicerè, e mandò a Napoli a patrocinar la sua causa Marcantonio Zimara e Pietro Vernaleone. Il vicerè Carlo di Mannoja spedì a Galatina Carlo della Noa per inquisire sui soprusi e sulle iniquità del duca. Lo accolsero i Galatinesi come liberatore, ma gli intrighi e il denaro del (duca) finirono coll’aver ragione.
Dopo la pestilenza del 1528 scoppiò la guerra tra Francia e Spagna e familiari del duca  di Galatina, con proprie truppe, parteggiarono attivamente a favore della seconda contribuendo al recupero di tutte le terre e città della Provincia alla divotione di Carlo V. Tale avvenimento, aumentando la benevolenza dell’imperatore per la famiglia ducale, finì con l’accrescere la superbia e la crudeltà del  duca. “Costui, scrive il Papadia (a pag. 20 delle sue Memorie storiche della città di Galatina nella Japigia Napoli, 1792), seguiva a carcerare i Galatini dentro il sotterraneo ed oscuro fosso; sacrificò alle sue vendette il nobile cittadino Bernardino Morrea, intrepido difensore della patria, si abbandonò alla dissolutezza e strappò dal seno di alcune famiglie molte fanciulle di cui abusò, e prese in prestito varie somme dell’università senza mai restituirle.” Perciò l’Università di Galatina presentò al sovrano un nuovo ricorso, che comunque non fu  l’ultimo.» 
Umberto Congedo a conclusione del suo saggio afferma: Dell’ultimo periodo della dominazione di Ferdinando Castriota [ovvero del duca più volte citato] nulla sappiamo: forse al leone invecchiato caddero gli unghioni laceratori? Ai 27 dicembre del 1561, fortunatamente senza prole maschile, moriva il Duca crudele e gli succedeva nel dominio la (bellissima) figlia Irene, moglie a Pietro Antonio Sanseverino principe di Bisignano.
Nonno del duca Ferdinando Castriota fu Giorgio Castriota Scanderbegh (1403 – 1468), invitto difensore della libertà dell’Albania, il quale durante una tregua della sua continua lotta contro i Turchi venne in Italia per aiutare il re di Napoli, Ferdinando d’Aragona, nel conflitto con Giovanni d’Angiò. Per questo nel 1464 il sovrano compensò il Castriota donandogli i feudi pugliesi di Monte Sant’Angelo e S.Giovanni Rotondo.
Giorgio morì di malattia nel 1468 mentre difendeva Croia, la città albanese di cui era signore, assediata dai Turchi. Sua moglie Andronica e il figlio Giovanni, dopo la caduta di detta città, si trasferirono nel Regno di Napoli e quindi nei propri feudi del Gargano. Di questi feudi, però, nel 1485 re Ferrante richiese la restituzione, concedendo in cambio la Contea di Soleto e S. Pietro in Galatina, la quale aveva una rendita annua di 1800 ducati ed era  tornata al regio demanio.
Giovanni Castriota al titolo di ‘Conte di Soleto’ preferì quello di ‘Duca di S. Pietro in Galatina’. Ma la Città, che dal 1879 godeva i benefici della demanialità, accolse il nuovo feudatario con  ostilità tale da richiedere l’intervento del Re, il quale, dopo aver costretto con la forza i galatinesi a riconoscere il Duca, li condannò a pagare all’erario una multa di 8.000 ducati, poi dimezzata.
Dal canto suo Giovanni Castriota esercitò il suo potere con ogni sorta di vessazioni nei confronti dei sudditi. Ma suo figlio Fedinando, che gli succedette intorno al 1505, “…fu più fiero e feroce del padre, la sua gigantesca figura e il suo terribile aspetto annunziavano il carattere del suo temperamento e delle sue inclinazioni. Superbo, fiero, crudele e dissoluto altra regola non conobbe, che i suoi piaceri e il suo vantaggio…” (v. Baldassar Papadia, o. c., p.20).   
Ai coniugi Pietro Antonio Sanseverino e Irene Castriota succedette il figlio Nicolò Bernardino, che morì senza eredi nel 1606, per cui il ducato di Galatina tornò alla regia Corte.

Pietro Congedo

[1] Umberto Congedo è stato il 1° professore di lettere italiane, latine e greche del Liceo di Galatina, istituito con funzionamento graduale a partire dall’a.s. 1898– 99 con delibera del Consiglio Comunale n.70/2 settembre 1898, approvata dal Consiglio Provinciale Scolastico il successivo 1° ottobre.

[2] Solo i brani scritti in corsivo sono testuali del saggio di Umberto Congedo.