lunedì 2 gennaio 2017

GALATINESI ILLUSTRI DEI SECOLI XIX E XX





Passato e presente di Galatina 

  L’Umanista Antonio De Ferraris (1444 – 1525), detto il Galateo in quanto nato a Galatone, nella sua opera “De situ Japygiae” afferma che Galatina nel ‘500 era un paese dal bel profilo urbanistico divenuto grande emporio ortofrutticolo, in quanto situato al centro (in umbilico) della penisola salentina. 
Detto paese il 24 agosto 1792 ottenne il titolo di “città” da parte del re di Napoli Ferdinando IV di Borbone, al quale erano stati presentati (come per legge) tre esemplari del libro “Baldassare Papadia, Memorie storiche della citta di Galatina nella Japigia, Napoli, MDCCXCII”. 

Nel presente scritto vengono presentati Orazio Congedo, Giustiniano Gorgoni, Vito Vallone, Ippolito  De Maria, Sante De Paolis, Beniamino De Maria, Domenico Galluccio e Donato Moro, ossia otto  personaggi illustri, appartenenti alle generazioni  di galatinesi che nei secoli XIX e XX , operando saggiamente assicurarono alla propria patria un notevole sviluppo agricolo–industriale, servizi idonei a rendere serena la vita degli abitanti e una rappresentanza qualificata in seno a tutti i consessi nazionali, ossia quelli che sono i requisiti essenziali di una vera URBS.

Lo sviluppo agricolo-industriale di Galatina ebbe una crescita esponenziale a partire dagli ultimi decenni dell’800, quando per il commercio fu possibile avvalersi delle Ferrovie dello Stato, la cui tratta Lecce – Gallipoli venne inaugurata nel 1881.
Fu allora che alla miriade di palmenti per la lavorazione delle uve sparsi nell’abitato, si aggiunsero i grandi stabilimenti vinicoli costruiti nei pressi della stazione ferroviaria, tra i quali c’era quello della S.A. Fratelli Folonari, che all’epoca era il più grande d’Europa  ed era stato costruito su suolo donato dal Comune. Lo stesso fu poi acquistato dalla S.A, Distillerie Italiane, diventata nel 1939 Società Italiana Spiriti (S.I.S.), e fu per i  galatinesi “la distilleria”,  presso la quale, oltre a numerosi operai, lavoravano anche impiegati forniti di diploma o di laurea.
Dalla stazione ferroviaria di Galatina durante tutto l’anno partivano per varie destinazioni vagoni cisterna pieni di vino o di alcool. Dalla stessa in primavera venivano spediti in Germania, vagoni di patate “sieglinde”, dette  “patate di Galatina”, le quali erano prodotte in grande quantità sia dagli agricoltori galatinesi che da quelli dei paesi vicini. 

Intorno al 1950 numerosi viticoltori, riuniti in cooperativa, costituirono la “Cantina Sociale di Galatina” in viale Ionio, a ridosso della ferrovia, che lavorava annualmente oltre 50mila quintali di uve.

Dopo la prima guerra mondiale a Noha, frazione di Galatina, per iniziativa di  Giuseppe Galluccio sorse la S.A.L.P.A. (Società Anonima per la Lavorazione dei Prodotti Agricoli), la quale lavorava sia le uve che altri prodotti, tra cui le mele cotogne per la fabbricazione della cotognata. La S.A.L.P.A. produceva anche il “brandy Galluccio”.

A Galatina,  accanto alle industrie alimentari, prosperava anche la concia delle pelli, per la quale già nel 1855 esistevano 25 botteghe artigiane. Sorse poi, alla metà del ‘900, lo stabilimento conciario dei Fratelli Marrocco, che con le sue 10 vasche modernamente attrezzate era uno dei più importanti della Puglia.

Altra fiorente industria galatinese era quella della prima lavorazione dei tabacchi orientali (Xanta Yakà, Perustitza ed Erzegovina) e nelle sedici Concessioni speciali   (dette comunemente  “fabbriche”) nel solo 1938 furono lavorati 50mila quintali di prodotto, impiegando  operaie (dette tabacchine) per un totale di 350mila giornate lavorative.

Infine nel 1956 entrò in funzione per iniziativa di Giovanni Fedele un cementificio che fu denominato appunto “Fedelcementi”. 

Per quanto riguarda i servizi bisogna innanzitutto considerare che l’antichissimo Ospedale S. Caterina,  continuamente ingrandito e potenziato,  divenne uno dei più completi ed efficienti nosocomi del Salento e nel 1966 fu trasferito in una nuova e  grandiosa sede.
Inoltre aumentarono gli istituti scolastici cittadini, in quanto all’antico glorioso Liceo-Ginnasio “P. Colonna” vennero aggiunti l’Istituto Tecnico Commerciale nel 1947-48 e nei decenni successivi gli Istituti professionali maschile e femminile, l’Istituto Magistrale e il Liceo Scientifico. 
In citta c’erano già sia la Pretura che gli Uffici del Registro e delle Imposte dirette. 

La rappresentanza  galatinese  in Parlamento nazionale e nel Consiglio provinciale non mancò mai  nel XX secolo. Infatti, mentre nei primi due decenni l’ing. Antonio Vallone era stato deputato repubblicano nel Regno d’Italia in due legislature, il 2 giugno 1946 con la proclamazione della Repubblica entrarono a far parte dell’Assemblea Costituente Beniamino De Maria e Luigi Vallone di Antonio.
Quindi Galatina  ha dato alla Nazione due Padri Costituenti, onore questo che possono vantare solo pochissime città italiane.
Inoltre gli stessi  De Maria e Vallone nelle elezioni del 18 aprile 1948  entrarono a far parte della Camera dei Deputati e in seguito Beniamino De Maria venne rieletto deputato per altre cinque legislature, mentre il notaio Mario Finizzi fu eletto senatore nel 1968.
L’avv. Alberto Bardoscia fece più volte parte  del Consiglio Provinciale, per il quale  in tempi diversi e per una sola volta vennero eletti Biagio Chirenti e Donato Moro.  

Nel 1949, quando era sindaco Luigi Vallone, venne istituita la cosiddetta “Mostra Mercato” che aveva luogo negli ultimi giorni del mese di giugno in concomitanza della festa patronale dei SS. Pietro e Paolo. Sede della stessa fu per alcuni anni l’edificio scolastico di piazza Fortunato Cesari, ma in seguito fu realizzato in via Ippolito De Maria il Quartiere Fieristico, che divenne sede di importanti eventi commerciali organizzati dal cosiddetto “Ente Fiera di Galatina e del Salento”.     

Qualche autore nel 1956, in occasione dell’inaugurazione dello stabilimento della “Fedelcementi” affermò solennemente che era iniziata per Galatina l’era dell’Industria moderna. 
Ma in effetti alla fine del ‘900, mentre si sviluppava l’industria del cemento si andavano riducendo o addirittura cessavano alcune attività e produzioni.

Infatti:
- la patata sieglinde, non veniva più coltivata per l’esportazione a Galatina e dintorni, ma era prodotta in abbondanza nei Comuni di Alliste e Racale, i quali hanno poi addirittura ottenuto per la stessa la denominazione di origine protetta “patata di Galatina”; 
- la produzione di uve si era da tempo ridotta al punto che erano stati definitivamente chiusi gli stabilimenti vinicoli vicini alla stazione ferroviaria, insieme alla distilleria della S.I.S., alla Cantina Sociale Cooperativa e alla S.A.L.P.A. , mentre  i due moderni stabilimenti, “Valle dell’Asso” e “Santi Dimitri” vinificavano solo uve prodotte in vigneti degli stessi proprietari;
- da tempo erano anche cessate definitivamente sia la produzione che la prima lavorazione dei tabacchi orientali;
- attualmente  in territorio galatinese si producono quasi esclusivamente angurie, cavoli, rape e cicorie, quindi non si può neppure dire che vi sia un “grande emporio ortofrutticolo”, come scriveva il Galateo nel ‘500.  

Da decenni l’Ufficio del Registro e quello delle Imposte Dirette sono stati soppressi, ma non sono stati rimpiazzati da un ufficio dell’Agenzia delle Entrate, perciò i galatinesi devono recarsi a Lecce o a Maglie per il disbrigo delle pratiche fiscali.
Il Tribunale e l’Ufficio del Giudice di Pace, che a suo tempo avevano rimpiazzato la Pretura, sono stati soppressi per effetto del D. Lgs. 155/2012, quindi i galatinesi devono recarsi a Lecce per ogni problema o pratica di carattere giudiziario. 
Nel quartiere fieristico Fiera Campionaria da molti anni non è  più effettuata, mentre nel febbraio 2016 il Tribunale civile di Lecce ha dichiarato fallito l’Ente Fiera di Galatina e del Salento.

La Fondazione Agnelli, che dal 2008 si occupa delle scuole italiane col suo progetto “Eduscopio.it / confronto scelgo studio”, per 2016, riferendosi alle scuole secondarie superiori, da cui provengono gli studenti di Lecce e Provincia che conseguono i migliori risultati all’università, ha appurato che per nessun tipo di scuola Galatina è al primo posto. Infatti il Liceo Classico “P. Colonna” è il 2° di dieci, il Liceo Scientifico “A. Vallone” è il 5° di tredici, il Liceo Scienze Umane “P. Colonna” è il 2° di sette, il Liceo Linguistico “A. Vallone è il 5° di sei, l’Istituto Tecnico-economico “M. La Porta è l’8° di nove.

 L’Ospedale di Galatina, fondato nel 1401 da Raimondello Del Balzo Orsini, nel corso della sua plurisecolare esistenza ha avuto non pochi periodi di crisi, che però ha sempre superato, diventando nella seconda metà del ‘900 (come già accennato) il più importante  del Salento. Invece attualmente lo stesso si trova in un irreversibile stato di crisi, in quanto la Regione Puglia lo ha declassato ad “ospedale di base”, collocandolo quindi al minimo livello previsto per i nosocomi regionali. 
Nel recente riordino poi dei presidi di base, il Santa Caterina Novella, mentre ha ottenuto l’attivazione della lungodegenza e il raddoppio della geriatria, ha perduto del tutto l’area chirurgica. Quindi le sale operatorie che a suo tempo ospitarono per decenni il prof. Vincenzo Carrozzini, vero genio del bisturi, sono state chiuse per sempre.

Il giornalista, che sul n. 20 / 9 dicembre 2016 del quindicinale “il galatino” ha dato la notizia dell’attuale stato del “Santa Caterina Novella”, ha aggiunto “Questo è il risultato riservato a chi, a livello regionale, conta nulla”, riferendosi chiaramente al fatto che la rappresentanza galatinese in seno ai pubblici consessi, già abbondantemente presente e qualificata nel secolo XX, è da tempo del tutto scomparsa. Peraltro nelle penultime elezioni per il Consiglio provinciale, il tentativo di eleggervi un galatinese è fallito miseramente per la velleità dei candidati che si presentarono in ventitré.

Attualmente c’è da preoccuparsi seriamente anche delle modalità di elezione degli amministratori comunali, in quanto le recenti dimissioni da sindaco Cosimo Montagna hanno provocato il terzo consecutivo scioglimento anticipato del Consiglio Comunale.
 E’ evidente che bisogna eleggere persone capaci ed oneste, escludendo i portatori di interessi particolari e soprattutto coloro che in passato hanno procurato danni che tutti i cittadini pagheranno in un trentennio.      


ORAZIO CONGEDO


Grande benefattore galatinese

“Raro esempio di amore del prossimo” e “Padre amorevolissimo delle orfanelle”: sono questi gli appellativi indelebilmente incisi nel marmo, con i quali il 14 luglio 1886 la Congregazione di Carità di Galatina, che gestiva l’Ospedale e l’Orfanotrofio della Città, ha trasmesso ai posteri il ricordo di Orazio Congedo, nato a Galatina il 27 agosto 1793 da Giuseppe e Francesca Congedo.
Egli, dopo aver frequentato le Scuole Pie di Campi e completato gli studi secondari nel Collegio dei Gesuiti di Lecce, s’iscrisse all’Università di Napoli, dove si laureò poi in Giurisprudenza.  
Giovanissimo, in qualità di avvocato, si dedicò gratuitamente all’assistenza legale dei contadini che trovavano  difficoltà nell’affrancamento dei propri campi dai vincoli della feudalità, abolita dai re napoleonidi, Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, nel 1° quindicennio dell’800.
Il 12 luglio 1834, per espressa decisione del Governo Borbonico, i beni dell’ex Università degli studi di Castro, rappresentati dalle proprietà degli ex conventi di Andrano, Marittima e Poggiardo e dalla somma di ducati 2880,70 in Titoli di Debito Pubblico, furono consegnati alla Commissione Amministrativa delle Scuole di Galatina, costituita dal sindaco Diego Mongiò, dai deputati Giuseppe Papadia e Giacinto Leuzzi e da Orazio Congedo, in qualità d’invigilatore. E’ evidente che l’opera di quest’ultimo era essenziale nello svolgimento dei molteplici compiti di detta  Commissione, che andavano dall’amministrazione del patrimonio all’impianto e gestione delle scuole, dal reperimento e l’assunzione dei docenti alla vigilanza sull’andamento didattico–disciplinare delle scolaresche. Purtroppo, nonostante il generoso impegno del Nostro, il funzionamento delle scuole, iniziato nel 1836, per circa 18 anni andò avanti stentatamente per mancanza di metodo, di cura e di continuità didattica, dovuta alla irreperibilità di buoni  maestri . 
Per questo le Autorità municipali, verosimilmente sollecitate dall’invigilatore Orazio Congedo, presto si convinsero dell’opportunità di affidare la direzione e l’insegnamento delle scuole a Religiosi dediti all’istruzione e all’educazione della gioventù.
Le trattative con i Padri delle Scuole Pie, presso i quali, come già detto, il Nostro aveva compiuto i suoi primi studi, furono già intavolate  nel 1839, ma non ebbero seguito, perché il Municipio, mentre da un lato aveva per le scuole le necessarie risorse finanziarie, dall’altro non  disponeva di un edificio con annessa chiesa aperta al pubblico, come richiesto dagli Scolopi. Solo nel 1850 ci fu finalmente la  possibilità di disporre di un siffatto stabile, perciò nell’ottobre del 1853, previo regio assenso del 26 agosto dello stesso anno, furono aperte al pubblico le Scuole Pie a Galatina.
Il carattere generoso e mite e la solida preparazione culturale, maturata sia con lo studio del diritto che con quello di lettere e filosofia, portavano Orazio Congedo a dire ai giovani studenti: 
“… A nulla approda ammaestrar l’intelletto, lasciando da parte il cuore; anzi l’educazione del cuore e l’istruzione, specchiando in sé l’unità indivisibile dello spirito, ove procedano discongiunte, offendono qualunque manifestazione dello spirito in ordine al pensiero e all’opera”. 
 Negli anni quaranta dell’800 il Nostro aderì alla “Carboneria”, partecipando alla fondazione della “vendita carbonara dei Bruti”, ma presto se ne distaccò, non intendendo compromettere con la cospirazione politica i propri amici. Si dedicò, quindi, a tempo pieno alle opere di carità, sull’esempio dell’amato fratello Gaetano, insieme al quale fece dono agli abitanti della borgata di Noha dell’orologio pubblico di piazza S. Michele e della cosiddetta “trozza”, pozzo artesiano profondo circa 90 metri, dotato di un grandioso puteale in pietra leccese: su un lato di questo campeggia lo stemma della famiglia Congedo, mentre sul lato opposto è incisa l’iscrizione “HAURIAR  NON  EXAURIAR” (disseto, non mi esaurisco), a significare che i donatori avevano inteso alleviare la scarsezza di acqua nell’abitato della borgata, situato in zona rocciosa e quindi privo di pozzi alimentati dalla falda acquifera superficiale.
Il governo del neonato Regno d’Italia, nell’intento di organizzare con criteri unitari la pubblica assistenza e beneficenza, emanò il 3 agosto 1862  la “legge sull’amministrazione delle Opere Pie”, che istituiva in ogni Comune la Congregazione di Carità (C.d.C.). Scopo di questa era l’amministrazione dei beni  destinati a  favore dei poveri e la distribuzione dei soccorsi. Essa, quindi a Galatina era preposta alla gestione dell’Ospedale, dell’Orfanotrofio e dell’erigendo Monte dei Pegni, per il quale Gaetano Congedo nel 1859 aveva disposto un lascito di 1.000 ducati.   La C. d. C. fu operativa dal 1° gennaio 1863 sotto la presidenza di Orazio Congedo, la cui elezione  fu accolta con grande soddisfazione dai galatinesi, che di lui apprezzavano il carattere mite, la religiosità, la solida formazione culturale e soprattutto la totale disponibilità a pubbliche e private elargizioni a beneficio dei bisognosi. A tal proposito Egli,  a quanti  gli proponevano di aumentare e migliorare il proprio patrimonio, era solito rispondere: “…ma non sapete che le mie rendite sono dei poveri e che non ho il diritto di spenderle per me?”
Orazio Congedo come pubblico amministratore operò con grande saggezza, avendo cura di evitare tutte le occasioni che avrebbero potuto creare pericolose controversie. Contrario ad ogni forma di spreco, fu molto impegnato a migliorare le risorse delle Opere Pie, a cui era preposto.       
Egli, molto attento nel ridurre i disagi della permanenza degli infermi nell’ospedale e delle orfanelle nell’istituto “Madonna della Purità”, già nei primi tempi di presidenza fece adottare provvedimenti significativi, anche se apparentemente di poco conto, come per esempio:
- l’aggiunta del suono dei quarti d’ora all’orologio interno del nosocomio;
- l’installazione “ne’cessi de’saloni degl’infermi di vasi inodori e di doccioni”;
- l’acquisto di una bagnarola in rame e della stufa per riscaldarne l’acqua, necessarie per l’igiene e la cura e degli ammalati;
- l’acquisto di una portantina per il trasporto degli infermi;
- l’edificazione accanto al pozzo dell’Orfanotrofio di un locale idoneo sia per installarvi le “pile”, in cui lavare i panni, sia per costruirvi un “novello focolare” al fine di rendere meno penose le operazioni del bucato.
Più volte confermato nell’incarico di presidente della C. d. C., il Nostro fece approvare per l’Orfanotrofio lo “statuto organico”, che rispetto ai precedenti regolamenti conteneva:
- il riferimento alla donazione fatta da lui stesso affinché fosse aumentato di tre unità il numero delle orfane ospitate;
- il riconoscimento ad ogni orfana del diritto a due terzi (e non come prima ad  un solo terzo)  del frutto del lavoro effettuato dalla stessa dopo il compimento del 15° anno di età, al fine di potersi formare una dote di lire ottantacinque per quando sarebbe passata a marito;
- il dichiarato dovere degli amministratori a salvaguardare “il danaro del povero”.
Egli promosse anche per l’Ospedale, per il quale non esisteva un documento che ne regolasse dettagliatamente il funzionamento, l’approvazione dello “statuto organico”, determinando con questo anche il superamento del carattere promiscuo dell’Istituto. Infatti, mentre in passato avevano sempre goduto dell’hospitalitas sia gli anziani indigenti che gl’infermi bisognosi di cure, invece l’art.2 dello “statuto organico” disponeva testualmente che il nosocomio aveva lo scopo:“1° di accogliere e curare gli infermi poveri;2° Di somministrare gratuitamente medicinali agli altri ammalati poveri del Comune; 3° Di sussidiarli ancora con razioni di vitto a domicilio quando il bisogno richiede.”
L’ex casa Scalfo, sede dell’Orfanotrofio, a parte due saloni, aggiunti a partire dal 1863 per iniziativa della Superiora delle Figlie della Carità, era rimasta pressoché inalterata per oltre 75 anni. Ma dopo il 1873, sempre su proposta di Orazio Congedo, andò assumendo sia nelle dimensioni che nell’aspetto la grandiosità architettonica che tuttora è possibile constatare.
L’ampliamento, progettato dall’arch. Fedele Sambati, fu dato in appalto per  le opere murarie al costruttore Marino Mangia, al quale furono poi corrisposte in totale lire 10.381. Questa e le altre somme, necessarie al completamento dell’opera, erano state ricavate esclusivamente dalla vendita del prodotto degli oliveti di proprietà dell’Istituto, sebbene nella seconda metà del XIX secolo, a causa della crisi degli affitti, frequentemente venivano alienati non pochi poderi. Ma il ricavato di tali vendite veniva investito dalla C. d. C. in Rendita Pubblica, poiché il presidente Congedo sosteneva con fermezza che il relativo importo faceva parte del patrimonio dell’Istituto, i cui frutti erano destinati al sostentamento delle orfane.  
L’art.6 dello Statuto dell’Ospedale prevedeva fra l’altro che non potevano esservi ricoverati ammalati cronici. Tuttavia da tempo le Figlie della Carità avevano ricoverato e sostenuto con proprie  economie  cinque di tali infermi. Questo comportamento esemplare delle Suore indusse Orazio Congedo a programmare la donazione al Nosocomio di una rendita annua di lire 1.000, che egli possedeva nel Gran Libro del Debito Pubblico, affinché si provvedesse in perpetuo alla cura di cinque ammalati cronici. Secondo il Codice Civile per tale elargizione era necessario un  atto notarile del donante, da farsi però dopo l’accettazione del donatario (cioè dell’ ospedale), anche questa fatta con atto pubblico.
In occasione della riunione della C. d. C. del 13 giugno 1880 il Nostro informò i convenuti del proprio proposito, ottenendone unanimi  complimenti e sinceri ringraziamenti. La notizia fu regolarmente verbalizzata, ma ciò non significava che fosse già avvenuta la donazione, per la quale erano necessari i due sopraccitati atti pubblici. Ma non fu dello stesso parere  un Ispettore del Registro, il quale, letto il verbale, ingiunse all’Ospedale il pagamento della tassa di registro, della doppia tassa per mancata denunzia della donazione, nonché della  penalità per mora.
L’assurda presa di posizione dell’Ispettore provocò un’interminabile vertenza, nella quale a vario titolo furono coinvolti l’Intendente di Finanza della Provincia, il Ministro Guardasigilli, il Ministro delle Finanze e anche la Deputazione Provinciale di Terra d’Otranto.
Con l’intervento del Guardasigilli la donazione in questione fu regolarmente stipulata il 22 giugno 1882, ma la controversia con gli Uffici Finanziari per la cancellazione  delle penalità durò quasi fino alla fine del 1883.
Però successivamente la stessa donazione  non fu immediatamente utile agli ammalati cronici, perché si rese necessaria  la modifica dell’art. 6 dello Statuto, il cui 3°comma vietava il ricovero nell’Ospedale degli affetti di malattie croniche o contagiose  o da sifilide. Per ovviare a questo inconveniente il Comune doveva ottenere dall’ Autorità Tutoria detta modifica. Purtroppo, dopo uno scambio epistolare tra la Prefettura e il Comune e tra quest’ultimo e la C.d. C., durato fino a tutto il 1884, ciò non avvenne. In seguito per oltre tre anni e mezzo nulla fu fatto, mentre in successione ben 4 assessori fungevano da sindaco. Il 14 luglio 1888 Raffaele Papadia, sindaco in carica dal gennaio 1886, tornò sull’argomento, ma soltanto dopo un ulteriore scambio epistolare durato altri nove mesi, con delibera approvata il 31 maggio 1889 dal Consiglio Comunale (quando era sindaco Pasquale Micheli), e poi confermata dalla Giunta Provinciale Amministrativa, si pervenne alla seguente modifica statutaria: “Nell’Ospedale saranno soltanto ammessi gli infermi di malattie acute e non contagiose, né sifilitiche. Non di meno si terranno in perpetuo e senza interruzione cinque poveri affetti da malattie croniche ai sensi della donazione del fu Orazio Congedo, rogata dal notaio Pietro Garrisi il 22 giugno 1882.”


Trascorsero dunque ben nove anni prima che le risorse della donazione Congedo fossero utilizzate a favore dei poveri ammalati cronici. Purtroppo ciò avvenne quando il generoso Donatore era morto da circa tre anni, il 13 luglio 1886, dopo aver trascorso i suoi ultimi sei anni di vita nell’amarezza, provocatagli dalla gretta incomprensione di pubblici funzionari, dalle lungaggini della burocrazia e dalle omissioni degli amministratori comunali, che in successione avevano ostacolato la solidarietà verso gl’indigenti, che era stata l’habitus della sua lunga vita. Orazio Congedo fu rimpianto da tutti i galatinesi e onorato con lapide nel vecchio Ospedale e nell’Orfanotrofio e con l’intitolazione della strada che, partendo dall’angolo nord-est di piazza S. Pietro, s’inoltra verso est nel centro storico. Al n.29 di questa  c’è  il grande palazzo (gravemente manomesso e lottizzato), nel quale il Nostro nacque e visse per 93 anni.



GIUSTINIANO GORGONI


Il gentiluomo che salvò il Ginnasio – Convitto di Galatina

Michele Montinari, intorno al 1895, da alunno di prima elementare, conobbe  “…un vecchietto vestito di nero, con un soprabito pure nero e il bastone dal pomo dorato…” e  “…dal conversare lento e dimesso… ”, il quale spesso  ispezionava la scuola.
Egli comprese poi che quel distinto gentiluomo era il Sopraintendente all’istruzione di Galatina,  cioè l’avvocato Giustiniano Gorgoni. Questi, nato a Galatina il 24 agosto 1825 dall’avvocato Filippo Gorgoni e da Rosina Calò, apparteneva ad un’illustre famiglia, che fra gli altri aveva espresso un prelato Agostino Tommaso Gorgoni (1712 – 1790), vescovo di Castro, e un sindaco,  Francesco Gorgoni (fratello dell’avv. Filippo), primo cittadino di Galatina dal 1827 al 1830.
Non si sa se Giustiniano Gorgoni abbia esercitato l’avvocatura, tuttavia egli si autodefinisce ‘avvocato’ nel frontespizio della propria opera principale, il “Vocabolario agronomico…”, e come ‘avvocato’ o ‘legale’ è  inserito negli elenchi dei componenti il Consiglio Comunale.
Ma non mancano autori che in maniera impropria  lo hanno considerato ‘agronomo’.
Egli partecipò attivamente alla redazione del quindicinale RIFORMA, legato al movimento risorgimentale e  pubblicato a Lecce dal gennaio 1862 all’aprile 1863.
Il 27 maggio 1861, nella prima consultazione per l’elezione del Consiglio Provinciale Giustiniano Gorgoni riportò 92 voti su 210 votanti, ma fu eletto Nicola Bardoscia che aveva ottenuto 112 voti. Questa sconfitta non lo scoraggiò e, ricandidatosi più volte, nella tornata del 21 luglio 1881 divenne finalmente consigliere provinciale con 214 voti, insieme all’altro candidato, Antonio Carrozzini che aveva riportato 170 voti.
Intanto  con il rinnovo del Consiglio Comunale (C. C.), avvenuto il 3 marzo 1876, egli vi era stato eletto e il successivo 22 settembre 1877 venne nominato Assessore. In questa carica fu poi  riconfermato a partire dal 9 ottobre 1878, ottenendo la delega alla Pubblica Istruzione. Proprio in questo periodo Giustiniano Gorgoni entrò nella storia del Ginnasio Convitto “P. Colonna”.
L’Amministrazione Comunale di Galatina, che, dopo l’uscita di scena degli Scolopi era la sola responsabile della gestione di detto Istituto, non riusciva a contenerne la inarrestabile decadenza, iniziata dopo la morte del direttore-rettore Sebastiano Serrao (1870), ex scolopio. In particolare il Convitto, chiuso per l’a. s. 1876-77, non venne riaperto nel successivo a. s. 1877- 78, mentre gli iscritti alle cinque classi del Ginnasio, che complessivamente erano 25 nel 1877-78, scesero addirittura a 22 nel 1879-80.
Questo stato di cose era fra l’altro determinato dalla mancanza di continuità didattica nell’insegnamento, dovuta alla grande difficoltà a trovare docenti “patentati” ed  al mancato pareggiamento dell’Istituto, per cui gli alunni dovevano sostenere annualmente presso un istituto governativo gli esami per il passaggio alla classe successiva.    
Nella seduta del C.C. che ebbe luogo l’11 aprile 1878 andò in discussione la riapertura del Convitto e Giustiniano Gorgoni in un appassionato intervento ne sostenne la necessità, enumerando i vantaggi che si sarebbero ottenuti e concluse dichiarando: “…il Ginnasio non potrà aver vita e fiorire se non apre il venturo anno scolastico unitamente al Convitto”. 
Egli in altra occasione espresse lo stesso concetto dicendo: “… il Ginnasio non può sussistere senza il Convitto …(che) è come il piantonaio (ovvero il vivaio – N.d.A.) in cui l’agricoltore alleva gli alberetti che poi traspone nei suoi campi…” 
Ma per riaprire il Convitto era indispensabile un cospicuo contributo del Comune, disapprovato dalla Deputazione  Provinciale, la quale peraltro riteneva che il Convitto fosse un privilegio riservato alle famiglie agiate.
I rilievi dell’organo di controllo alle spese comunali furono discussi in C.C. il 19 marzo 1879 e Giustiniano Gorgoni, partendo dal principio che “…l’istruzione ginnasiale o deve apprestarsi completa o è meglio si sopprima affatto…”, propose l’alienazione dei beni posseduti dal Ginnasio in Paesi del Capo di Leuca, motivandola nel modo seguente: mentre “…la rendita delle proprietà stabili nel giro di un decennio si (era) per ogni dove pressoché raddoppiata…”, invece era rimasta stazionaria fra le sette e le ottomila lire, “…quella che si (ritraeva) dal patrimonio delle Scuole…”, poiché questo era prevalentemente costituito da beni che, non potendo essere bene amministrati perché lontani da Galatina, erano soggetti al degrado o addirittura improduttivi. Dalla loro vendita all’asta si poteva invece ricavare una somma che, investita in Rendita Pubblica, avrebbe potuto dare un utile netto di circa sedicimila lire, la quale avrebbe consentito alle Scuole di reggersi con i mezzi propri, senza aver bisogno di sussidi del Comune.
Nella seduta del successivo 3 aprile 1879  la suddetta proposta fu approvata a larga maggioranza e fu anche discusso ed accolto l’o.d.g., presentato dal medesimo Giustiniano Gorgoni, che dava facoltà al Sindaco e alla Giunta d’iniziare presso le Autorità Scolastiche le pratiche necessarie per il pareggio del Ginnasio di Galatina alle Scuole Governative. Nella  presentazione dello stesso o.d.g. il Nostro aveva fra l’altro sostenuto che detto pareggio:
- fosse “… un beneficio che lo Stato (accordava) al Comune, il quale senza rinunziare alla pienezza dei suoi diritti, metteva le Scuole sotto la protezione del Governo”, assicurando così “… al Ginnasio una vita più serena e più lunga, sottraendolo alle oscillazioni, alle quali potrebbe trascinarlo il variare delle amministrazioni locali…”; 
- avrebbe permesso di contare sull’aiuto delle Autorità scolastiche per la ricerca di professori, per la composizione di controversie ecc.;
- avrebbe richiamato un maggior numero di alunni sia mediante “…il commodo di subire gli esami presso le scuola ove si studia” sia  col diritto di ottenere sussidi distribuiti  dallo Stato ad incremento dell’Istruzione.
Il 14 maggio 1882,  il dare a censo (censuazione) zone del giardino del Ginnasio per la costruzione di abitazioni private, che secondo il sindaco Giacomo Viva avrebbe fruttato almeno 1200 lire, laddove l’affitto rendeva appena 300, non incontrò il favore del Consiglio, il quale  approvò invece l’alienazione degli stessi suoli edificatori, proposta da Giustiniano Gorgoni. Questi sosteneva che la censuazione avrebbe creato difficoltà non solo a causa della riscossione periodica dei canoni, ma soprattutto perché un eventuale mancato rinnovo periodico di titoli, dovuto a trascuratezza, avrebbe comportato la perdita degli stessi; invece, optando per la vendita ed investendo il ricavato in Rendita Pubblica, si sarebbe ottenuto tranquillamente e senza rischi un reddito pari a quello della censuazione.
Per effetto dei sopra esposti provvedimenti, consigliati dal Nostro, ed approvati sia dal C.C. che dalla Deputazione Provinciale, le Scuole di Galatina non ebbero più problemi economici ed ottennero il pareggiamento alle Scuole governative con il D.M. 21 gennaio 1881. Inoltre sotto la guida del direttore-rettore Sac. Carlo Tarentini, assunto nel dicembre 1883 su segnalazione del Provveditore agli Studi Rebecchini, mentre nel 1883-84 si erano già avuti 55 alunni di ginnasio, di cui 16 in convitto, nel 1889-90 si ebbero 108 studenti, di cui 38 convittori.     

Nell’Amministrazione Municipale Giustiniano Gorgoni oltre ad avere la delega per la Pubblica Istruzione era anche Assessore al Bilancio e come tale fu molto impegnato a riequilibrare la disastrosa situazione delle finanze comunali. 
Per esempio,  al fine di avere approvato dalla Deputazione Provinciale il bilancio di previsione per l’esercizio 1879, riuscì a far accettare al C. C. la diminuzione delle spese per l’illuminazione pubblica, la riduzione degli stipendi agli impiegati comunali, il ridimensionamento dell’assistenza pubblica e l’aumento dell’addizionale sui tributi diretti di focatico, bestiame, esercizi e rivendite.            
Nella tornata dell’8 ottobre 1881 egli propose al C.C. una riforma ‘rivoluzionaria’ del sistema tributario comunale, consistente nell’introduzione a partire dal 1882 della “tassa unica di famiglia” in sostituzione delle tante imposte in vigore, rimanendo inalterata la previsione d’entrata. Tale proposta venne approvata prima dal Consiglio e poi dalla Deputazione Provinciale, la quale stabilì per detta tassa un minimo di £ 3 ed un massimo di £ 300.
Giustiniano Gorgoni prendeva anche parte attiva alla vita politica ed amministrativa di Cutrofiano, nel cui territorio aveva numerose proprietà. In particolare egli sostenne l’iniziativa popolare tendente ad onorare con una lapide la memoria di ‘Vincenzo Colì’, morto a Dogali il 26 gennaio 1887. Infatti scrisse l’epigrafe da incidere sul marmo e tenne un discorso il 30 ottobre 1887 in occasione della cerimonia commemorativa, rivelandosi molto critico nel confronti della politica coloniale del Governo Crispi.    
E’ del 1858 la pubblicazione  del suo opuscolo “L’Oidium Tuckeri e lo zolfo ossia le malattie della vigna ed i mezzi per combatterle”, con il quale intendeva combattere pregiudizi e diffidenze e far accettare ai viticoltori un moderno sistema di prevenzione e cura di malattie della vite.
Nel 1896 dalla Tipografia Editrice Salentina F.lli Spacciante di Lecce venne pubblicata la maggiore opera di Giustiniano Gorgoni, il cui titolo completo è: “Vocabolario agronomico con la scelta di voci di arti e mestieri attinenti all’agricoltura e col raffronto delle parole e dei modi di dire del dialetto della provincia di Lecce”. E’ evidente che non si tratta di un libro di ‘scienza agraria’. Con esso il Nostro intese offrire a tutti coloro che devono espletare pratiche agricole e ai giovani i significati esatti delle parole nel loro uso corrente nel mondo contadino, in modo da poter parlare e scrivere conoscendo il significato delle parole, l’uso degli attrezzi e di quant’altro attiene all’agricoltura.   
Il 17 luglio 1897 il nuovo C.C. con 25 voti su 25 votanti elesse: sindaco il dott. Mario Micheli,  assessori effettivi Antonio Vallone, Giustiniano Gorgoni, Raffaele Torricelli, Lucrezio Luigi e  assessori supplenti Alessandro Bardoscia e Ruggero Consenti.
Il Nostro all’età di 72 anni tornò dunque in Consiglio ed anche in Giunta, ma con delega diversa da quelle avute in precedenza.    

Giustiniano Gorgoni morì il 10 marzo 1902 e il sindaco Micheli nel dargli l’ultimo addio ricordò fra l’altro che: 
- “Tra i suoi ideali tenne il primo posto la diffusione della cultura fra la gioventù che Egli si sforzò di rendere studiosa, sia che con l’esempio di abnegazione rarissima gratuitamente insegnasse lingua e letteratura francese nel nostro Istituto, sia che si dedicasse alla pubblicazione del suo pregiato dizionario inteso a diffondere la lingua fra le classi agricole! ”;
- “La sua aspirazione più viva fu il benessere materiale e civile della sua patria, e a tale scopo nelle pubbliche amministrazioni di cui fece parte, la sua voce indicò sempre quale era la via da tenere! ”.


Lo stesso Sindaco concluse dicendo: “Oh amico! Per volgere di tempo non si cancellerà giammai dal nostro pensiero la tua figura virtuosa e gentile, e tu col tuo spirito eletto sarai sempre fra noi ad ispirarci, coll’esempio della tua vita, il forte amore pel miglioramento della patria nostra! ”.

VITO VALLONE

Illustre medico nonché solerte e fattivo amministratore

 Il 15 gennaio 1863, il dott. Filippo Mandorino, che all’epoca era l’unico medico dell’Ospedale di Galatina, rinunziò al servizio di chirurgia, conservando soltanto quello di medicina. Perciò  la neo-eletta Congregazione di Carità, presieduta da Orazio Congedo e preposta alla gestione del Nosocomio, assunse per detto servizio il dott. Luigi Santoro, che “godeva della reputazione di chirurgo”. Questi prestò servizio per circa 25 anni, infatti si dimise quasi alle fine del 1887.

La stessa Congregazione il 22 dicembre 1887 conferì l’incarico di chirurgo al dott. Vito Vallone, figlio di Giuseppe e Angela Siciliani, nato a Galatina il 9 gennaio 1856, il quale, dopo essersi laureato in medicina e chirurgia nell’Università  Napoli, aveva molto viaggiato, partecipando anche all’estero a congressi e corsi di perfezionamento di medicina e soprattutto di chirurgia.
Egli poi, rinunciando ad importanti offerte di lavoro, accettò di essere medico condotto nella propria Città e per ben 42 anni con costanza inaudita fu al servizio degli ammalati, specialmente dei più poveri. Assunto come chirurgo nell’Ospedale cittadino, vi prestò la propria opera per ben 27 anni con passione e competenze notevoli, distinguendosi particolarmente nel trattamento chirurgico delle ernie, che all’epoca era una novità. Pertanto, ci fu nel Nosocomio un notevole afflusso di pazienti paganti che per l’85% erano di sesso maschile e spesso provenivano da paesi lontani. Così l’Istituto galatinese, che disponeva solo di risorse patrimoniali e per effetto del regolamento de1 1869 era finalizzato a curare ed assistere gratuitamente infermi poveri, a partire dal 1° gennaio 1888 con l’accoglienza e la cura di infermi abbienti, che pagavano sia l’intevento chirurgico che la degenza, cominciò ad avere nuove entrate utili al suo funzionamento. 
Vito Vallone rinunziò all’incarico di chirurgo ospedaliero nel 1914, ma non fu facile sostituirlo.  Infatti il Presidente pro tempore della Congregazione di Carità il 13 gennaio 1916, in una lettera indirizzata al R. Prefetto di Lecce, faceva presente di non essere ancora riuscito a trovare un dottore specializzato in chirurgia, “… data la tenuità dello stipendio, stabilito dalla pianta organica in lire 250, e di conseguenza era stato costretto a dare incarico al Direttore dell’Ospedale perché in ogni caso di operazioni difficili di ernia invitasse il dott. Vito Vallone, “chirurgo onorario dell’Ospedale”, che era disposto a prestare gratuitamente la propria opera.”.    
L’attività amministrativa di Vito Vallone ebbe inizio dopo le elezioni per il rinnovo del Consiglio Comunale, che ebbero luogo il 22 luglio 1895 e furono vinte dalla lista di cui faceva parte l’ing. Antonio Vallone, fratello del Nostro. La nuova Amministrazione, presieduta dal sindaco dott. Mario Micheli, intraprese con sollecitudine iniziative tendenti a completare il totale riordino del Ginnasio-Convitto, istituto del quale  gli amministratori precedenti avevano già avviato la trasformazione in Opera Pia di Pubblica Assistenza e Beneficenza.
Già nel corso del 1895 fu rinnovata la Commissione di Vigilanza del Convitto, istituita nel 1881 per collaborare col Rettore per il buon andamento dell’istituzione. A far parte di essa furono eletti: Vito Vallone, Alessandro Bardoscia fu Giovanni, Luigi Palma e Nicola Calò.
Il 2 maggio 1896 fu avanzata dal Comune al Governo formale richiesta per ottenere che il Ginnasio - Convitto fosse riconosciuto Opera Pia. Richiesta questa che trovò pieno accoglimento con l’emanazione da parte del Re Umberto I del Decreto 3 marzo 1898. Lo stesso sovrano con Decreto 27 aprile 1899 approvò il relativo Statuto Organico, il cui  art. 5  al 1° comma stabiliva testualmente: “Il Ginnasio è amministrato da una Commissione composta di  un presidente e quattro membri eletti dal Consiglio Comunale nella sessione d’autunno.”
Detta Commissione fu quindi eletta con delibera consiliare n.50 / 7agosto 1899 nelle persone di: Vallone dott. Vito (presidente), Bardoscia Alessandro fu Giovanni, Palma dott. Luigi, Galluccio avv. Emilio e  De Paolis dott. Antonio (membri).
Essa iniziò la propria attività il successivo 20 settembre, potendo contare su una favorevole situazione economica, poiché l’esercizio finanziario1898 dell’Istituto si era concluso con un attivo di lire 11194,20. Situazione questa alla quale avevano  senza dubbio contribuito Vallone, Bardoscia e Palma, che dal 1896 al 1899 erano stati preposti, come già detto, alla Vigilanza del Convitto soprattutto per evitare gli sprechi.
Fra i provvedimenti della  Commissione Amministrativa (C. A.) dell’Opera Pia Istituto ‘Pietro Colonna’ (in forma ridotta: Pio Istituto ‘P. Colonna’), sotto la guida di Vito Vallone (confermato alla presidenza dopo un quadriennio) val la pena ricordare i seguenti:
- la nomina a vice-censore del Convitto conferita a Ippolito De Maria il 27settembre 1899;
- l’aver risolto in circa cinque anni, a partire dal 1900, l’annoso problema di riordinare l’esazione di canoni e censi da tantissimi debitori sparsi in vari Comuni del Capo di Leuca, la quale per vari motivi dal 1834 era stata sempre un vero tormentone per gli amministratori del patrimonio dell’ex Università di Castro, assegnato nel 1834 alle Scuole di Galatina;
- il rinnovo per un sessennio al sacerdote Rocco Catterina di Molina (Trento)  della nomina a direttore-rettore del Ginnasio Convitto (4 agosto 1900);
- l’assunzione il 17 ottobre 1901 come segretario della C.A. di Donato Nicolaci che,  avendo assicurato notevole efficienza ai servizi del Convitto, dopo 5 anni fu confermato a vita;
- l’aver risolto nell’arco di tempo compreso tra il 15 settembre 1801 e  l’8 febbraio 1904 il problema delle prestazioni perpetue dell’Istituto a favore dei parroci di Andrano, Cerfignano, Cocumola, Depressa, Diso, Marittima, Spongano e Vitigliano, ai quali dal 1834 dovevano essere corrisposti annualmente supplementi di congrua, per un importo complessivo di lire 1.593,75; la soluzione trovata consisteva nell’aver chiesto e ottenuto dall’Intendenza di Finanza, che con  apposito decreto del Procuratore del Re presso la Corte d’Appello di Trani, si potesse assegnare ad ognuno dei suddetti un certificato di Rendita Pubblica al 5% acquistato nel 1894, i cui interessi annui fossero pari al supplemento di congrua;
- l’approvazione con delibera n. 15/24 aprile 1902 di un nuovo Programma e Regolamento per il Convitto, in 46 articoli, che rappresentava il definitivo superamento degli almeno tre analoghi documenti precedenti, e prevedeva interessanti premi per i convittori meritevoli e una vasta gamma di sanzioni che era possibile infliggere a quelli indisciplinati;
- la sostituzione tra il 1903 e il 1904 degli antiquati lumi a petrolio del Convitto con apparecchiature atte ad assicurare l’illuminazione ad acetilene;
- nel 1906 il giardino dell’Istituto, incolto da anni e utilizzato per la ricreazione e l’educazione fisica dei convittori, fu ceduto al floricoltore Paolino Ciotola, affinché lo sistemasse, tracciando e inghiaiando viali, piantando alberi ed anche coltivando fiori per sua speculazione privata;
- sempre nel 1906 fu acquistato da Felice Maggi lo stabile da lui costruito in una zona del giardino, che correva il rischio di essere venduto all’asta, perché non era stato pagato il relativo suolo edificatorio; l’acquisto a trattativa privata da parte della C.A. ebbe luogo per l’insistenza del presidente Vallone, secondo il quale la vendita all’incanto dello stesso ad un conciatore dei pelli  sarebbe stata la rovina del Convitto, a causa delle pestifere esalazioni.                         
Proprio a Vito Vallone, va ascritto il grande merito di aver sistemato ed aperto al pubblico la Biblioteca Comunale che, essendo all’epoca annessa al Ginnasio-Convitto, era in un certo senso considerata parte integrante del Pio Istituto                         “P. Colonna”.   
Detta Biblioteca, sebbene fosse stata già intitolata nel 1885 al filosofo-pedagogista Pietro Siciliani in occasione della sua morte, non era ancora fruibile da parte degli studiosi, perché la maggior parte dei suoi 7.000 volumi non erano stati ancora adeguatamente ordinati e catalogati. Un primo ordine era stato curato dal 1899 e il 1900 da Umberto Congedo, docente di lettere. Il 27 dicembre 1901 fu affidato l’incarico a catalogare libri al sopraccitato segretario Donato Nicolaci, il quale con molta cura e diligenza registrò 5.000 opere. Pertanto il Nostro il 21 luglio 1904 informò il Sindaco che Giacinto Bardoscia era stato incaricato a dirigere a titolo onorifico la Biblioteca, la quale era ormai pronta per essere aperta al pubblico.
L’inaugurazione della stessa ebbe luogo con una certa solennità il 5 febbraio 1905. 
L’interessamento del presidente Vallone per la “Siciliani” ebbe un seguito il 16 maggio 1905 con l’inoltro al Ministero della P.I. di una richiesta tendente ad ottenere per la stessa l’autorizzazione ad avere  libri in prestito dalle Biblioteche Nazionali. Ed entro due mesi si ottenne per un triennio tale prestito da tutte le Biblioteche Governative, tramite quella di Napoli.
Nel 1° regolamento della Biblioteca Comunale di Galatina, che è tuttora in vigore, ben 3 articoli su 14 trattano del prestito dei libri agli utenti. Vito Vallone, che firmò il documento, dava infatti molta importanza a tale prestito, che consentiva la lettura di un testo in tutte le ore del giorno, contribuendo efficacemente alla formazione dei giovani ed in particolare dei convittori.
La monografia “P.Congedo – La biblioteca ‘Pietro Siciliani’ di Galatina” è stata dedicata dall’autore alla memoria di Vito Vallone e Beniamino De Maria, in considerazione che essi sono stati i soli amministratori pubblici che si siano veramente interessati di detta istituzione.     
Le ultime deliberazioni della C.A., firmate dal Nostro, sono datate 30 giugno 1907. Dopo questa data il Liceo-Ginnasio e il Convitto “P. Colonna” avrebbero potuto guardare al futuro con ottimismo: tutto avrebbe potuto procedere come prima e meglio di prima, anche perché con R.D.30 settembre 1907 ebbe luogo la tanto attesa regificazione dell’Istituto scolastico.
Invece nell’arco di tre anni il numero degli studenti scese da 270 a 173 e  quello dei convittori da 84 a 43. Questo perché due avversari politici del deputato repubblicano ing. Antonio Vallone cercavano con ogni mezzo di fiaccare la resistenza morale del di lui fratello Vito, che era considerato il suo migliore sostenitore. Infatti i consiglieri comunali di minoranza Bardoscia Domenico e Congedo Giuseppe nella seduta C.C. del 13 giugno 1908 accusarono in modo generico il dott. Vito Vallone di abusi finanziario-contabili, compiuti durante la gestione del Pio Istituto “P. Colonna”. Gli stessi successivamente dalle pagine  del periodico Vita Nuova (nn. 1,3,4 e 6), stampato dalla tipografia Mariano, precisarono meglio le loro accuse, arrivando a qualificare lo stesso “barattiere  del denaro altrui, capace di tenere in cas…sa (sic!) dal 1903 al 1906 lire 89.811,17”  per  poter finanziare il fratello Antonio nel corso delle elezioni politiche del 1904. 
Il Pretore del Mandamento di Galatina, in seguito a querela dell’interessato con istanza di punizione per diffamazione ed ingiuria continuate a mezzo stampa, condannò in data  23 ottobre 1909: Bardoscia Domenico a 11 mesi e 20 giorni di reclusione e a lire 971,00 di multa;  Congedo Giuseppe e il tipografo Salvatore Mariano a 11 mesi e 20 giorni di reclusione e a lire 1262 ciascuno. Inoltre il magistrato impose ai tre imputati sia il pagamento delle spese processuali e il risarcimento dei danni alla parte civile, sia la pubblicazione per una volta della sentenza sui giornali La Provincia di Lecce e Il Corriere Meridionale.        
Intanto era ancora in corso un’inchiesta amministrativa contro Vito Vallone e gli altri  amministratori del Pio Istituto “P. Colonna”, usciti di scena nel 1907, accusati da un ispettore prefettizio di averne causato la perdita di circa lire 2000 a causa del mancato deposito su libretto di risparmio postale dei fondi a disposizione del Convitto  per brevi periodi.
Soltanto dopo anni, e precisamente il 26 aprile 1911, ci fu il pieno proscioglimento dei suddetti da parte della Commissione Provinciale di Beneficenza. Questo significava, secondo il Nostro, che si era trattato di “… un’inchiesta politica…svoltasi sotto l’incubo delle elezioni politiche imminenti, avendo di mira non solo il combattere il deputato locale, ma la distruzione di tutto ciò che era emanazione della sua azione amministrativa”.           
Vito Vallone fu ininterrottamente sindaco di Galatina dal 1914 al 1923, assolvendo l’incarico con notevole abnegazione durante la prima guerra mondiale e nel dopoguerra. 
In particolare dal 1915 al 1919 curò moltissimo l’assistenza ai combattenti e ai loro familiari. A tal fine promosse la costituzione di un Comitato di Assistenza e di un Segretariato del Popolo. Il primo, oltre a prestare assistenza alle famiglie dei richiamati, curava il regolare funzionamento di tutti i servizi pubblici, preveniva e provvedeva ai bisogni delle industrie e dei commerci, risolveva i problemi delle campagne (riguardo alla manodopera, ai contratti di mezzadria e di affittanza, alla conduzione delle aziende agricole), provvedeva al pagamento delle pigioni delle case e soccorreva finanziariamente le famiglie bisognose. Il Segretariato del Popolo, eletto in seno al Comitato di A., aveva specifiche mansioni di assistenza diretta ai soldati.
Inoltre egli affrontò con determinazione il problema alimentare, perciò il pane di Stato non mancò in nessun giorno dell’anno, mentre in alcuni paesi della provincia talvolta non si panificava per più giorni. E, nonostante la scadente qualità del grano fornito dal Governo, il pane a Galatina fu sempre della stessa fattura e ben cotto, in quanto il primo cittadino per il servizio pubblico di panificazione aveva saggiamente deciso di avvalersi dell’opera di un vero industriale del settore, Pietro Laporta, il quale disponeva di molino e panificio propri ed era in grado, se necessario, di anticipare le somme per il pagamento delle assegnazioni prefettizie di grano. 
Vito Vallone per la sua statura umana e professionale e soprattutto per la grande popolarità acquisita curando scrupolosamente  gli ammalati, senza distinzione di classe o di partito, poté essere validissimo sostenitore del fratello Antonio, che ebbe una brillante carriera come amministratore locale e soprattutto come deputato repubblicano al Parlamento del Regno.


In occasione della sua morte, avvenuta il 22 maggio 1943, fu proclamato il lutto cittadino, che fu molto sentito da tutti i galatinesi.

IPPOLITO DE MARIA

Educatore eccezionale e amministratore saggio ed irreprensibile

L’11 ottobre 1896 il Consiglio Comunale (C. C.) di Galatina nominò, per l’a. s. 1896-’97, istitutore   presso il Convitto “Pietro Colonna” colui che in futuro sarebbe stato il padre dello statista on. Aldo Moro, cioè Renato Moro di Salvatore.  Questi l’anno dopo, essendo stato nominato insegnante elementare a Tiggiano, non accettò la conferma al posto d’istitutore, per il quale, su invito del sindaco Mario Micheli, presentò domanda documentata il futuro genitore dell’on Beniamino  De Maria, cioè Ippolito De Maria. Quest’ultimo era anche amico di Renato Moro che aveva conosciuto nell’ambiente universitario napoletano.
Davvero singolari l’affinità occupazionale e l’amicizia dei padri dei due uomini politici pugliesi!

Chi  era il ventenne De Maria che, venuto a Galatina come istitutore del Convitto, vi rimase per tutta la  vita? 
Egli era nato a Palagiano nel 1877. Suo padre Raffaele, insegnante nelle scuole secondarie del Regno delle due Sicilie, era stato licenziato dopo il 1861 per essersi rifiutato di giurare fedeltà al re Vittorio Emanuele II, in quanto disgustato dalla violenza che aveva caratterizzato la nascita del Regno d’Italia e dall’anticlericalismo cieco e settario del Governo sabaudo. Perciò aveva aperto una scuola privata a Ginosa, che gli permise di dare un dignitoso avvenire ai propri figli. 
Quindi in un ambiente moralmente ineccepibile e culturalmente evoluto aveva maturato la propria  vocazione all’insegnamento il giovane Ippolito, il quale frequentò la R. Scuola Normale di Bari, conseguendovi la patente di maestro elementare di grado superiore. S’iscrisse poi alla Facoltà di Lingue Straniere dell’Università di Napoli, ma dopo due anni, costretto a cercare lavoro per motivi familiari di carattere economico, accetto un posto d’istitutore presso il Convitto Nazionale di Bari, dove non rimase a lungo per motivi di salute.
Nel Convitto “P. Colonna” il rettore Rocco Catterina, dotto sacerdote trentino ricco di doti umane,   contribuì non poco alla formazione come educatore del giovane De Maria che, anche quando fu assunto come insegnante elementare, cercò di avere sempre incarichi nello stesso convitto. In data 27 settembre 1899 il Nostro fu nominato vice – censore per l’anno scolastico 1899 – ‘900, con la stipendio annuo di  £ 500, oltre vitto e alloggio. Nello stesso incarico fu confermato in ciascuno dei sette anni successivi. Il 29 ottobre 1907, cioè subito dopo la regificazione[1]  del Liceo- Ginnasio, fu nominato  censore e, quindi, aveva il dovere di “…sorvegliare e dirigere gli istitutori nell’adempimento del proprio ufficio, curando in principale modo che (congiungessero)  alla severità per il mantenimento della disciplina, l’urbanità e la dolcezza dei modi e che (fossero) esempio ai giovanetti di moralità, di civile educazione e di temperanza.”(v. art. 13 di Programma e regolamento del Convitto). Dovere questo che egli seppe assolvere egregiamente, meritando l’assoluta fiducia del rettore e del Commissione Amministrativa (C. A). 
Dall’ottobre 1908 fino al settembre 1911 Ippolito De Maria non fu dipendente del Pio Istituto “P. Colonna”   perché, avendo accettato l’incarico di maestro elementare, non poteva ricoprire anche il posto di censore. Proprio in quel periodo mise su famiglia, sposando nel settembre 1910 Maria Consiglia Bardicchia, insegnante nelle Scuole Elementari di Galatina, ma proveniente da Salice Salentino. 
La C. A. del Pio Istituto “P. Colonna” il 13 giugno 1911 nominò il Nostro tesoriere con il compenso annuo di £ 450 e l’obbligo di fornire una cauzione di £ 6.500. La stessa C.A. il successivo 6 settembre gli affidò anche la direzione e la vigilanza della “vittitazione” (ovvero del servizio di mensa) del Convitto, nonché dell’acquisto dei generi alimentari necessari, spendendo non più di   £ 1,35 per convittore. Per quest’ultimo delicato incarico avrebbe ricevuto annualmente il compenso di £ 600. 
Però in qualità di nuovo tesoriere prima di ricevere le consegne dal predecessore avrebbe dovuto attendere l’approvazione da parte del Consiglio di Prefettura degli atti relativi alla cauzione.  Nonostante ciò la C. A., avendo piena fiducia in lui, autorizzò un passaggio provvisorio di cassa, che ebbe luogo il 31 dicembre 1911. Solo alla fine del 1912 il suddetto Consiglio di Prefettura approvò la richiesta cauzione di £ 6.500, ottenuta con un deposito di £ 4.000 presso la Cassa Depositi e Prestiti e con l’ipoteca di £ 2.500 su un fondo rustico, sito in agro di Salice Salentino e stimato del valore di  £ 3.780. Comunque la C. A. per favorire Ippolito De Maria con delibera n. 7/1913 ridusse la suddetta cauzione da £ 6.500 a £ 4.000, cioè all’importo del sopraccitato deposito esistente presso la Cassa DD. e PP.. Intanto il Nostro studiando assiduamente anche di notte si era preparato agli esami per il conseguimento del diploma di Direttore Didattico, che si tenevano presso l’Università di Napoli di fronte ad una Commissione presieduta da un cattedratico di pedagogia. Egli però, pur avendo ottenuto con ottimi detto diploma, non partecipò mai a concorsi per la direzione di Scuole Elementari, in quanto ci teneva molto al lavoro in Convitto, in quanto lo riteneva molto importante nell’educazione dei giovani. 
All’approssimarsi della prima guerra mondiale si schierò a favore dell’intervento e in qualità di volontario nell’agosto del 1915 venne arruolato come tenente di artiglieria e destinato alla difesa della costiera di Brindisi. Intanto aveva ottenuto dalla C.A. del Convitto di essere sostituito nell’incarico di tesoriere dalla moglie, M. Consiglia Bardicchia, per tutto il tempo che sarebbe rimasto sotto le armi.               
Ippolito De Maria, congedato alla fine della guerra, riprese l’attività di tesoriere del Pio  Istituto “P. Colonna” e nello stesso tempo ottenne la conferma nel servizio di vittitazione col compenso annuo di £ 1.200 e l’obbligo a non superare il costo di £ 2,00 del vitto giornaliero di ogni convittore.                         
Intorno al 1921 una grave crisi economica travagliava l’Istituto poiché, mentre da un lato non era più possibile procrastinare i lavori di manutenzione straordinaria non eseguiti durante la guerra e nell’immediato dopoguerra, dall’altro aumentava continuamente il costo dei viveri e quello di stipendi e salari del personale. Per far fronte a tale situazione  il rettore, avv. Emilio Galluccio, chiese ristrutturazioni per un importo di £ 20.000 e la limitazione a 70 unità del numero dei convittori, ma non essendo stato accontentato si dimise. Questo aumentò le preoccupazioni della C. A., la quale aveva peraltro accertato che il Convitto per reggersi aveva bisogno di un reddito netto annuo di £ 7.000 e di un maggiore gettito delle tasse scolastiche, il quale fosse cioè non solo sufficiente ad assicurare il canone dovuto allo Stato (v. nota 1)  per l’avvenuta regificazione del Liceo-Ginnasio, ma che desse anche un supero a favore del Pio Istituto “P. Colonna”. D’altronde la chiusura del Convitto avrebbe comportato l’allontanamento dalle Scuole di Galatina di una parte dei 100 convittori (media degli ultimi anni) con conseguente riduzione del gettito  delle tasse scolastiche. 
Per uscire da questo grave stato di crisi una valida ed originale proposta venne nell’agosto 1921 proprio da Ippolito De Maria, il quale chiese in affitto per un quinquennio i locali, i mobili e gli arredi del Convitto, dietro il pagamento del canone annuo di lire 7.000, con l’obbligo di mantenere lo stesso in attività, nel pieno rispetto delle norme del Regolamento interno e provvedendo al pagamento di tutte le spese, comprese quelle della manutenzione ordinaria di locali ed arredi.    Un contratto d’affitto conforme a questa proposta non fu possibile per impreviste difficoltà amministrative. Ma il 19 dicembre 1921 una nuova C. A., ottemperando ad una ordinanza emanata il precedente 7 ottobre dalla Commissione Provinciale di Assistenza e Beneficenza, ed in accordo col Sindaco di Galatina, Vito Vallone, deliberò la concessione per il biennio 1°ottobre 1921-30 settembre 1923 della gestione del Convitto al tesoriere Ippolito De Maria, il quale oltre ad avere le funzioni di addetto al servizio di vittitazione, doveva assumere anche quelle di rettore. Inoltre si stabilì che: “…L’Opera Pia non dovesse spendere più di £ 5,70 al giorno per convittore e il rettore, nei limiti di tale spesa, doveva provvedere a quanto occorresse per il funzionamento e il mantenimento del Convitto, comprese le piccole spese e la piccola manutenzione ordinaria dei locali, dei mobili e dell’impianto elettrico. Pertanto il rettore-gestore  De Maria non aveva diritto ad alcun compenso, neppure in qualità di tesoriere e di incaricato alla vittitazione.” (v. delibera n. 28/1921). 
Questo contratto, che per effetto di successive conferme rimase in vigore  per sette anni, durante i quali la suddetta quota giornaliera da £ 5,70 venne portata a £ 6,50 a partire dall’a. s. 1922-23 e a £ 8,10 dal 1924-25.
 Il 15 ottobre 1928 la C. A. decise di riprendere la gestione diretta del Convitto, ma confermò il Nostro sia nell’incarico di rettore (con lo stipendio annuo di £ 8.000) che in quello di tesoriere col compenso annuo di £ 700, portato poi a £ 850 nel quadriennio 1929-1932. Egli fu anche incaricato a provvedere e vigilare la fornitura del vitto ai convittori, per la quale il costo giornaliero di £ 5,20 per convittore, che non doveva essere superato, comprendeva anche sia la spesa per il vitto al personale educativo ed inserviente che il compenso per l’incarico di direzione e vigilanza del servizio mensa. 
Da quanto detto si evince che a partire dal 1921 la direzione educativa del Convitto e la gestione economica dello stesso (servizio di tesoreria + servizio mensa) furono con continuità espletate da un’unica persona: Ippolito De Maria. 
Ciò fu per l’istituzione una vera fortuna, poiché solo un educatore esperto e nello stesso tempo amministratore saggio e irreprensibile poteva assicurare stabilità al Convitto “P. Colonna” nel corso degli anni venti e trenta del secolo scorso  travagliati da ricorrenti gravi crisi sociali ed economiche come, per es., l’avvento del fascismo,  la crisi economica del 1929  ecc.
 Da buon padre di famiglia il Nostro cercò di migliorare le condizioni ambientali dell’Istituto, infatti:  
- nel 1929 chiese ed ottenne l’installazione in un ampio locale (che prima era stato studio per i convittori) di moderni servizi igienici con lavandini e docce, che utilizzavano l’acqua del pozzo  dell’edificio, attinta con una elettropompa; così finirono “in pensione” le tradizionali   bacinelle;
- ottenne  che fossero spese £ 7.000 per trasformare una grande sala (nella quale erano sempre state le bacinelle e  gli altri accessori utili alla pulizia personale) in Cappella per le funzioni religiose; questo perché aveva constatato che nella Chiesa dell’Immacolata, durante la Messa, i convittori si distraevano;     
- molto interessato al tempo libero dei giovani, acquistò una macchina cinematografica di produzione tedesca e concluse un contratto con l’Istituto Italiano Proiezioni Luminose – Milano per il noleggio di film muti: western o commedie o descrizioni di viaggi e avventure di navigatori alla scoperta di nuove terre; inoltre, coadiuvato dal bravo maestro Eugenio Gizzi, promuoveva spettacoli musicali, mentre personalmente curava un’intensa attività filodrammatica, impegnandovi i convittori che, secondo lui,  ne traevano notevoli vantaggi di carattere formativo sia sul piano morale che sociale.
Il rettore De Maria, impegnato com’era nella formazione civile, morale e religiosa dei giovani, invitava frequentemente per tenere conferenze personalità note anche in campo nazionale per le loro attività culturali o benefiche. Inoltre ogni anno, in occasione della Pasqua, affidava a un dotto sacerdote un corso di esercizi spirituali per la preparazione dei convittori al precetto pasquale.
Ma, al di là degli impegni e degli interessamenti connessi all’incarico di rettore, il Nostro era fortemente preoccupato per le difficoltà di ragazzi bravi che non avrebbero potuto continuare gli studi per le disagiate condizioni familiari. Perciò era solito ricorrere a due espedienti:
- cercava di far assumere come istitutori nello stesso Convitto, facendo loro pagare solo una parte della retta, quelli che dopo il Ginnasio dovevano intraprendere o completare gli studi liceali;
- si valeva dell’aiuto provvidenziale di un suo caro amico, rettore del Collegio Nazionale di Genova, che poteva far assumere come istitutori in quell’Istituto coloro che, conseguita la licenza liceale, non avevano i mezzi per intraprendere gli studi universitari. 
Dagli atti d’archivio del Convitto “P. Colonna” si rilevano:
- le nomine a istitutore conferite ai convittori Grano Giuseppe e Maritati Giuseppe nell’a. s. 1930 -31, e a Ciccarese Giuseppe e Ingletti Aldo nel 1931-32;
- nell’anno 1932-33 fu concesso al bravo convittore liceale Mario Sergi di dare ripetizioni ad altri convittori con l’esonero del pagamento di metà retta; allo stesso nel 1933 fu riconosciuto il compenso di £ 200 per aver supplito istitutori assenti e nel 1934, dopo il conseguimento della licenza liceale, gli fu conferita la nomina a istitutore con lo stipendio annuo di £ 1.584, oltre vitto e a alloggio.
Purtroppo la molteplice e intensa attività del rettore Ippolito De Maria si concluse il 14 marzo 1938 con la sua morte, all’età di 61 anni, causata da un male incurabile. 
Dagli atti amministrativi del Convitto emerge la costante preoccupazione che il Nostro ebbe sino alla fine per i ragazzi che le famiglie gli affidavano. Infatti nell’estate del 1937 provvide all’acquisto di un apparecchio radio, pagato £ 4.600, di cui 975 raccolte fra i convittori, ed aveva anche preparato in ogni particolare l’acquisto di una macchina cinematografica sonora, che non poté neppure vedere perché arrivò un mese dopo la sua morte.
Alla famiglia De Maria il 30 giugno 1938 venne rimborsata la somma di £ 2.043, anticipata da Ippolito per il viaggio a Roma di un gruppo di convittori che nel 1937 avevano vinto il 2° premio nella Gara Nazionale di Cultura Cattolica.


Con queste brevi note si è inteso tratteggiare la figura di un vero educatore che interpretò il proprio ruolo con un contributo costante e totale ad una sana e completa formazione della gioventù, modernizzando un’istituzione educativa.  

SANTE DE PAOLIS

Nel secolo scorso, specialmente dopo l’avvento del Governo fascista, nell’antico Ospedale Civile di Galatina, amministrato dalla Congregazione di Carità (C.d.C.), si andavano modernizzando i servizi  e la composizione del corpo sanitario.
Infatti all’inizio del 2°decennio era ancora in vigore nel Nosocomio il Regolamento approvato dalla C.d.C. il 25.08.1908, che prevedeva una “facoltà medica” costituita da un medico, un chirurgo e due assistenti medici (v. art.26) i quali avevano “… l’obbligo di prestare servizio nella sala di chirurgia e cure mediche, che si tengono nell’Ospedale a beneficio dei poveri infermi, di curarli di qualunque malattia fossero affetti, prescrivendo loro le medicine …necessarie, restando vietato di prescrivere medicine di lusso e specialità, massime quando possono queste essere supplite con succedanei (v. art. 29)”.
Ma il 5 marzo 1925 la Giunta Provinciale Amministrativa ( G.P.A.) approvò un nuovo regolamento, elaborato e proposto dalla C.d.C. il 7 dicembre 1924, per il quale il corpo medico era costituito: “…  a) da due titolari, un medico ed un chirurgo; b) da due supplenti od assistenti effettivi; c) da un numero indeterminato di assistenti volontari;…(v. art. 1)”.
Il giovane Sante De Paolis di Angelo, nato a Galatina il 7 marzo 1897, dopo aver conseguito brillantemente la maturità classica  nel liceo ‘P. Colonna’ della propria città, si laureò presso l’Università  di Napoli il 20 luglio 1920 in medicina e chirurgia col massimo dei voti e la lode.
Egli dopo il servizio militare di leva, dal quale si congedò verosimilmente come ufficiale medico, il 5 febbraio 1922 fu nominato ‘assistente’ nell’Ospedale, secondo il sopraccitato regolamento del 1908. Lo stesso, però, nel dicembre 1924 fu confermato in servizio quale  ‘assistente effettivo’ e assegnato al reparto di medicina con l’obbligo di sostituire il direttore medico in caso di assenza, come disposto dall’art.4 del nuovo regolamento.

Il 6 aprile 1928, in seguito alle dimissioni dell’ultimo di una serie di Ufficiali Sanitari Comunali provvisori, il Podestà di Galatina, Domenico Galluccio, trasmise al R. Prefetto l’elenco dei medici galatinesi liberi esercenti (ovvero non dipendenti dal Comune come medici condotti od altro), dei quali soltanto due, il dr. Sante De Paolis e il dr. Ernesto Vernaleone, avevano frequentato il 1°Corso Complementare di Igiene Pratica per Ufficiali Sanitari, tenutosi nell’Università di Firenze.
Successivamente il R. Prefetto di Lecce decretò quanto segue:

«Il dottor De Paolis Sante fu Angelo di anni 31 è provvisoriamente incaricato delle funzioni di Ufficiale Sanitario del Comune di Galatina a partire dal 1° maggio prossimo e con l’annuo assegno stabilito in bilancio.
Il Podestà di Galatina è incaricato della esecuzione del presente decreto.
Lecce, 24 aprile 1928     
Il Prefetto - F.to Negri»
Per  effetto di tale provvedimento prefettizio il dr. De Paolis ebbe prima un’incarico provvisorio di Ufficiale Sanitario di Galatina  dal 01.05.1928 al 09.05.1929.
L’incarico definitivo per lo stesso ufficio gli fu poi conferito dal R.Prefetto il 10.05.1929, con decreto n. 1215, e dal Podestà di Galatina con deliberazione n. 59 / 11.05.1929.
Così l’Ufficio Sanitario della nostra Città ebbe per la prima volta un direttore titolare.

Intanto il Governo fascista, nell’intento di adeguare al nuovo corso politico anche le Opere Pie,  con la legge n.413 / 04.03.1928 aveva disposto che  la C.d.C. fosse costituita da un Presidente, assistito dal cosiddetto Comitato dei Patroni, che era composto da 4 membri ed aveva attribuzioni esclusivamente consultive. Sia il Presidente che i Patroni erano nominati direttamente dal Prefetto.
Pertanto toccò al Presidente Fedele Sambati effettuare, sentiti i Patroni, la stesura di un nuovo ‘regolamento sanitario dell’Ospedale’ (il terzo imposto dal Regime nell’arco di 10 anni), che entrò in vigore nel 1934. Questo fra l’altro disponeva:

«a] Il corpo medico è costituito: 1) da tre titolari: un medico, un chirurgo ed un dirigente di laboratorio batterologico; 2) da tre assistenti effettivi; 3) da un numero indeterminato di assistenti volontari;…(v. art. 1). 
b] Il medico, il chirurgo ed il dirigente di laboratorio sono direttori del proprio reparto; a ciascuno di essi è affidato il materiale del reparto al quale è preposto. (Art. 3).
c] Dei tre assistenti effettivi, uno è assegnato al reparto medico, gli altri due al reparto chirurgico… . (v. art. 4). »

Gli Amministratori dell’Ospedale di Galatina, che sin dal 1930 avevano provveduto all’acquisto di apparecchiature per semplici esami clinico – chimici, soltanto il 28 giugno 1936 istituirono un vero e proprio laboratorio batteriologico, a dirigere il quale fu provvisoriamente incaricato  il dr. Sante De Paolis, il quale, essendo retribuito come assistente effettivo, non avrebbe ricevuto alcun compenso aggiuntivo e, cosa importante, era nella possibilità di usare apparecchi di sua proprietà, tra cui il microscopio, che la C.d.C. non era in grado di acquistare a causa dell’elevato costo. 

Il 26 febbraio 1940, in seguito alle dimissioni del dott. Carmine D’Amico da Caporeparto di medicina e da Direttore Sanitario, l’E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza, subentrato nel 1937 alla C.d.C. nella gestione dell’Ospedale) attribuì in via provvisoria al dr. Sante De Paolis anche la Direzione dell’Ospedale, con l’assegno annuo di £ 440. 
Dopo il bombardamento dell’aeroporto di Galatina, avvenuto il 2 luglio 1943, l’E.C.A. avviò con appositi fondi ministeriali l’erogazione di un’indennità giornaliera di £ 22 ad ogni dipendente del Nosocomio “a risarcimento dei danni dovuti ad offese nemiche”, dalla quale erogazione erano però esclusi tutti i medici. Perciò il dr. Sante De Paolis, in qualità di direttore sanitario, avanzò un’esplicita richiesta per un contributo straordinario ai sanitari.
Il 30 giugno 1943 detta istanza fu presa in esame dal Consiglio di Amministrazione (C.d.A.) dell’Ente, il quale s’impegnò di  prender in considerazione le possibilità di bilancio ai fini della concessione del beneficio richiesto e, nello stesso tempo, espresse compiacimento e lode al dr. De  Paolis per l’opera assidua ed intelligente che egli svolgeva a favore degli infermi.

In data 3 giugno 1949 il C.d.A. presieduto dal colonnello Pietro Gaballo, nel rispetto dell’art.7 del Regolamento Sanitario, che fra l’altro disponeva testualmente:
« L’ammissione del personale effettivo è fatta per concorso e soltanto per titoli (sic)…”,  procedette alla sistemazione definitiva esclusivamente del dr. Sante  De Paolis, direttore sanitario dal 1940 (e in servizio nell’Ospedale dal 1922), e del prof. Donato Vallone, capo-reparto di chirurgia dal 1933, mentre tutto il rimanente personale continuava ad essere ritenuto, come sempre, incaricato provvisoriamente.»

Dal marzo 1954 al gennaio 1957 l’E.C.A. (e quindi l’Ospedale) fu gestito dal Commissario Prefettizio, dott. Gaetano Laforgia, il quale nominò provvisoriamente capo-reparto di medicina il prof. Luigi Capani. Questi assunse servizio il 1° gennaio 1955, ma il dr. Sante De Paolis conservò l’incarico di direttore sanitario e, come tale, nel settembre 1955 fece parte della Commissione esaminatrice del 1°concorso pubblico nella storia del Nosocomio, che riguardava l’assunzione di un’ostetrica e fu vinto dalla sig.ra Carmela De Benedittis.
Il 15 gennaio 1955 il neolaureato dr. Angelo De Paolis, figlio del dr.Sante, fu nominato assistente volontario e assegnato al reparto di medicina, con particolare attribuzione al  gabinetto batteriologico, per il quale era stato finalmente acquistato un microscopio Zeiss, completo di accessori, per £ 327.540.
Il dr. Sante De Paolis alla fine del 1° semestre  del 1956 presentò domanda di dimissioni da direttore sanitario dell’Ospedale, carica questa dichiarata incompatibile con quella di Ufficiale Sanitario Comunale di ruolo da lui stesso ricoperta. Il 2 luglio il Commissario G. Laforgia ne prese atto ed avviò la procedura per la liquidazione all’interessato dell’indennità di buonuscita ammontante a £ 396.000, pari ad uno stipendio per ognuno dei 33 anni di servizio prestati.

Da quanto sopraesposto si evince che il Nostro è stato un antesignano in tutti i ruoli rivestiti: primo ‘assistente effettivo’ dell’Ospedale (1924); primo ‘ufficiale sanitario comunale’ fornito di titolo specifico (1928); primo ‘dirigente del laboratorio batteriologico ospedaliero’ (1936); primo ‘direttore sanitario con sistemazione definitiva’(1949); membro della commissione esaminatrice del 1°concorso bandito dall’Ospedale (1955) ed, infine, primo dipendente di ruolo del Nosocomio  ad essersi dimesso dopo 33 anni di ininterrotto servizio (1956).
Ma dopo tali dimissioni il dr. Sante De Paolis continuò a dirigere con grande autorevolezza l’Ufficio Sanitario Comunale e, soprattutto, a dedicarsi con passione, diligenza e successo non comuni all’esercizio privato della medicina generale. In questa veste è stato direttamente conosciuto e molto apprezzato anche dalla famiglia dello scrivente.
Da Ufficiale Sanitario andò in pensione per raggiunti limiti di età, ma privatamente con immutata dedizione continuò l’attività di medico di base finché le forze glielo consentirono.
Il dott. Sante De Paolis morì a 85 anni nel 1982. 
Dalla Sua scomparsa è trascorso ormai più di trentennio, ma Galatina nulla ha ancora fatto per ricordarlo. 



BENIAMINO DE MARIA

Nelle prime elezioni politiche del dopoguerra, che ebbero luogo nel 1946 per la nomina dei Deputati all’Assemblea Costituente, gli elettori galatinesi ebbero la grande soddisfazione di vedere eletti Beniamino De Maria e Luigi Vallone: in tal modo Galatina con due  figli  fra i Padri Costituenti andava a collocarsi nel ristretto gruppo di Città che potevano vantare tanto onore.
Una situazione analoga si verificò nel 1948, quando nelle elezioni politiche del 18 aprile,  De Maria e Vallone furono entrambi eletti a far parte della Camera dei Deputati. 
In memoria dei Padri Costituenti Beniamino De Maria e di Luigi Vallone sono state soltanto intitolate due vie della contrada  Notaro Iaco, zona agricola ad ovest di Galatina, ben distante dall’abitato.
      
Beniamino De Maria, nato a Galatina il 7 agosto 1911, fu il primo dei quattro figli di Ippolito e di Consiglia Bardicchia, lui censore del Convitto “P. Colonna”, lei insegnante  nelle Scuole Elementari, entrambi animati da profonda religiosità che seppero trasmettere ai propri figli.
Egli trascorse serenamente gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza e, completati gli studi nel Liceo-Ginnasio “P. Colonna”, andò a Padova, dove, ospitato in un pensionato religioso per studenti, frequentò l’Università per laurearsi in Scienze Naturali.
Nel 1931, da iscritto alla FUCI (Federazione Universitari Cattolici Italiani), si trovò a fare i conti con la decisione presa da Mussolini di chiudere i Circoli di Azione Cattolica e nel corso delle conseguenti proteste degli universitari cattolici si dimostrò sempre sereno e riflessivo e, quindi, capace di moderare gli ardimenti dei colleghi più emotivi. Per questo nel 1934 meritò l’elezione a presidente della FUCI di Padova. Nel 1935 si laureò brillantemente in Scienze Naturali e si trasferì nell’Università Bologna  per studiare Medicina. Conseguita nel 1937 la laurea, tornò a Galatina. Intanto il padre Ippolito, che del Convitto “Colonna” era diventato sia rettore che tesoriere e responsabile della vittitazione, moriva  il  14 marzo 1938.
Il Nostro dopo circa un mese, per le insistenze  del presidente dell’Istituto, accettò fino al 31 dicembre 1938 i tre incarichi già rivestiti dal proprio genitore. Tuttavia con delibera della Commissione Amministrativa del 1°ottoobre 1938 egli fu sollevato dall’incarico di responsabile della vittitazione, mentre per effetto di varie conferme fu rettore addirittura fino a 31 dicembre 1939, quando si dimise, conservando, però, la responsabilità di tesoriere fino all’ottobre 1940. 
Intanto esercitava la professione medica, visitando a domicilio gli ammalati a tardissima sera,  mentre al mattino (sin dal 1939) insegnava Scienze nel Liceo “P. Colonna”.
Durante la seconda guerra mondiale anche il dott. Beniamino De Maria indossò dal 1941 l’uniforme di ufficiale medico e, come tale, prestò servizio prima a Bari e poi a Porto Cesareo in una postazione costiera, dove lo colse l’armistizio dell’8 settembre 1943. Ma solo nel 1945  ottenne il congedo e poté tornare al suo lavoro di medico e di professore, senza avere ambizioni politiche, sebbene fosse simpatizzante della Democrazia Cristiana, erede del Partito Popolare. 
Si deve alle insistenti pressioni dell’Arcivescovo, mons. Sebastiano Cuccarollo, e soprattutto a quelle del  Parroco, don  Salvatore Podo, l’accettazione da parte del Nostro della candidatura  alle elezioni per il Consiglio Comunale (31 marzo ‘46 ) e  per l’Assemblea Costituente (2 giugno ’46). 
Così Beniamino De Maria, dotato di un’oratoria asciutta e priva di atteggiamenti plateali, ebbe modo d’imporsi subito come astro nascente della Democrazia Cristiana e alfiere della lotta contro la sinistra socialcomunista, alla quale la D.C. cercava di ridurre il consenso dei ceti popolari.                                   
Nelle suddette elezioni amministrative la lista civica di destra, capeggiata da Luigi Vallone, ottenne 6.298 voti, mentre la lista D.C. ne ebbe 2.507. Quindi divenne Sindaco Luigi Vallone.
Invece  nelle elezioni per l’Assemblea Costituente Beniamino De Maria con 18.279 voti superò Vallone, eletto anche lui. Situazione questa che si ripetè in maniera più netta nelle votazioni per l’elezione della prima Camera dei Deputati (18 aprile 1948), quando il Nostro ebbe 48.525 voti. 
Prima del 1956 la prevalenza nelle elezioni amministrative delle liste capeggiate  o sostenute da  Luigi Vallone fu costante, ma questi non era stato rieletto deputato nel 1953. Mentre De Maria, oltre ad essere rieletto con 47.159 preferenze, nella II legislatura fece parte del 1° Governo Fanfani in qualità di Commissario Aggiunto per l’Igiene e la Sanità; incarico questo  rivestito ininterrottamente  fino al 19.05.1957,  cioè sia col Governo Scelba che con i1 1° Governo Segni.
Nelle prime elezioni amministrative col metodo proporzionale (1956), i 30 seggi del Consiglio Comunale furono cosi distribuiti: 9 alla lista civica capeggiata da L. Vallone, altri 9 alla lista D.C., 8  ad una lista socialcomunista, 3  alla lista del M.S.I. ed 1 alla lista P.S.D.I. .
 Poiché solo l’unico consigliere del P.S.D.I. era disposto ad allearsi con i nove consiglieri valloniani, si pervenne  alla formazione di una Giunta Municipale minoritaria, costituita da democristiani, che però aveva l’appoggio esterno sia dei consiglieri di sinistra che di quelli del M.S.I.. Sindaco divenne il colonnello  Pietro Gaballo, eletto insieme alla Giunta il 1° luglio 1956.
Tutto questo ebbe una grande risonanza a livello nazionale ed espose a gravi conseguenze politiche la D.C. locale ed in particolare l’on. De Maria, il quale in sede parlamentare aderiva da sempre al gruppo politico di cui facevano parte Dossetti, Fanfani, Moro, Scalfaro e Zaccagnini.  Perciò il sindaco Gaballo e la Giunta Municipale dopo appena nove mesi si dimisero, ufficialmente per la mancata approvazione da parte del Consiglio del bilancio preventivo 1957.          
Comunque tali dimissioni non comportarono alcuna conseguenza negativa per il Comitato E.C.A., costituito da  4 consiglieri democristiani, 4 socialcomunisti e uno missino, che si era insediato il 3 gennaio 1957 ed aveva eletto a proprio presidente la sig.na Palmina De Maria.       
Così finalmente tutti i finanziamenti destinati a Galatina per opere assistenziali (ivi comprese le sanitarie), ottenuti da B. De Maria, in quanto Deputato nonché membro del Governo della Repubblica, non sarebbero stati amministrati da persone a lui da sempre politicamente avverse. 
Il Comitato di Amministrazione (C.d.A.) dell’E.C.A., sicuro di avere in Beniamino De Maria un vero nume tutelare, già nel gennaio 1957 avviò le pratiche per la costruzione del nuovo edificio ospedaliero e il successivo febbraio ottenne dal Ministero dei Lavori pubblici il contributo e la garanzia dello Stato per un mutuo di £138.000.000 con la Cassa Depositi e Prestiti al fine di costruire un Ospedale “tipo 69 posti letto”. Prestito questo al tasso del 5,80%, di cui il 5% a carico dello Stato. Pertanto Palmina De Maria, autorizzata dal C.d.A., procedette all’acquisto in contrada S. Sebastiano del necessario suolo edificatorio di mq. 27.600, contraendo a tal fine un altro mutuo di £ 15.000.000  Intanto, previo nulla osta del Ministero LL.PP., nel giugno 1957 si affidava al prof. arch. Pasquale Carbonara dell’Università di Roma  il  progetto dell’edificio. 
In data 18 luglio 1958  progetto ed allegati dell’erigendo Ospedale “S.Caterina Novella” furono approvati dal C.d.A. dell’ECA e un anno dopo, il 19 luglio 1959, ci fu la posa della prima pietra con l’intervento dell’On. Camillo Giardina, ministro della Sanità. Effettuata la gara d’appalto dei lavori, il contratto con l’impresa vincitrice, la ditta Antonio Pascali, fu stipulato nel marzo 1960.
Il ritmo sostenuto, con cui venivano espletati i sopraindicati adempimenti per la realizzazione del nuovo Nosocomio, non sarebbe stato certo possibile senza il costante, celere e proficuo sostegno dell’On. De Maria e senza la sua perfetta intesa con il C.d.A. dell’E.C.A. di Galatina.
Il Nostro, rieletto nel 1958 con 45.619 voti, fu prima presidente della Commissione Igiene e Sanità della Camera, poi dal 15 febbraio 1959 al 25 marzo 1960 fece parte del 2° Governo Segni, e concluse la III legislatura, essendo di nuovo presidente  della Commissione Igiene e Sanità.
Col suo consiglio e sostegno il C.d.A. dell’E.C.A. il 19 aprile 1961, ritenendo che il nuovo edificio dovesse disporre  di almeno 223 posti letto (e  non più di soli 69), perché ormai il Nosocomio esistente era passato dalla II alla III categoria, approvò un nuovo progetto generale dello stesso, che comportava una maggiorazione di spesa di £ 62.000.000, al fine di raggiungere l’importo di £ 200.000.000, fissato dalla legge 589/1949 per Comuni con meno di 30.000 abitanti. 
Tuttavia le notevoli ulteriori spese per il completamento del nuovo edificio dell’Ospedale fu possibile imputarle su uno stanziamento di altri 200 milioni di lire che De Maria riuscì ad ottenere nel 1964 dalla Cassa per il Mezzogiorno. Quest’ultima il 9 luglio 1965 stanziò un’ulteriore notevole somma per l’attrezzatura ospedaliera.
L’inaugurazione dell’Ospedale “S. Caterina Novella” ebbe luogo il 10 giugno 1966 con l’intervento del Presidente del Consiglio, On. Aldo Moro.      
Beniamino De Maria, rieletto  nel 1963  con 44.008 preferenze, cinque anni dopo nelle elezioni politiche del 1968 ottenne ben 54.194 voti [effetto O… come ospedale?] e sia nella IV che nella V legislatura fu di nuovo Presidente della Commissione Igiene e Sanità della Camera dei Deputati. Fu anche candidato alle elezioni del 1972 e fu eletto per la settima volta con 57.236 preferenze. 
Successivamente il Nostro fu Sindaco di Galatina dal 1978 al 1989. Fra le più importanti opere della sua fattiva amministrazione si segnalano la sistemazione della Biblioteca Comunale e la creazione sia del Campus Scolastico che del Quartiere Fieristico.
La Biblioteca “P. Siciliani”, trovata dal  dott. Vito Vallone in completo disordine e collocata in un solo salone, fu dallo stesso ordinata e poi aperta al pubblico nel 1905. La stessa 75 anni dopo era ancora in un solo ambiente, con molti libri ammonticchiati sul pavimento. Il Sindaco  De Maria provvide tra il 1980 e il 1984 a far trasformare un tale informe deposito di libri in una vera biblioteca, dignitosamente sistemata in numerosi ambienti, che in tutto hanno una superficie di oltre  700 mq.. Perciò alla memoria di Vito Vallone e di Beniamino De Maria è stato dedicato il libro P. Congedo-La Biblioteca “Pietro Siciliani” di Galatina, Edit Santoro, Galatina, 2011. 
A Galatina nel Campus Scolastico di viale Don Tonino Bello dall’anno scolastico 1988-89 hanno la propria sede tre o quattro Istituti d’Istruzione Scolastica Secondaria Superiore, per la lunga realizzazione  dei quali l’Amministrazione presieduta dall’ On. De Maria fu per alcuni anni seriamente impegnata.        
La cosiddetta Mostra Mercato del Commercio, dell’Industria e dell’Artigianato di Galatina,  sorta per iniziativa del Sindaco Luigi Vallone al fine di avere una grande vetrina per l’esposizione e il commercio dei prodotti del Salento, ebbe luogo per la prima volta dal 26 al 30 giugno 1949 nell’Edificio Scolastico di piazza F. Cesari. La stessa fu poi dichiarata Fiera Nazionale di Galatina e, pur crescendo, veniva ospitata ogni anno sempre nella stessa sede. Quindi era proprio necessaria  la grandiosa struttura del Quartiere Fieristico, che sorse poi su un’area  di mq. 31.000, di cui mq.11.000 coperti. I lavori per la sua realizzazione durarono circa 5 anni, dal 1979 al 26 giugno 1984, quando, in coincidenza della XXXV edizione della Fiera, ebbe luogo l’inaugurazione alla presenza del Vicepresidente del Senato, Giorgio De Giuseppe.


Nel 1995 la gestione fu affidata all’Ente Autonomo Fiere di Verona e fu poi costituito dall’Amministrazione Comunale, con la partecipazione di Amministrazione Provinciale e  Camera del Commercio di Lecce, il cosiddetto Ente Fiera di Galatina e del Salento.

DOMENICO  GALLUCCIO

 Fino a tutta la prima metà del secolo scorso ed anche dopo nell’Ospedale di Galatina, come in tutti gli Ospedali della Provincia di Lecce, il servizio di ortopedia era espletato dai chirurghi. A tal proposito è significativo il fatto che il  primario chirurgo del Nosocomio galatinese,  prof. dott. Donato Vallone, il 3 dicembre 1948, informato che gli sarebbero state corrisposte £ 240.444, quale quota  a lui spettante dei proventi da operazioni e cure effettuate ad infermi paganti in proprio, avesse dichiarato di rinunziare all’intera somma per devolverla all’Ospedale, chiedendo, però, che dalla stessa fosse detratto l’importo relativo all’acquisto dell’apparecchio per la cura delle fratture, da lui già richiesto con insistenza. D’altronde le norme sanitarie vigenti all’epoca non prescrivevano al medico un’apposita specializzazione  per l’esercizio dell’ortopedia.
 Nel 1941  Domenico Galluccio, nato a Galatina nel 1917, si era laureato in medicina e chirurgia  e durante la II guerra mondiale fu per quattro anni Ufficiale Medico nella Marina Militare. Una volta congedato si recò a Bologna per specializzarsi negli Istituti Ortopedici Rizzoli, culla dell’ortopedia italiana.
 Conseguita la specializzazione rientrò a Galatina nel 1952 col fermo proposito di istituire uno specifico servizio di ortopedia nel locale Ospedale “Antonio Vallone”. Per far questo dovette chiedere il permesso del Medico Provinciale pro tempore, il quale obiettò: “… ma come faccio ad autorizzarti a Galatina, se l’ortopedia non c’è nemmeno a Lecce…!”. “Ma proprio per questo deve autorizzarmi!”, soggiunse lui.   
 Il Nostro in data 20 giugno 1952 stipulò con il Comitato di Amministrazione dell’E.C.A., che gestiva l’Ospedale “Antonio Vallone” di Galatina, la seguente convenzione:
1) Il dott. Galluccio si impegna a prestare la propria opera, senza alcun compenso, per la cura degli ammalati di traumatologia e di ortopedia ricoverati per conto di Comuni ed Enti;
2) lo stesso si sarebbe potuto servire della propria attrezzatura, che avrebbe trasportato in    Ospedale, con la possibilità di riprendersela allo scadere della convenzione; 
 3) per i ricoverati in conto di Enti  Mutualistici il dott. Galluccio avrebbe percepito l’intero onorario medico pagato dagli stessi; 
4) dai paganti in proprio il dott. Galluccio avrebbe ricevuto l’intero onorario medico, mentre l’Ospedale avrebbe percepito la retta di degenza e i diritti per la sala operatoria e la sala gessi; 
5) dai paganti che richiedessero cure fisiche…, sia ambulatorialmente che ricoverati, il dott. Galluccio avrebbe percepito il 50% degli introiti, mentre il rimanente 50% sarebbe andato al Nosocomio;  
6) tutto il materiale sanitario occorrente nella sala operatoria e nelle sala gessi sarebbe stato a carico dell’Ospedale; 
7) la convezione sarebbe durata dal 1°giugno 1952 al 31 maggio 1954.
Così l’antico Ospedale orsiniano, a circa 550 anni dalla sua fondazione, accolse il primo specifico servizio di ortopedia della Provincia di Lecce, impiantato in maniera inconsueta ad opera di uno specialista, che era anche proprietario della necessaria strumentazione sanitaria. Tuttavia l’iniziativa si rivelò oltremodo proficua sia a beneficio degli infermi che nell’interesse dell’Istituto di cura, proprio come avvenne 14 mesi dopo per il servizio chirurgico in seguito all’assunzione  del dott. Vincenzo Carrozzini, astro nascente della chirurgia. Assunzione questa che ebbe luogo, però, per via normale in data 26 agosto 1953, dopo la volontaria uscita di scena del prof. Donato Vallone.  
I dottori Galluccio  e Carrozzini, entrambi dotati di preparazione e professionalità notevoli nonché di squisite doti umane, in breve tempo portarono all’eccellenza rispettivamente il reparto di ortopedia e quello di chirurgia dell’Ospedale “Antonio Vallone”, con grande soddisfazione dell’utenza ed incidendo in maniera oltremodo positiva nell’economia dello stesso Ente. Quest’ultimo effetto è bene evidenziato nelle  ripartizioni fra i medici (fatte periodicamente dall C.d.A. dell’E.C.A.) dei proventi derivanti da  operazioni e cure prestate ad infermi paganti. Per  esempio, il 28 dicembre 1953 la somma di £ 780.460 di tal genere venne così ripartita: £ 81.650 all’Ospedale, £ 312.000 al chirurgo Vincenzo Carrozzini, £ 238.000 all’ortopedico Domenico Galluccio ed il resto, pari a £ 148.810 da suddividere ad altri sette sanitari, tenendo conto delle particolari competenze di ciascuno di essi.
Allo scadere della sopraccitata convenzione (31 maggio 1954) il dott. D. Galluccio riprese, come stabilito, le proprie attrezzature che, verosimilmente, trasferì a Lecce nell’erigenda clinica privata di sua proprietà, detta “Villa Bianca”, la quale entrò in funzione nel 1955.
Intanto alla fine del marzo 1954 nella gestione del Nosocomio al dimissionato C.d.A. dell’E.C.A. era subentrato il  Commissario prefettizio, dott. Gaetano Laforgia. Questi nel giugno dello stesso 1954 provvide ad adeguare lo Statuto Organico sia alle norme sanitarie vigenti che allo sviluppo avuto dall’Ente negli ultimi tempi. Ciò gli consentì di procedere nel successivo luglio alla copertura di alcuni posti previsti dalla nuova pianta organica, nominando provvisoriamente vari sanitari, fra cui cinque specialisti, i quali vennero assunti come ‘consulenti sanitari’, ognuno con diritto al 75% del ricavato dalle cure prestate a pazienti paganti. 
Uno di tali consulenti era appunto il dott. Domenico Galluccio, il quale aveva l’obbligo di essere giornalmente presente in Ospedale e per questo avrebbe anche ricevuto mensilmente un rimborso  spese forfetario di £ 12.000. 
Lo stesso Commissario La Forgia alla fine del novembre 1954 acquistò dalle Officine Rizzoli di Bologna l’intera strumentazione per il reparto di ortopedia, pagandola circa due milioni di lire.

L’Istituto di cura galatinese, che dal Prefetto di Lecce era stato declassato ad “infermeria” il 19 ottobre 1939, venne dallo stesso classificato “Ospedale di III categoria” con apposito decreto del 21 dicembre 1954. Questo riconoscimento, atteso per ben 15 anni, diede la possibilità al Commissario di  bandire il 25 giugno 1955 i concorsi per i posti di primario medico,  primario chirurgo, primario ortopedico, aiuto medico, aiuto chirurgo, aiuto ortopedico, farmacista, di  un’ostetrica e di quattro assistenti medici.
Intanto il precedente 15 giugno al dott. Domenico Galluccio, che da circa un anno prestava   servizio in qualità di Consulente ortopedico, era stata conferita la nomina provvisoria di primario.
Entro il  secondo semestre del 1955, all’infuori del concorso per primario ortopedico e  per aiuto medico, tutti gli altri concorsi furono regolarmente espletati da commissioni esaminatrici per la maggior parte presiedute dal dott. Gaetano La Forgia; ne erano risultati vincitori i medici che già occupavano con nomina provvisoria i relativi posti. Solo per il posto di aiuto ortopedico risultò al 1° posto della graduatoria una dottoressa, che non era già in servizio, la quale si dimise dopo pochi giorni   per cui fu assunto il dott. Angelo Podo, 2° in graduatoria, che era già incaricato.
Nel luglio 1957 fu anche fatto il concorso per aiuto medico, mentre quello per primario ortopedico non ebbe luogo né finché rimase in carica il Commissario La Forgia (2 gennaio 1957) né dopo, durante la gestione di due successivi Comitati dell’E.C.A., presieduti da Palmina De Maria.
Intanto a partire dal 15 maggio 1961, in ottemperanza del D.P.R. 23 marzo 1960, alla gestione dell’Ospedale era subentrato un apposito Consiglio di Amministrazione (C.A.O.), costituito da Palmina De Maria-presidente, Donato Moro, don Mario Rossetti, Zeffirino Rizzelli e Corrado Villani, nominati rispettivamente dal Medico Provinciale, dal Prefetto, dall’Ordinario Diocesano, dal Comune e dall’E.C.A.. Questo nuovo Organo ( peraltro anche rinnovato il 14 novembre 1962, nelle persone di Palmina De Maria - presidente, Gustavo Giordano, Salvatore Zuccalà, Pasquale Coluccia e don Mario Rossetti) soltanto ad oltre 26 mesi dal primo insediamento, con apposito avviso del 1° agosto del 1963, rese pubblica la riapertura, fino al successivo 9 settembre, dei termini per la partecipazione al concorso per primario ortopedico, riconoscendo però piena validità alle domande che alcuni medici avevano già presentato nel 1955.
Il medesimo C.A.O. nella seduta del 4 dicembre 1963, dopo aver dichiarato ammessi al concorso i dottori: Domenico Galluccio, Paolo Miglietta, Giovanni Minervini, Vincenzo Roberto, Giacomo Rosa e Vittorio Valerio, fu informato dalla presidente De Maria che il dott. Domenico Galluccio in una  lettera del precedente 20 novembre  aveva lamentato che, né con l’avviso di riapertura dei termini né in altro modo, a lui, che aveva presentato la propria domanda nel 1955, nulla era stato comunicato in ordine alla facoltà di integrare la documentazione ad essa allegata con i titoli successivamente acquisiti, e perciò aveva richiesto un provvedimento che gli permettesse la presentazione degli stessi entro un termine perentorio.
Nel successivo dibattito il consigliere avv. Salvatore Zuccalà propose di non ignorare  la richiesta di Galluccio e di pubblicare un nuovo e più completo avviso di riapertura dei termini  per la presentazione di domande e/o documenti da parte  dei candidati al concorso in questione, tenendo  anche conto del fatto che il precedente avviso era stato pubblicato in periodo feriale.
La proposta Zuccalà, votata a scrutinio segreto, riportò un solo voto favorevole sui cinque espressi.            
Le prove d’esame ebbero luogo nei giorni 16 e 17 dicembre 1963.Una settimana dopo il C.A.O. approvò la seguente graduatoria dei vincitori: 1° Paolo Miglietta con punti 335,88/500, 2° Domenico Galluccio con p. 291,65 /500, 3° Giacomo Rosa con p. 284,41/500.      
Cosi, in maniera veramente kafkiana, fu “estromesso” dall’Ospedale di Galatina un vero pioniere dell’ortopedia, che vi aveva creato e diretto con successo per 11 anni il primo reparto ospedaliero di ortopedia della Provincia di Lecce, conseguendo in esso risultati scientifici e professionali rimasti esemplari ed anche insuperati per molto tempo.
Intanto due ricorsi al Consiglio di Stato (C.d.S.) in sede giurisdizionale erano stati già presentati dal dott. Domenico Galluccio: il primo tendente ad ottenere l’annullamento della delibera n.269/16 luglio 1963, relativa alla riapertura dei termini del concorso in questione; il secondo sia per i motivi esposti nel primo che avverso l’esito del concorso al posto di primario ortopedico.
Trascorsero circa tre anni prima della sentenza con cui la V Sezione del C.d.S. dispose l’annullamento della “… procedura del concorso relativo al posto di primario ortopedico,…, a partire dal provvedimento di riapertura dei termini fino all’atto di approvazione della graduatoria e di nomina del vincitore.”
Pertanto il C.A.O. presieduto da Palmina De Maria, per dovendo dare esecuzione a tale sentenza,  provvide ad un rigoroso rifacimento del concorso in questione. A questo vennero ammessi Domenico Galluccio, Paolo Miglietta, Giovanni Minervini, Vincenzo Roberto e Giacomo Rosa.
Le prove d’esame ebbero luogo il 9 ottobre 1967, ma dei cinque candidati si presentò soltanto Paolo Miglietta, che naturalmente risultò vincitore.      
Al dott. Domenico Galluccio bastava aver ottenuto dal Consiglio di Stato il suddetto annullamento, poiché ormai non aveva alcun interesse a rientrare nel Nosocomio galatinese, in quanto da più di un triennio era primario ortopedico nell’Ospedale di Scorrano, dove in tutta serenità rimase in servizio sino alla pensione, dando il meglio di sé. Proprio in quella sede, infatti, mise a punto una tecnica di cura delle fratture ossee, basata su quelli che, regolarmente brevettati,  sono indicati dalla letteratura medica come “chiodi Galluccio”. Con tal tecnica “…Senza incidere le pelle si fa un foro nel canale midollare con un piccolo punteruolo e si mettono i fili molto sottili di un acciaio molto particolare, detti appunto ‘chiodi’, che vengono modellati a spirale nell’osso. Così l’osso viene rinforzato dall’interno, e il paziente non ha bisogno né di gesso né di altro…” ( da un’intervista al dott. D. Galluccio, riportata dal settimanale “il Corsivo”, n.9 del 15 marzo 2003).        
Si noti che in assenza di tagli chirurgici si riduce al minimo il rischio di infezioni, per cui il ricorso alla tecnica Galluccio è particolarmente utile e opportuno quando vengono a mancare gli antibiotici, come è accaduto nell’Iraq di Saddam Hussein a causa dell’embargo, subito in seguito alla ‘guerra del Golfo’ del 1990-91. E proprio in Iraq nel 1995 venne chiamato il Nostro per presentare ed introdurre nella Clinica Ortopedica di Baghdad l’uso dei suoi “chiodi”. 
I galatinesi, già scioccati dalle assurde manovre con cui nel 1963 era stato “estromesso” dal loro Ospedale un validissimo, gentile ed innovatore medico specialista in ortopedia, non potendo più contare su un efficiente servizio ortopedico esistente nella propria Città, cominciarono ad intraprendere con sempre maggiore frequenza “viaggi della speranza”, che continuano ancora oggi, verso Ospedali di altri Comuni vicini e lontani. E per molti anni hanno avuto la fortuna di poter ricorrere alle cure del dott. Domenico Galluccio prima recandosi all’Ospedale di Scorrano e successivamente a Lecce, presso la clinica “Villa Bianca”, nella quale il Nostro fu attivo fino all’età di 91 anni, quando effettuò un ultimo intervento con i chiodi…Galluccio per frattura di omero.


Visse ancora qualche anno e alla sua morte fu rimpianto da quanti lo conoscevano, ed in particolare dagli ortopedici pugliesi, dei quali era  il decano.    

DONATO MORO

1 - Donato Moro, nato a Galatina l’8 novembre 1924, dopo aver conseguito la maturità classica nell’Istituto “P. Colonna” della propria città, entrò nella Scuola Normale di Pisa, classificandosi primo nella selezione.
Si laureò il Lettere il 26 luglio 1948 col massimo dei voti.  
Insegnò materie letterarie nell’Istituto Magistrale di Livorno e successivamente nel Liceo Classico di Galatina.
Diventato poi Ispettore Centrale, venne assegnato alla Direzione Generale per l’Istruzione Tecnica presso il Ministero della P.I. . A partire dal 1° giugno 1984 ebbe costantemente il ruolo di coordinatore della Segreteria Tecnica degli ispettori centrali. 
Morì prematuramente il 22 dicembre 1997

Il 25 luglio 2007, nel decennale della sua morte, fu commemorato dal prof. Donato Valli. Questi, tratteggiando la figura di Donato Moro, uomo, riferì un’esperienza personale risalente a molti anni prima, quando da neo-laureato aveva partecipato al  concorso per un posto di “ordinatore” presso la Biblioteca Provinciale “N. Bernardini” di Lecce. Concorso pubblico questo che si riteneva sarebbe stato vinto dal candidato più raccomandato. 

Ma ciò non avvenne!

Infatti l’Assessore Provinciale alla P.I. Donato Moro, in qualità di presidente della Commissione Esaminatrice, dimostrando notevole levatura morale e  indiscutibile onestà umana e professionale, riuscì a far valutare con equità tutti i concorrenti, per cui vinse il concorso il più bravo (Valli) e non il solito pluri-raccomandato.

Il prof. Valli definì Donato Moro uomo semplice e povero, la cui esistenza era stata  caratterizzata da sensibilità, umanità e incapacità a risentimenti. Perciò era stato amico di tutti. Per mettere meglio in evidenza tali doti lesse anche le ultime due terzine della seguente poesia in dialetto magliese di Nicola G. De Donno, intitolata “Dunatu Moru”  (V. Nicola G. De Donno, Mumenti e trumenti, Lecce, 1980, p. 55).

«Dunatu Moru, a ffiate jeu me penzu  / ca tie sine, ca si’ nnu Moru santu / nu ll’àutru, lu puliticu, ca cquantu / ca lu rispettu mortu, troppu ggenzu

Li fumulèane, se tantu dae tantu. / E’ mmortu, dicu, e pperciò me dispenzu / cu ccuntu; ma però cinca sta a mmenzu / a lli ngranaggi, po’ mmurire santu?

La mente toa, parole nu nne vinni, / nu ncucchi sordi, nu tte tramenzani / cu ttiri voti, nu ssali e nu scinni

scale. L’oi bbene a tutti li cristiani, te àprene le razze li piccinni, l’animali te lliccane le mani.»

[Donato Moro, a volte io penso / che tu sì che sei un Moro santo, / non l’altro, il politico, che per quanto lo rispetti da morto, troppo incenso // 
gli turibolano, se tanto dà tanto. / E’ morto, dico, e perciò mi astengo / dal parlare; però chi sta in mezzo / agli ingranaggi può morire santo? // 
La tua mentalità è che non vendi parole, / non accumuli denaro, non ti intrallazzi / per tirare voti, non sali e non scendi // 
scale. Vuoi bene a tutte le persone, / ti spalancano la braccia i bambini, / gli animali ti leccano le mani.]

 Nella presentazione di Moro poeta, il prof. Valli ha ricordato che egli cominciò a pubblicare sporadicamente su riviste e giornali periodici. Dopo uscì il volume “Segni nostri” (Ed. Lacaita, Manduria, 1993), importante raccolta di liriche di con la prefazione di Oreste Macrì.

Quattro anni dopo ci fu la pubblicazione, a cura di Luigi Blasucci, di un’altra raccolta, intitolata “A Giovanna detta anche Girmi” (Ed. M. Pacini Fazzi, 1997). Dopo la sua morte, sono state pubblicate le raccolte “Dicembre è ritornato” (Supplemento del periodico “Presenza Taurisanese”, Taurisano, 1996) e, a cura di Gino Pisanò “Antologia Poetica (Ed. M. Congedo, Galatina, 2004). 

 Il prof. Valli sostiene fra l’altro che dai versi di Donato Moro emergono:
- il senso morale della poetica;
- il senso dell’amore vissuto più letterariamente che come passione;
- un’impostazione che diventa impressionistica per quel che riguarda il Salento.

Soprattutto nelle prime liriche (risalenti agli anni 50) è presente il riferimento al mondo classico (catulliano, oraziano ecc.), ma in un contesto moderno, che ha ben assorbito l’antica tradizione letteraria nella fattura del verso. Quindi, secondo Valli, Donato Moro è un classico in veste moderna: egli è preso dal ritmo, la manipolazione della musica lo affascina, ma nei suoi versi non c’è nulla di forzato, perché il modello classico rappresenta per lui il mondo della serena gioia, dell’armonia dei contenuti, della consolazione dei concetti.
Egli non gioca sulla forma, cioè sul formalismo poetico, né sulle sonorità esterne, sulle assonanze, ma gioca soprattutto sui contenuti.
Il Nostro, ricordato come poeta dal prof Valli,  è stato anche autore di opere storico-letterarie, e in particolare di: “Per l’autentico Antonio De Ferraris Galateo” (Ed. Ferraro, Napoli, 1990) e “ Hydruntum / fonti documenti e testi sulla vicenda otrantina del 1480”, in 2 tomi , a cura di Gino Pisanò (Ed. Congedo, Galatina 2002).

2 - Per un breve periodo il Nostro fu molto attivo come politico, in quanto nelle  Elezioni provinciali del 1956 fu eletto Consigliere ed ebbe quindi la possibilità di partecipare a quella che può essere considerata la più importante realizzazione culturale della Provincia, ossia l’istituzione dell’Università di Lecce[2]. 
3 -  Infatti del nuovo Consiglio Provinciale  faceva parte l’avv. Luigi Martino Caroli, il quale fu confermato  nella carica di presidente. Questi, che nel precedente mandato aveva strenuamente sostenuto l’istituzione dell’Università, nel costituire la nuova Giunta nominò il neo-consigliere Donato Moro assessore per istruzione pubblica, sport, turismo, consorzio universitario. Inoltre gli conferì l’incarico di rappresentare la Provincia in seno all’Assemblea ed al Consiglio Direttivo del Consorzio Universitario ed anche la delega a firmare gli atti relativi all’amministrazione del Consorzio e a sorvegliare uffici ed impiegati della stessa, in caso di assenza o impedimento del Presidente.      
Il presidente Caroli era, dunque, sicuro di aver trovato in Donato Moro, laureato con lode presso la Scuola Normale di Pisa e già vincitore di più concorsi per l’insegnamento nelle Scuole secondarie, la persona veramente in grado di contribuire alla realizzazione della titanica opera intrapresa dalla Provincia.
E non si sbagliava!  
Infatti il Nostro, all’età di 32 anni, con la sua indole gioviale e volitiva cominciò a dedicarsi alla soluzione dei  problemi grandi e piccoli dell’Università di Lecce con un entusiasmo e una determinazione atti ad assicurargli sulla stampa, come si vedrà, la fama di assessore “fattivo e dinamico”. 
Un primo importante impegno gli fu imposto da una situazione di fronte alla quale lo stesso Caroli era piuttosto titubante. Urgeva, infatti, evitare  che la neonata facoltà di Magistero fosse squalificata agli occhi del Governo e del mondo accademico dall’improvvida gestione di colui che  ne era stato preposto, il quale andava perciò rimosso da ogni incarico. Azione questa proposta da Donato Moro ed attuata dal Consiglio Provinciale  per l’insistenza dello stesso, il quale peraltro era fermamente convinto che, per assicurare il massimo decoro al neonato Ateneo leccese, era innanzitutto necessario costituire  due Comitati Tecnici veramente autorevoli, uno per Magistero e un altro per Lettere, chiamando a farne parte cattedratici di chiara fama. 
 Pertanto egli non esitò a spendere la stima ed il credito personali, di cui ancora godeva nell’ambiente universitario di Pisa, per assicurare l’adesione dei proff. Giambattista Picotti, docente emerito di storia, e Antonio Traglia, ordinario di letteratura latina, all’istituendo Comitato Tecnico della facoltà di Lettere, e del prof. Alberto Mori, ordinario di geografia, che sostituirà il prof.  P. F. Palumbo  nel Comitato Tecnico di Magistero. 
Inoltre anche con l’aiuto dei predetti si riuscì ad ottenere l’adesione per il C.T. di Lettere del prof. Raffaele Spongano, ordinario di letteratura italiana nell’Università di Bologna, e per quello di Magistero del prof. Giuseppe Codacci Pisanelli, straordinario di diritto amministrativo a Bari, e del prof. Vincenzo Ussani, straordinario di letteratura latina a Cagliari, il quale subentrerà al prof. Giovanni Calò, impossibilitato a compiere periodicamente il viaggio da Firenze a Lecce e viceversa.  
L’assessore Moro, ove necessario, stimolava in tutti i modi, senza risparmiare  fatica e tempo propri, la partecipazione alle assemblee del Consorzio Universitario Salentino dei Sindaci e degli altri componenti, dai quali pretendeva anche il puntuale pagamento dei contributi finanziari pattuiti.
Egli  nell’autunno del 1956 ebbe un ruolo centrale nel gruppo di coloro che sostenevano in seno  al Consorzio l’immediata apertura della Facoltà di Lettere, in opposizione a quanti invece proponevano una dilazione, sperando che in futuro forse sarebbe stato possibile il contemporaneo avvio dei corsi di lettere e di giurisprudenza.
Inoltre era sempre pronto a cercare di convincere i  giovani ad iscriversi alla Libera Università, assicurando loro il proprio incessante impegno per ottenerne presto il riconoscimento legale. In particolare, prima dell’apertura della facoltà di Lettere (8 gennaio 1957), ben 12 giovani di Galatina vi si erano iscritti, perché da lui consigliati.
Intanto il 19 maggio 1957 s’insediò il nuovo Governo nazionale, presieduto dal sen. Adone Zoli. In questo il  ministro della P.I. fu l’on. Aldo Moro, nato a Maglie (LE) e docente molto apprezzato di Filosofia del Diritto presso l’Università di Bari, il quale inviò il 17 giugno successivo ai Rettori delle Università e ai Direttori degli Istituti di Istruzione Superiore la seguente circolare: 
«Come alle SS. VV. è noto, non infrequentemente Enti ed Organizzazioni locali promuovono l’istituzione di corsi d’insegnamento a carattere universitario, che non s’inquadrano nei principii direttivi cui, conformemente ai voti del Consiglio superiore, questo Ministero si va attenendo per quanto concerne l’istituzione di nuove Università o Facoltà.
 Pertanto questo Ministero – ad evitare che nel pubblico e, in particolare, fra gli studenti abbiano  a sorgere erronee previsioni – non ha mancato di render noto più volte che nessun valore legale è da attribuirsi ai corsi in questione, agli studi che vi si compiono, agli esami che vi si sostengono ed ai titoli che fossero eventualmente rilasciati.
Questo Ministero, inoltre, nell’esprimere il proprio vivissimo rincrescimento per l’inopportunità di siffatte iniziative, ha ritenuto di dover far presente che ben più meritorie e fruttuose sarebbero, nel quadro delle istituzioni universitarie, quelle attività di Enti locali che fossero intese a potenziare gli organismi esistenti sia mediante contributi alle Università viciniori, sia mediante la creazione di Collegi universitari, nei quali potrebbero essere soddisfatte, e in modo più adeguato, le aspirazioni degli studenti meritevoli, le cui famiglie non risiedano in città sedi di Università.
Gravissima è poi la circostanza che alcuni professori di ruolo delle Università e degli Istituti d’Istruzione Superiore svolgano la loro opera – con incarichi d’insegnamento o in altre forme – presso le istituzioni private di cui trattasi. Tale collaborazione di professori universitari ad iniziative sulle quali non possono non formularsi le più decise riserve, mentre non si concilia con gli obblighi didattici che i professori stessi sono tenuti ad adempiere presso gli Atenei cui sono organicamente assegnati, contribuisce notevolmente ad alimentare, nel pubblico e negli studenti, infondate speranze.
Tutto ciò premesso, questo Ministero – sentita anche la Sezione Prima del Consiglio Superiore – ritiene opportuno pregare le SS. VV. di voler richiamare su quanto sopra la più viva attenzione dei professori predetti, invitandoli ad astenersi dal dare la propria opera, sotto qualsiasi forma ai corsi in questione»[3].    
In questa comunicazione ministeriale, inviata alle Autorità accademiche nazionali, mancava solo un esplicito riferimento alla situazione leccese, ma vi si ravvisavano chiaramente elementi legati al malanimo dei  baresi nei riguardi di Lecce sia nella segnalazione della mancanza di valore legale dei titoli rilasciati dalla neonata Università libera, sia nel consiglio a potenziare organismi già esistenti mediante contributi agli Istituti universitari di sede viciniore o creando in questa collegi per gli studenti salentini meritevoli costretti  soggiornavi per seguirne le lezioni. 
Per il resto, poiché nessuna legge vietava ai professori degli Atenei statali di insegnare anche presso Istituti privati o di esserne membri di comitati tecnici, il Ministero della P.I. si limitava a “pregare” i Rettori affinché “invitassero” i docenti “ad astenersi dal dare la propria opera” alle Università libere.  
Quindi l’atteggiamento ministeriale nei confronti dell’Università di Lecce era ormai affine a quello degli ambienti politico-culturali baresi, atteggiamento quest’ultimo  da sempre condiviso dall’on. prof. Aldo Moro, come aveva potuto constatare anche il di lui parente Donato Moro, allorché in privato gli aveva inutilmente chiesto consiglio ed aiuto per la soluzione dei tanti problemi che doveva affrontare in qualità di assessore provinciale alla P.I. e di membro del C.U.S.  
La sopra riportata circolare, indirizzata dal Ministero della P.I. ai Rettori universitari il 17 giugno 1957, venne pubblicata (e non certo per caso) il giorno successivo e senza alcun commento soltanto dal quotidiano barese ‘Gazzetta del Mezzogiorno’. La stessa, però, nei giorni e nei mesi successivi, fu ripresa da altri periodici e commentata con riferimenti quasi sempre aspramente negativi nei confronti dell’Università di Lecce e dei suoi promotori. In particolare sul ‘Giornale dell’Università’, organo bimestrale degli Atenei d’Italia, il filosofo Emilio Paolo Lamanna e il latinista Nicola Terzaghi pubblicarono articoli[4], i quali avrebbero dovuto essere in difesa della migliore tradizione universitaria e culturale italiana, ma a causa della violenta velenosità di cui erano intrisi, finivano con l’essere solo a tutela di un malinteso spirito di corpo. 
Intanto sulle stesse pagine del ‘Giornale dell’Università’ interveniva anche il prof. G. B. Picotti, il quale, pur mantenendo generali riserve sull’opportunità di creare nuove università, con pacatezza e signorilità sosteneva la particolarità della situazione di Lecce, capoluogo di una provincia molto lontana da Bari per i giovani che volessero raggiungerla in quanto sede del più vicino Ateneo statale, ma soprattutto con una popolazione che non si riconosceva nella restante Puglia ed  aspirava ad avere un centro di studi universitari  conformi alle proprie tradizioni culturali. 

 4 - Nel 1958 in occasione delle elezioni politiche l’avv. Luigi Martino Caroli, per poter presentare la propria candidatura al Senato della Repubblica, si dimise il 23 marzo da presidente della Provincia. Pertanto il successivo 24 aprile fu eletto dal Consiglio provinciale il nuovo presidente nella persona dell’avv. Girolamo Vergine, il quale nel ricostituire la Giunta provinciale confermò la delega per la P.I. a Donato Moro, del quale gli erano ben noti la capacità e lo zelo amministrativi, nonché la profonda cultura e l’eccellente professionalità. Questi dunque continuò ad occuparsi con rinnovata lena degli impegnativi lavori del Consiglio Direttivo del Consorzio Universitario, tendenti ad ottenere il riconoscimento giuridico delle Facoltà di Magistero e di Lettere e Filosofia.
A tal proposito  proprio nel maggio 1958 venne predisposta dal Comitato Tecnico di Lettere (Picotti, Spongano, Traglia) la ‘relazione’ per esporre al Ministro della P.I. motivazioni e finalità che avevano portato all’istituzione della Università Libera di Lecce, risorse economiche ed umane di cui la stessa poteva disporre, nonché i traguardi raggiunti nel primo triennio della sua esistenza.     
Nel testo definitivo del suddetto documento vennero quindi riferite le caratteristiche peculiari del Salento e l’antica aspirazione dei salentini ad avere in Lecce un centro di studi universitari. Aspirazione questa rimasta ancora inappagata, mentre la Terra di Bari già nel 1925 aveva ottenuto l’Università Adriatica.  Pertanto nel 1955 era stato costituito il Consorzio Universitario Salentino, il quale, rinunciando all’istituzione di Facoltà scientifiche a causa dell’onere economico che esse comportavano, aveva creato (nel rispetto dell’art. 33 della Costituzione e col supporto di due autorevoli Comitati Tecnici) la Facoltà privata di Magistero nel 1955-56 e quella di Lettere nel 1956-57.
All’insegnamento erano stati chiamati liberi docenti meritevoli di fiducia dal punto di vista scientifico e didattico, nonché cattedratici di Università statali, al fine di imprimere alle nuove Facoltà un carattere di particolare serietà.
Nell’a.a. 1957-58 l’Università di Lecce già offriva alle Autorità governative concreti elementi di giudizio, infatti gli iscritti, tutti frequentanti con assiduità, erano 301 per i primi tre anni di Magistero e 40 per i primi due anni di Lettere, i quali sarebbero stati senz’altro più numerosi se ci fosse stato il riconoscimento legale.
Comunque le suddette frequenze, pur essendo effettuate senza la certezza del valore legale degli studi, si concludevano con esami affrontati e superati “con esito buono e talvolta eccellente”. Ciò dimostrava l’amore per il neonato Ateneo e la fiducia per il suo avvenire, che animavano non pochi giovani, forniti di abilitazione magistrale o di maturità classica ma privi delle risorse economiche per soggiornare a Napoli o a Bari al fine di frequentare Magistero o Lettere. Essi, infatti, in mancanza dei corsi universitari a Lecce, nel migliore dei casi avrebbero potuto laurearsi  “…fra stenti  e sconforti con una preparazione compiuta a casa, lontano dai maestri…”. Perciò il Consorzio Salentino aveva voluto l’Università a Lecce per “…metterla a portata di mano di quella parte della massa studentesca a cui era (fin allora)  rimasta meno accessibile, e favorire in loco gli studi e le ricerche su quanto del patrimonio civile di questa terra era rimasto…confinato al margine della cultura nazionale o abbassato al livello di quella dilettantesca e provinciale; laddove in tutti i campi, dalla archeologia alla linguistica, dalle arti alla letteratura, dalla geografia alla storia e allo sviluppo del pensiero che la alimenta, esso vanta non solo un corso millenario ma un significato il cui valore merita di essere messo in luce nella coscienza della Nazione e nel campo dell’alta cultura” .
La ‘relazione’, inviata al Ministro il 4 giugno 1958, si concludeva con queste affermazioni: 
«Il Consorzio non domanda se non il controllo, la sanzione e l’illuminato consiglio dei pubblici  poteri.
Esso è disposto a sostenere senza contributo statale l’onere che il mantenimento e lo sviluppo della istituzione comportano». 

5 - Intanto, uscito di scena il Governo Zoli (1° luglio 1958), l’on. Aldo Moro veniva confermato ministro della P.I. nel subentrante Esecutivo presieduto dall’on. Amintore Fanfani, il quale però intendeva varare un piano decennale della Scuola nell’ambito di un’ipotesi di sviluppo economico basato sulla crescita del capitale umano, della tecnologia e della ricerca scientifica. Per questo in seno al Ministero andava emergendo un generale orientamento in un certo senso favorevole al riconoscimento giuridico dell’Università di Lecce, il quale però nel dicembre 1958 (cioè a circa sei mesi dall’invio della sopraccitata relazione) non era stato ancora concesso.   

Pertanto l’Assemblea del C.U.S., riunitasi il giorno 15 di detto mese, approvò all’unanimità l’importante ordine del giorno, proposto dal prof. G. B. Picotti, decano dei membri dei Comitati Tecnici, che si riporta integralmente qui di seguito:

«                             L’Assemblea del Consorzio Universitario Salentino,
tenuto presente che fin dal  4 giugno 1958 fu diretta al Ministro della P.I. una domanda intesa ad ottenere il ‘riconoscimento giuridico della Libera Università di Lecce’, accompagnata da una ampia relazione e da relativa documentazione;
considerato che l’Università di Lecce esiste da tre anni per la facoltà di Magistero e da due per la facoltà di Lettere e Filosofia con sede propria, dignitosa e funzionale; che tale esistenza de facto fu determinata dal non esservi secondo le norme che regolano l’ordinamento Universitario alcun altro modo possibile per creare una di quelle Università libere, delle quali il T. U. delle Leggi Universitarie…ammette e disciplina l’esistenza e il funzionamento e che tale procedura fu seguita negli ultimi anni dall’Università Cattolica, dall’Università di Bari, dagli Istituti di Magistero di Genova, de L’Aquila e di Salerno; che il funzionamento dell’Università di Lecce è stato in questi anni regolare e gli iscritti nelle due facoltà hanno frequentato assiduamente i corsi e sostenuto esami con risultati qualificati eccezionali da illustri docenti dell’Università; 
ritenuto che sia ora urgente provvedere al riconoscimento ove l’Università lo meriti, sia perché gli alunni iscritti alla Facoltà di Magistero per il corso di Vigilanza hanno già superato il triennio e superato gli esami prescritti per conseguire il diploma e attendono il rilascio di un diploma giuridicamente valido, e gli iscritti agli altri corsi del Magistero aspettano di poter sostenere nelle sessioni dell’anno accademico in corso l’esame di laurea, sia perché gli studenti di lettere sono trattenuti dall’iscriversi o dal rinnovare l’iscrizione per l’incertezza sulla validità futura dei loro studi e per il fatto che l’iscrizione a Lecce li esclude dal beneficio del rinvio del servizio militare, rinvio necessario per la continuità dei loro studi,

chiede
- al Ministero della P.I. che, ove ritenga necessario sentire il parere del Consiglio Superiore sulla domanda presentata dal Consorzio Universitario Salentino, ne ponga l’oggetto all’ordine del giorno del Consiglio;
- al Consiglio Superiore che non voglia pregiudicare la questione specifica dell’Università di Lecce, già esistente e fiorente, con eventuale parere generico contrario, senza alcuna restrizione o eccezione, a nuovi Istituti Universitari;
- al Ministro e  alla Direzione Generale della Istruzione Superiore che provvedano con la maggiore sollecitudine all’invio di Ispettori, che riferiscano sulla situazione economica dell’Università di Lecce, sul suo funzionamento didattico e sulle prospettive per l’avvenire, sicché il Consiglio Superiore possa poi esprimere il suo parere e possa il Ministro decidere con 
cognizione di causa;

attende
fiduciosamente il giudizio degli Ispettori, il parere definitivo del Consiglio Superiore e le decisioni del Ministro;

rinnova
infine l’impegno di provvedere alle spese inerenti l’Università con le sole forze del Consorzio, senza alcun contributo statale. » [5]

I contenuti e lo stile del sopra riportato documento sono indice  dell’eccezionale competenza e dello scrupoloso impegno, con cui svolgevano la propria funzione di guida e di sostegno ai corsi universitari leccesi gli autorevoli membri dei Comitati Tecnici, a suo tempo cooptati tramite l’assessore Donato Moro.
Nell’ordine del giorno approvato erano messe in evidenza la funzionalità della sede universitaria, la regolarità dei corsi affidati ad illustri docenti, e la frequenza assidua degli studenti (tra i quali c’erano anche quelli di Vigilanza Scolastica, che, avendo completato il previsto corso triennale, dovevano solo sostenere l’esame per il diploma), ma nello stesso tempo veniva denunciato, sia pure con molto garbo, il torpore degli uffici ministeriali che in oltre sei mesi (ossia dal 4 giugno al 15 dicembre 1958) non avevano neppure richiesto al Consiglio Superiore della P. I .il prescritto parere sull’istanza presentata dal C.U.S. .  
A questo proposito il giornalista Carlo Patrizi il 16 dicembre 1956 a pag. 10 del quotidiano Momento-sera  scriveva fra l’altro: 
« All’ordine del giorno del prof. G. B. Picotti…, votato all’unanimità da tutta l’Assemblea del Consorzio, noi dal canto nostro non aggiungiamo nulla, ed aspettiamo ed…aspettiamo che una buona volta per sempre questo benedetto…Ministro della P.I. si decida a riconoscere l’Università di Lecce. I sacrifici che si stanno sopportando sono immensi, come immenso è il coraggio del presidente, avv. Girolamo Vergine, che unitamente all’assessore alla P.I. presso l’Amministrazione Provinciale di Lecce, il fattivo e dinamico prof. Donato Moro, si stanno adoperando per il riconoscimento giuridico dell’Università leccese. Ma cosa si aspetta per farlo?    
 L’o.d.g. parla chiaro ed i fatti anche. Il ministro prof. Aldo Moro deve avere il coraggio civico di dare il suo autorevole benestare, e forse solo allora egli avrà dimostrato di essere un vero ministro. Non si preoccupi, l’Università di Lecce non intaccherà minimamente gli interessi di nessuna città. Il miracolo avverrà?…». 
L’autore di questo brano, quando dice  “…I sacrifici che si stanno sopportando sono immensi…”,  si riferisce anche al fatto che già nel 1958, per sostenere i costi sempre maggiori dei corsi universitari, il contributo che Comuni e Province avevano liberamente scelto di corrispondere al Consorzio Universitario, e che inizialmente era stato fissato in £ 10 per abitante, era stato gradualmente aumentato, arrivando a £ 40 per abitante nel bilancio di previsione per l’e.f. 1958. In questo, infatti, per la Facoltà di Lettere e Filosofia e per quella di Magistero erano rispettivamente previste la spesa di  £ 23.830.000 e quella di £ 21.251.000, il cui  totale era all’incirca uguale al metà della somma di £ 90.170.000 che rappresentava  il totale  del  bilancio della Provincia di Lecce, previsto per il 1958.
Ma il “miracolo” sperato dal suddetto giornalista non arrivò neppure con la presentazione al Ministro della P. I. dell’o.d.g. Picotti. Perciò il pressing di tutti i settori politici e culturali salentini sullo stesso divenne incessante. In particolare all’inizio del 1959  il presidente della Commissione Igiene e Sanità della Camera dei Deputati, on. Beniamino De Maria, amico fraterno di Donato Moro, ebbe un colloquio con l’on. Aldo Moro che immediatamente scrisse una lettera al Presidente della Sezione Prima del Consiglio Superiore della P.I. per sollecitarlo a far ispezionare l’Università Libera di Lecce. E qualche giorno dopo il medesimo on. De Maria venne a conoscenza dei nomi di sei membri di detto Consiglio scelti per la tanto attesa ispezione. Ma di questi uno solo accettò l’incarico e l’intera operazione si arenò.
Intanto l’on. Aldo Moro in data 15 febbraio 1959 cessava di essere Ministro della P.I., a causa delle dimissioni del 2° governo Fanfani, a cui apparteneva.      
L’esecutivo subentrante era presieduto da Antonio Segni che affidò all’emiliano on. Giuseppe Medici il Ministero della P.I. .
Una Commissione ispettiva ministeriale, costituita da personalità estranee al Consiglio Superiore, fu a Lecce dal 18 al 20 maggio 1959 e, nella relazione al Ministero, da un lato dichiarava la propria indagine estranea ad esprimersi sull’opportunità di aumentare le Facoltà universitarie, dall’altro esprimeva fiducia che l’Università di Lecce avrebbe potuto assolvere un importante ruolo nel Sud, poiché gli Enti locali l’avevano creata e strutturata con coraggio, larghezza di mezzi e serietà, rifiutando il provvisorio e l’approssimativo.
Purtroppo nel luglio del 1959 la Sezione Prima del Consiglio Superiore della P. I., esaminata la relazione degli ispettori, espresse parere negativo all’istituzione a Lecce delle Facoltà di Lettere e di Magistero, ritenendola non rispondente agli interessi generali degli studi e dell’istruzione superiore. D’altronde non ci si poteva aspettare di meglio, poiché in generale detto Consiglio era contrario al sorgere di nuove Università e addirittura ostile a nuove Facoltà umanistiche, ritenendo le stesse potenziali fabbriche di disoccupati.
Mentre questo provocava amarezza e delusione nell’Amministrazione Provinciale di Lecce e  nel Consorzio Universitario, i parlamentari salentini intraprendevano un’energica azione a sostegno del diritto del Salento ad avere l’Università. Tale iniziativa incontrò il favore del Ministro Giuseppe Medici che, fra l’altro, era del parere che occorreva «…liberarsi dal preconcetto che in Italia vi sono troppe Università e soprattutto troppi studenti universitari, e perciò bisogna esaminare con comprensione le iniziative di contrade i cui studenti, mancando l’Università, vanno a sovraffollare le altre con danno generale…»[6]. 
Il 27 settembre, in occasione di una manifestazione della Democrazia Cristiana, venne a Lecce il presidente Antonio Segni, il quale ai rappresentanti della Provincia (tra i quali c’era in prima fila Donato Moro), della Libera Università, degli studenti e dei loro genitori (riuniti in associazione), che gli manifestavano i gravi disagi dovuti al mancato riconoscimento giuridico delle Facoltà di Lettere e di Magistero, assicurò una sollecita e completa soluzione della vicenda. Pochi giorni dopo lo stesso Capo del Governo in un telegramma al segretario provinciale della D.C., Giacinto Urso, confermava il proprio interessamento assicurando la piena disponibilità dell’on. Medici a risolvere il problema universitario di Lecce. 
Nell’ultima decade dell’ottobre 1959 dal Ministero della P.I. filtrò la notizia secondo la quale, contrariamente a quanto verbalmente era stato assicurato dal presidente Segni, il Governo era sul punto di riconoscere legalmente  la  sola facoltà di Magistero, accogliendo dunque  parzialmente la richiesta avanzata dal Consorzio Universitario il 4 giugno 1958. 
Tale informazione fu immediatamente presentata come “grandiosa vittoria” in  un manifesto fatto affiggere in tutta la Provincia dalla Democrazia Cristiana. Di conseguenza il presidente G. Vergine ed alcuni consiglieri democristiani, durante la seduta del Consiglio Provinciale che ebbe luogo il 2 novembre 1959, proponevano che si ringraziasse ufficialmente il Governo per aver  concesso il riconoscimento giuridico a Magistero e nel contempo si facessero voti al fine di ottenere analogo trattamento per la facoltà di Lettere e Filosofia. 
Invece l’assessore  Donato Moro in un veemente intervento dichiarò fra l’altro:         « Nessun ringraziamento, ma una viva protesta per quanto non è stato concesso. Non facciamoci illusioni, il Magistero è un istituto superiore a sé, e non è l’Università che noi chiedevamo e per la quale abbiamo investito decine di milioni e tutto il nostro impegno»[7]. 
Questo diede il via ad un’accesa discussione, durata oltre due ore, che si concluse con l’accettazione della proposta fatta dal capogruppo comunista, Giorgio Casalino, di costituire una Commissione unitaria, che affiancasse il prof. Moro nel compito di vedere quanto era stato fatto e quanto sarebbe stato utile e necessario fare ancora per ottenere anche l’agognato riconoscimento giuridico della facoltà di Lettere. Ed alla fine votò contro la proposta Casalino soltanto il consigliere del P.S.D.I., Luigi Aprile.
Nell’ultimo scorcio dell’anno 1959 grande fu l’impegno dei salentini affinché quel che era stato ottenuto per la Facoltà di Magistero fosse esteso dalle autorità competenti anche a quella di Lettere e Filosofia. A tal fine si mobilitarono, premendo in tutte le direzioni, i parlamentari e le autorità locali, i membri del Consorzio Universitario e gli studenti. Questi ultimi si appellarono addirittura al Capo dello Stato.  

6 - Il 19 dicembre 1959 il Consiglio Direttivo del Consorzio Interprovinciale Universitario Salentino si riunì sotto la presidenza dell’avv. Girolamo Vergine e con la partecipazione dei professori Picotti, Spongano, Mori, Ussani, Codacci Pisanelli, Moro e Bonea, del dott. Moscardino, dell’avv. Camassa, dell prof. Falconieri e del segretario Di Bendetto.
Il Presidente relazionò sul decreto di riconoscimento della Facoltà di Magistero (disposto il 22 ottobre u.s., ma non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, in attesa dell’approvazione da parte del Consorzio dello Statuto della stessa facoltà), il quale però lasciava impregiudicate le istanze universitarie cui si continuava a tendere. 
Pertanto il Consiglio deliberò innanzitutto che un’ulteriore richiesta di appoggio fosse rivolta a tutti i parlamentari salentini, affinché sollecitassero l’accoglimento governativo di dette istanze.
Intervenne poi il prof. Raffaele Spongano che espose il nuovo piano didattico-finanziario della Facoltà di Lettere, alla quale per l’a.a. 1959-60 si erano già iscritti 55 studenti, contro i 26 dell’anno precedente. Seguì un intervento del prof. Alberto Mori, il quale fece presente che nell’a.a. 1959-60 gli ammessi al 1° anno di Magistero erano 256, perciò il numero totale degli studenti di tale facoltà era salito a 617.
Successivamente nel salone del Consiglio Provinciale si riunì l’assemblea del Consorzio Universitario, che approvò  lo Statuto dell’Istituto di Magistero, il piano didattico finanziario delle due Facoltà e la nomina di nuovi docenti, il bilancio di previsione per l’a.a. 1959-60 e l’istituzione di n. 10 borse di studio di lire 50.000 ciascuna. 
L’assemblea si concluse con l’approvazione dell’ordine del giorno presentato dai proff. Donato Moro ed Ennio Bonea, che si trascrive qui di seguito integralmente:
« L’Assemblea del Consorzio Universitario Salentino,
- udita la relazione del Presidente, che comporta l’ottenuto riconoscimento della Facoltà di Magistero e la convalida degli studi compiuti e degli esami sostenuti dagli studenti iscritti nei tre corsi della Facoltà di Lettere; 
- mentre si compiace del riconoscimento della Facoltà di Magistero e ringrazia i componenti dei Comitati tecnici, che hanno permesso uno sviluppo notevole e dignitoso dei corsi dal punto di vista accademico e culturale; 
- approva ed applaude l’operato del Consiglio Direttivo, che ha saggiamente distribuito la sua attività per il buon andamento amministrativo del Consorzio Universitario Interprovinciale Salentino; 
- dichiara di non considerare soddisfatte le istanze universitarie della popolazione salentina sino al totale riconoscimento dell’Università degli Studi;
- afferma la volontà che la Facoltà di Lettere porti avanti il suo corso con lo stesso serio impegno    degli anni decorsi; 
- raccomanda al presidente del Consorzio, ai Comitati tecnici, ai Parlamentari salentini di continuare a far presente al Capo dello Stato, al Ministro della Pubblica Istruzione e al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione la legittimità della richiesta del Salento in un momento in cui la Scuola Italiana denuncia una sensibile carenza numerica della classe insegnante;
- tenute presenti le motivate ragioni espresse nella relazione allegata alla richiesta di riconoscimento, perché un atto di giustizia si compia nei confronti del Mezzogiorno, che ancora una volta chiede di sacrificarsi nel supremo interesse della cultura e a contributo dell’edificazione spirituale della Nazione»[8].  

7 - Il lungo e travagliato iter per il riconoscimento giuridico dell’Università Libera di Lecce si concluse finalmente il 10 giugno 1960  con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del D.P.R. 22 ottobre 1959, n. 1408, il cui articolo unico (risultato definitivo di vari rimaneggiamenti, avvenuti in oltre 7 mesi) viene riportato  integralmente qui di seguito:

«   E’ istituita in Lecce una libera Università, costituita dalle Facoltà di lettere e filosofia e di magistero, mantenuta a totale carico del Consorzio Universitario Salentino, appartenente alla categoria di cui al n. 2 dell’art. 1 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore, approvato con regio decreto 31 agosto 1933, n.1592.
   E’ approvato il relativo statuto annesso al presente decreto e firmato d’ordine del Presidente della Repubblica dal Ministro della pubblica istruzione.
  Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica Italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

              Dato a Roma, addì 22 ottobre 1959

GRONCHI

Medici 
Tambroni»

Proprio dopo il giugno 1960, in seguito a nuove votazioni per l’elezione del  Consiglio Provinciale, ebbe fine l’incarico di Assessore Provinciale alla P.I. a suo tempo conferito al  prof. Donato Moro, il quale  potrà poi ben dire: «…dal 1956…credo di aver servito il prossimo con abnegazione e con spirito di sacrificio. Non presumo di aver svolto alla perfezione i miei compiti…ma so di aver offerto, al servizio del partito e dell’elettorato, le mie giornate, il mio tempo, le mie capacità pratiche ed intellettive…»[9].

Come si evince dalla relazione sopra riportata  Donato Moro è stato tra i  protagonisti delle complesse operazioni, che sono state necessarie  per dare al Salento una università giuridicamente riconosciuta.
Pertanto è del tutto comprensibile la delusione del Nostro per non essere stato invitato alle celebrazioni del 30° Anniversario dell’istituzione dell’Ateneo del Salento, che ebbero luogo il 2 ottobre 1987. 


Di questo egli esprimeva il suo rammarico in una lettera del precedente 19 settembre, indirizzata all’on. Giacinto Urso, la quale si concludeva con la seguente significativa affermazione: «… Una creazione come quella dell’Università richiese, a diversi livelli, l’opera di molti. Ma in mezzo a quei molti ci fui anche io.» 

Conclusioni

Alle riflessioni sul passato e sul presente di Galatina, con cui ha inizio il presente scritto, segue la presentazione delle interessanti note biografiche relative a otto illustri galatinesi dei secoli XIX e XX. 

Le prime riguardano la crescita della città e il successivo completo degrado che  ha determinato una crisi sociale ed economica, la quale è causa di disoccupazione. 
Questa, costringendo i giovani all’emigrazione, produce l’invecchiamento della popolazione residente.

Presentando le  seconde sono stati evidenziati:
- la solidarietà e l ’amore per i poveri di Orazio Congedo;
- l’attenzione per la scuola di Giustiniano Gorgoni; 
- l’impegno professionale di medico e la capacità di amministratore di Vito Vallone; 
- le innovazioni educative di Ippolito De Maria;
- la molteplice attività di Sante De Paolis in capo sanitario;
- il grande impegno politico di Beniamino De Maria;
- le innovazioni in capo ortopedico di Domenico Galluccio;
- l’impegno di Donato Moro per la promozione culturale del Salento, ottenuta con   l’istituzione dell’Università di Lecce.   

Tutto ciò è stato fatto affinché i galatinesi del XXI secolo, specialmente i più giovani,  prendano coscienza dei gravi problemi che affliggono la propria città e quindi s’impegnino responsabilmente alla risoluzione degli stessi, comportandosi come i sopraccitati otto concittadini del passato, i quali nel corso della propria operosa esistenza agirono in maniera veramente esemplare.   

Una buona occasione per avviare una concreta ripresa di Galatina possono essere le votazioni per l’elezione del Sindaco e del Consiglio comunale, che avranno luogo nella prossima primavera. In queste i galatinesi devono impegnarsi al massimo per evitare un quarto scioglimento anticipato consecutivo dell’Amministrazione comunale. Quindi devono eleggere persone capaci, oneste e anche perseveranti nel proposito di operare per il bene e il progresso della città.



Pietro Congedo



__________________________________
[1] Il Liceo – Ginnasio “P. Colonna” di Galatina fu regificato (cioè divenne governativo) con R.D. 30 settembre 1907, in  virtù del quale il Governo si obbligava a retribuire il personale direttivo, insegnante e di servizio, mentre da un lato l’Opera Pia “P. Colonna” s’impegnava a fornire i locali, il materiale scolastico, quello scientifico e quant’altro occorresse per il buon andamento dell’Istituto, dall’altro il Comune e la stessa Opera Pia si obbligavano a versare annualmente all’Erario la somma di £ 20.122,25 = £ [12.210(da interessi di titoli di Rendita Pubblica appartenenti all’Opera Pia) + 7.912,25(da sovraimposta comunale)].
All’Erario era anche dovuto l’importo fisso annuo di £ 16.000 ricavato con l’imposizione di tasse scolastiche agli studenti.  
[2] L’Università di Lecce rappresenta l’ambita meta finale di un secolare processo che si è svolto con alterne vicende per oltre un secolo e mezzo. Infatti è iniziato nel 1796 con l’istituzione da parte dell’ultimo vescovo di Castro, monsignor Francesco Antonio Duca, dell’Università degli Studi di Castro, dotata delle cattedre di agronomia, nautica, teologia morale, teologia dogmatica e Sacra Scrittura, che però già nell'a. a. 1797-98 accusa grave penuria di insegnanti e inarrestabile diminuzione di studenti a causa del massacrante pendolarismo dovuto alla mancanza in loco sia di alloggi che di locali per le lezioni e le altre attività accademiche. Tuttavia la decadenza dell’istituzione diviene irreversibile a causa delle note vicende della Repubblica Partenopea che, proclamata il 23 gennaio 1799,, si arrende il successivo 25 giugno alle bande del cardinale Fabrizio Ruffo.
Dopo tre lustri le popolazioni dell’Italia Meridionale ottengono gli “Statuti dei Reali Licei” del Regno di Napoli, di cui al R.D. 14 febbraio 1816, in virtù dei quali le cattedre sono distinte in liceali e professionali o universitarie, ed anche queste ultime possono essere istituite nei vari licei, i quali così divengono vere e proprie propaggini dell’Università di Napoli, presso la quale devono comunque essere sostenuti gli esani di laurea.
Per esempio nel Liceo di Lecce nel 1852 sono istituite le cattedre di diritto civile e penale, nel 1857 quelle di storia naturale, chimica e farmacia, medicina pratica, materia medica e medicina legale, anatomia e chirurgia e, nel 1858, anche di agronomia.
Il suddetto decentramento è molto favorito del re Ferdinando II dii Borbone che, però, dopo l’attentato compiuto contro di lui da Agesilao Romano (8 dicembre 1856), al fine di evitare assembramenti di giovani nella Capitale limita la frequenza dell’Università ai nati nella provincia di Napoli o in quella di Terra di Lavoro (Caserta), obbligando tutti gli altri a seguire le lezioni impartite da cattedre universitarie esistenti in un liceo della regione di appartenenza e recarsi nell’Ateneo della Capitale solo per sostenere l’esame di laurea.
Questo stato di cose termina con l’annessione delle Provincie napoletane al Regno di Sardegna, infatti con R.D. 10 febbraio 1861 è sancito il passaggio dei licei dal livello dell’istruzione professionale o universitaria a quello dell’istruzione media, con la soppressione di tutte le cattedre universitarie decentrate,
Inoltre co R.D. 18 giugno 1862 vengono precisate le norme per il conseguimento della Licenza Liceale, titolo necessario per l’ammissione all’Università.
In questo modo si tende a modellare le Scuole ai principi della Legge Casati, emanata il 13 novembre 1859 per il Regno di Sardegna e resa definitivamente operate nel nuovo Regno d’Italia con la cosiddetta legge Coppino del 1867.
 La totale scomparsa delle cattedre universitarie decentrate provocata dalla politica scolastica del Governo sabaudo riaccese più forti che mai le aspirazioni le aspirazioni ad avere Istituti Universitari nei propri territori degli abitanti delle Puglie, ossia di Capitanata, della Terra di Bari e della Terra d’Otranto
In particolare politici e gli uomini di cultura di Terra di Bari addirittura costruirono l’edificio per ospitare l’Ateneo.                 Ma dovettero fare i conti fare i conti con l’ostinata opposizione degli ambienti politici e culturali napoletani, i quali ritenevano che l’Italia Meridionale si identificasse con Napoli.
Tuttavia Bari, dopo aver invano atteso sessant’anni l’Ateneo autorizzato dallo Stato, nel 1922 chiese alle Autorità Ecclesiastiche l’istituzione di una Libera Università Cattolica. Questo indusse il Governo fascista alla concessione della Regia Università Adriatica, intitolata a Benito Mussolini, della quale il primo rettore fu il prof, Nicola Pende.
Questa importante affermazione culturale della società barese, acuì, specialmente nel 2° dopoguerra, l’antica aspirazione del Salento ad avere un’università nel proprio territorio, dove esteso e profondo era sempre stato l’amore per la cultura-
Ma tale aspirazione, oltre a non essere presa in  considerazione dagli uffici ministeriali, era ostinatamente avversata dagli ambienti politici e culturali baresi. Si era quindi in una situazione di stallo, allorché, nei primi anni 50 del secolo XX, il lungimirante direttore della Biblioteca Provinciale di Lecce, Teodoro Pellegrino, s’impegnò a fondo per orientare la cultura salentina ad uscire dall’auto-appagamento, prendendo coscienza della propria tradizione non inferiore a quella barese. A tal fine sottopose all’attenzione del presidente della Provincia, avv. Luigi Martino Caroli, e dell’assessore provinciale alla P.I., Avv. Vittorio Aymone, un programma di manifestazioni culturali, dette “Celebrazioni Salentine”, le quali avrebbero dovuto concretarsi in cicli di conferenze su temi letterari, musicali, giuridici, storici, psicologici nonché in concerti e in rappresentazioni teatrali. A conclusione ci sarebbe stata con cadenza annuale l’assegnazione del “Premio Salento”, diviso in quattro sezioni: narrativa, poesia, giornalismo e saggistica.
L’ Amministrazione Provinciale decise di attuare detto programma nella speranza di aggirare l’avversione ministeriale per la creazione di nuove università ed anche l’implacabile ostilità dei baresi.
Il 1° ed il 2° ciclo delle “Celebrazioni Salentine ebbero luogo rispettivamente nei mesi autunnali del 1952 e del 1953. L’ottima riuscita delle stesse indusse la Giunta Provinciale a decidere la creazione di una “Università libera senza oneri  per lo per lo Stato”, conformemente al disposto del 3° comma dell’art.33 della Costituzione.
Pertanto il 16 maggio 1955 i Sindaci, i Parlamentari, i Consiglieri provinciali e tuti gli altri esponenti politici di rilievo di Terra d’Otranto, riuniti nello studio del senatore Michele di Pietro, all’epoca ministro di Grazia e Giustizia, definirono un progetto di massima per l’istituzione di detta Libera Università, prevedendo per essa due Facoltà umanistiche (Lettere e Magistero), perché meno costose ed anche in considerazione dell’esistenza nelle Province del Salento di ben 13 licei classici e 4 istituti magistrali con una popolazione scolastica complessiva di circa 10mila alunni
Il successivo 14 giugno fu costituito il Consorzio Universitario Salentino (C.U.S.), presieduto dall’avv. Luigi Martino Caroli. Al nuovo Ente oltre all’Amministrazione Provinciale,  aderirono: i Sindaci di 88 dei 93 Comuni della Provincia, la Camera del Commercio, Industria e Agricoltura di Lecce e l’Ente Provinciale del Turismo. Di esso avrebbero poi fatto parte i membri dei Comitati Tecnici delle istituende facoltà universitarie.
Il C.U.S. fu riconosciuto con decreto prefettizio del 9 settembre 1955, mentre il primo  Comitato Tecnico, che provvisoriamente aveva funzione anche di Consiglio di Facoltà, fu nominato il 16 agosto 1955 nelle persone dei professori Giovanni Calò (docente di pedagogia nell’Università di Firenze), Giuseppe Codacci Pisanelli (docente di diritto amministrativo dell’Università di Bari), Pier Fausto Palumbo (ternato nel concorso di storia medioevale nell’Università di Palermo).
Gli uffici amministrativi e le aule sarebbero stati sistemati nei 54 ampi locali dell’ex sede provinciale della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio). Sito in piazzetta Arco di Trionfo – LECCE, che la Provincia aveva acquistato per darla in comodato all’Università.
All’unanimità il C.U.S. deliberò di dare inizio all’a. a. 1955.56 per la sola Facoltà di Magistero con i tre corsi di laurea (in materie letterarie, in pedagogia, in lingue e letterature straniere) e col corso per il diploma di vigilanza scolastica.
Il 22 novembre venne inaugurata la Facoltà di Magistero con una prolusione tenuta dal prof. Giovanni Calò sul tema “Cultura, esperienza, magistero educativo”.
Ebbero inizio quindi le  lezioni di detto corso, tenute da liberi docenti o da cattedratici che, rimanendo regolarmente in servizio nelle rispettive sedi di titolarità, venivano a Lecce saltuariamente per tenervi almeno 50 ore d’insegnamento in ogni anno accademico, ricevendo per questo una congrua retribuzione oraria.
Intanto gli studenti iscritti e frequentanti erano pienamente consapevoli che gli studi seguiti e gli esami sostenuti non avrebbero avuto alcun valore ufficiale fino a quando no ci fosse stato il riconoscimento giuridico della Facoltà da parte del Governo.
La Libera Università di Lecce, essendo sorta “senza oneri per la Stato” non poteva contare su alcun contributo governativo, perciò gli Enti che la avevano promossa dovettero accollarsi le spese necessarie al suo funzionamento.    A tal proposito il C.U.S deliberò: “ il contributo di ogni Comune consorziato è determinato nella misura di lire 10 per ogni abitante residente nel Comune; quello degli Enti non potrà essere inferiore a lire 200mila annue, mentre quello dell’Amministrazione Provinciale risulterà pari a quello globale corrisposto da tutti i Comuni aderenti al Consorzio”.           
[3] V.  “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 18 giugno 1957, pag. 5.
[4] V. “Giornale dell’Università”, n. 6 , nov.- dic. 1959, p. 159; e  n. 1 genn.- febb. 1958, pp. 18-25.
[5]  V. “ Momento sera”, martedì 16 dicembre 1958, p. 10.
[6]   V. G. MEDICI, Introduzione al piano di sviluppo della scuola, Roma, 1959,p. 37.
[7] V. “l’Unità” del 3 novembre 1959, p.4.
[8] V. “Momento sera”, domenica 22 dicembre 1959.
[9] V. Lettera datata 18. 10.1964, scritta da Donato Moro al Segretario Provinciale della D.C.