sabato 29 settembre 2012

Ricordo di Renato Caccioppoli a 50 anni dalla morte



 Nei primi giorni di novembre del lontano 1949, essendo iscritto al 1° anno della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli, entrai per la prima volta nell’Istituto di Matematica, che era situato  al 5° piano dello storico edificio di via Mezzocannone.

Trovai un avviso, con cui si comunicava che le lezioni del 1° corso di Analisi Matematica nel 1949-50 sarebbero state tenute nei giorni dispari, dalle 11 alle 12,  dal prof. Renato Caccioppoli, mentre nei giorni pari il prof Carlo Miranda avrebbe tenuto le lezioni del  2° corso della stessa disciplina. Trattandosi di docenti a me sconosciuti, chiesi informazioni ad uno studente di 2° anno, il quale mi disse che nell’insegnamento nei corsi di Analisi Matematica i due docenti si alternavano. Aggiunse: “Entrambi sono bravi matematici, ma Renato Caccioppoli è un genio.”

Una matricola come me, che aveva ascoltato la conversazione, si dichiarò contenta di poter essere allieva di un genio, ma altri due presenti la gelaronro dicendo a gran voce che gli studenti di 1° anno erano nei guai, in quanto il prof. Caccioppoli era molto esigente ed intollerante, per cui era più facile vincere al lotto che superare un esame con lui.
Il lunedì successivo alle 11 facevo parte di una vociante folla di studenti, che nella vasta aula n.5, ultima in fondo ad un lungo corridoio, attendeva la prima lezione di Caccioppoli.                                                     

Intanto nei riguardi del professore si riferivano aneddoti sulle strane abitudini di vita, sulla militanza politica e soprattuto sulla severità con cui usava punire gli studenti per quelle che a lui sembravano superficialità e approssimazioni. Ma si accennava anche alla sua genialità in campo matematico ed alla sua eccezionale competenza in musica e lingue straniere.

L’attesa durò a lungo, infatti solo intorno alle 11,30 qualcuno gridò: “Arriva! ”

Avvicinatomi alla porta, lo vidi avanzare lentamente nel corridoio, lungo il muro alla sua destra.

Quando fu più vicino mi colpì per il suo viso rugoso e magro, coronato da capelli neri e lisci che formavano un ciuffo sulla fronte spaziosa, sotto la quale vigilavano due occhi saettanti.              Fra le labbra sottili  aveva una sigaretta, che fumava con la stessa lentezza del proprio incedere.

Non mi sorprese il suo abbigliamento, perché poco prima lo avevo sentito descrivere in maniera dettagliata da uno degli studenti: a causa della pioggia era intabarrato in un impermeabile liso e non proprio pulito, sotto il cui bavero aveva una sciarpa incrociata sul collo, che non si sapeva cosa nascondesse a causa della rigorosa abbottonatura del trench.

Alle 11,35 egli era in cattedra e, nel silenzio generale, cominciò a parlare, accennando brevemente al programma che intendeva svolgere. Iniziò poi la trattazione dell’analisi combinatoria..

Il suo elegante e preciso modo di porgere mi avrebbe affascinato, se egli non avesse dato per noti alcuni concetti, che invece erano nuovi, e non solo per me che provenivo dal liceo classico.

La lezione terminò puntualmente alle ore 12 dopo soli 25 minuti. Più o meno tale sarebbe stata la durata di ogni lezione sino alla fine del corso. Il perché lo rese noto un giorno lo stesso professore, sostenendo che dopo 25 minuti coloro che avrebbero continuato a seguire e comprendere il suo discorso erano talmente pochi che egli non riteneva valesse la pena continuare a parlare.

Interessato alla vita e alla carriera di Renato Caccioppoli, venni a sapere che suo  nonno materno era stato il rivoluzionario russo Michail Aleksandrovic Bakunin (1814 – 1876), che nel 1865,  durante un lungo soggiorno a Napoli, aveva sposato Antonia, figlia di un ingegnere polacco, dalla quale aveva avuto due figlie, Giulia Sofia e Maria. Quest’ultima diventò famosa docente  di chimica nell’università napoletana. Giulia Sofia a 34 anni sposò il cinquantunenne medico napoletano Giuseppe Caccioppoli. I due tra il 1904 e il 1910 ebbero cinque figli, ma solo il primogenito Renato e il fratello Ugo rimasero in vita.

Entrambi trascorsero l’infanzia e l’adolescenza in un ambiente culturale originale e  raffinato. Renato conseguì la licenza liceale privatamente, poichè il padre, nella convinzione che la medicina fosse una scienza a forte impatto emotivo e poco affidabile negli esiti, gli aveva fatto frequentare l’istituto per geometri nell’intento di impedirgli l’accesso all’università e, quindi, la possibilità di diventare medico come lui. 

Sempre per volere del padre, s’iscrisse ad Ingegneria, ma successivamente, su suggerimento dell’amico di famiglia Benedetto Croce, passò a Matematica. Il prof. Gianfranco Cimmino, suo grande amico e collega, sostiene che: “…forse la sua scelta per la matematica, tra le tante possibilità che gli si presentavano, fu anche dettata dalla voglia di cimentarsi in un campo in cui eccellere è più raro e difficile ”.

Nel 1925 si laureò nell’Università di Napoli, sotto la guida del prof. Ernesto Pascal, ma riconobbe come suo maestro il prof. Mauro Picone, del quale divenne assistente. Conseguì la libera docenza nel 1928 e tre anni dopo vinse il concorso per la cattedra di Analisi Algebrica presso l’Università di Padova. Proprio durante la permanenza in questa città si andò accentuando  il suo modo di essere ribelle ed anticonformista. Infatti, con la barba incolta ed i vestiti sporchi e malridotti, cominciò ad andare in giro senza soldi  in tasca ed a viaggiare in treno privo di biglietto, fino ad essere fermato per vagabondaggio.

Ma negli stessi anni non cessò la sua produzione scientifica, nella quale andava sempre più rivelando intuizione e genialità eccezionali. Pertanto nel 1932 l’Accademia dei Lincei gli conferì il premio nazionale per le Scienze Fisiche.

Intanto veniva invitato a trasferirsi all’Università di Roma da Mauro Picone, il quale, divenuto titolare in quella sede, andava costituendo un’équipe di lavoro con i suoi migliori allievi.  Caccioppoli non accettò, forse perché desiderava rientrare a Napoli, di cui gli mancavano i salotti musicali (in cui poter eseguire al pianoforte gli amati Wagner, Strauss e Beethoven), il “Circolo di Posillipo” (dove si dibatteva di Shopenhauer e Rilke, di Kierkegaard e Bergson e si coltivava un’appassionante attività di cineforum) e soprattutto la possibilità di girovagare per la Città frequentando bar e osterie aperti fino a notte fonda.

Lasciò Padova nel 1934 e, ritornato nell’Università di Napoli, vi insegnò prima Teoria dei Gruppi, poi Analisi Superiore e infine, a partire dal 1943, Analisi Matematica. Continuò a curare la ricerca anche mediante rapporti internazionali, nei quali era agevolato dal saper parlare correntemente  russo, francese,  tedesco e inglese. Così il suo curriculum si andava arricchendo di pubblicazioni, che  da un  lato allargavano la cerchia di coloro che venivano a conoscenza del suo talento, dall’altro contribuivano a tener alto il prestigio degli studi matematici italiani nel periodo in cui molti grandi scienziati erano costretti dal fascismo a lasciare i loro incarichi universitari e riparare all’estero.

Renato Caccioppoli una volta tornato a Napoli rimase deluso però dall’atmosfera politica priva di qualunque elemento di resistenza al fascismo. L’inerzia dei suoi concittadini in occasione dell’aggressione dell’Etiopia del 1935 lo rattristò profondamente. In tale circostanza egli confidò a sua zia Maria: “Napoli è una palude e noi siamo la fauna malata di questa palude. La vigliaccheria ci fa ingrassare e ci uccide contemporaneamente”.

Intervenne allora la madre Giulia Sofia rivolgendosi all’amico di famiglia avv. Mario Palermo, figura di spicco dell’antifascismo napoletano, e lo pregò di stare vicino al figlio, confidandogli: “La solitudine politica lo sta facendo ammattire”.

L’anziano avvocato, assiduo frequentatore di Benedetto Croce, Enrico De Nicola, Giovanni e Giorgio Amendola, invitò subito in casa sua il giovane Renato e fu colpito dalla sua umanità,  intelligenza e cultura, nonché dalla sua ironia. Tra i due nacque una profonda amicizia e insieme cominciarono a frequentare gli incontri segreti di esponenti comunisti, che avvenivano nel retro della libreria Guida di Port’Alba. Ma questo clima di cospirazione permanente non si addiceva a Caccioppoli, che, pur essendo sostanzialmente un non-violento, soleva ripetere a se stesso (come riferisce D. Rea in Mistero napoletano): “Occorre che mi esibisca, che salga su un palcoscenico senza occuparmi troppo delle conseguenze, occorre parlare alla gente a voce alta.”

A tal proposito una buona occasione gli fu offerta da Achille Starace, segretario del P.N.F., che con propria circolare aveva consigliato agli uomini di non farsi vedere per strada mentre portavano a spasso il cane. Egli accolse il consiglio e andò a passeggio per le vie principali di Napoli, portando al guinzaglio un gallo.

Nel 1936 il trentaduenne Renato Caccioppoli conobbe la bella sedicenne Sara Mancuso, figlia di un siciliano e di una napoletana, la quale, essendo vissuta a Nizza, aveva una buona conoscenza della lingua e della letteratura francese. Se ne innamorò a prima vista, la frequentò per tre anni e la sposò in Municipio il 29 giugno 1939. Il matrimonio, però, era stato celebrato dopo una dura e triste esperiemza di entrambi. Infatti nella tarda sera di uno dei primi giorni del maggio 1938, alla vigilia della visita di Hitler a Napoli, Renato e Sara erano entrati in una birreria Lowembrau, nella quale fra gli  avventori c’era  un gruppo di ufficiali della milizia, gerarchi fascisti e vari poliziotti. Visti i due giovani fidanzati, gli uomini in camicia nera, alticci per la birra bevuta, si misero a cantare Giovinezza, imponendo al pianista del locale di accompagnarli con la musica.

Quando il coro ebbe finito la propria esibizione, Caccioppoli, sedutosi al pianoforte, si mise a suonare con consumata perizia la Marsigliese, mentre Sara cantava in perfetto francese.

I fascisti, colti di sorpresa, rimasero attoniti. Il Nostro poi rivoltosi al pubblico presente, spiegò che la canzone ascoltata “…era l’inno di un paese libero, inno di libertà, la stessa libertà che in Italia era  soffocata  e negata da Benito Mussolini, che con il suo alleato tedesco…”. A questo punto il suo discorso fu bruscamente interrotto, poichè i fascisti, superata la sorpresa, si scagliarono contro Renato e Sara, i quali furono arrestati e condotti in Questura, con l’evidente rischio di finire dinanzi al tribunale speciale.

La famiglia di lui intervvenne prontamente, chiedendo l’intercessione del capo della polizia Carmine Senise, amico del dott. Giuseppe Caccioppoli. Ma per salvare Renato dal confino fu anche  necessario farlo dichiarare pazzo. Perciò fu internato nello squallido manicomio criminale di Napoli, mentre Sara se ne tornò a casa.  

Fu poi trasferito in un’accogliente clinica psichiatrica privata, dove rimase a lungo, godendo di una sorveglianza meno stretta, per cui potè continuare a studiare, incontrare i suoi amici matematici, in particolare Carlo Miranda e don Savino Coronato, con i quali collaborava in ricerche ed iniziative tendenti a promuovere lo sviluppo dell’Istituto di Matematica napoletano, che era in crisi a causa di numerosi pensionamenti e trasferimenti avvenuti a partire dal 1930. Ebbe anche la possibilità sia di uscire a passeggio con amici, sia di suonare il pianoforte.

Una volta dimesso dalla clinica Renato Caccioppoli, sebbene fosse un sorvegliato speciale della polizia, non interruppe mai del tutto le relazioni con gli antifascisti sia comunisti che liberali.

Caduto il fascismo, riprese a frequentare con regolarità Emilio ed Enrico Sereni, Antonio e Giorgio Amendola, Mario Palermo, Adolfo Omodeo, Carlo Bernari e tanti altri.

Nella Napoli monarchica del dopoguerra egli si schierò ovviamente per la Repubblica. Dopo il sanguinoso attentato alla sede della Federazione comunista, avvenuto l’11 giugno 1946, ospitò nella proprio appartamento di palazzo Cellamare in via Chiaia i maggiorenti del P.C.I. Sereni, Palermo, Valenzi, Cosenza e Alicata, riuniti per decidere il da farsi.             

Pur non prendendo mai la tessera del partito, Caccioppoli fu molto attivo in politica, specie come animatore dell’organizzazione unitaria “Partigiani per la Pace”, che si batteva per il disarmo. Invitato come tale a parlare in un teatro di Bari, si presentò nell’ora stabilita e salì sul palcoscenico. Avendovi trovato per puro caso un pianoforte, si mise subito alla tastiera ed eseguì brani di Strauss, Beethoven, Debussy ecc., dinanzi ad un’affollata platea. Questa andò in visibilio allorchè, a conclusionne del “concerto”, egli disse che per esprimere il significato della pace non c’era mezzo migliore della musica.

In due anni di frequenza dell’Istituto di Matematica io ebbi modo di constatare e apprezzare in Caccioppoli l’acutezza di mente dello scienziato, il rigore e la forbitezza di linguaggio del matematico, nonchè la sottile ironia dell’uomo, ma non riscontrai in lui la disponibilità del docente ad una didattica adatta a rendere le proprie lezioni più comprensibili agli studenti.                                  Al termine di una lezione di calcolo differenziale uno dei presenti gridò: “Non ho capito niente!”

Il professore senza scomporsi ribattè prontamente: “Io sono uno scienziato, non un pedagogo!”, e aggiunse ironicamente di essere disposto a dare lezioni private.

Arrivare preparati a fare gli esami con Caccioppoli era un’impresa ardua. Per non naufragare in una bocciatura il solo salvagente di cui si disponeva erano le dispense delle “Lezioni di Analisi Matematica” e delle relative “Esercitazioni”, che recavano la sua firma.        

In ore e ore di studio su tali testi si cercava di comprendere appieno quel che il professore aveva detto in aula, durante i suoi monologhi di fronte alla lavagna, e di acquisire, nello stesso tempo, la capacità di espressione richiesta dall’esaminatore. E molti erano coloro che interrompevano                                                                                               il corso, proponendosi di riprenderlo nell’anno seguente con le lezioni del prof. Carlo Miranda.

Nell’appello di esami che ebbe luogo nel giugno 1950, Renato Caccioppoli si confermò esaminatore duro e imprevedibile: pochissimi i voti superiori a 24/30, molti quelli inferiori, numerose le bocciature. Avendo io deciso di presentarmi all’appello di luglio, chiesi di essere esaminato nel primo giorno, che era riservato ai volontari e detto perciò appello libero.

Non eravamo in pochi ad aver fatto questa scelta, perciò la mattina del 2 luglio, giorno della prova, ci rendemmo conto che non tutti saremmo  stati esaminati nelle ore antimeridiane.

Si cominciò alle 8,30. Non essendoci un elenco che indicasse l’ordine delle chiamate, nessuno sapeva però quando sarebbe stato il suo turno, né osava chiederlo alla commissione, costituita dallo stesso Caccioppoli e da don Savino Coronato.Tutti gli interessati non si allontanavano dall’aula, temendo di essere chiamati da un momento all’altro, anche perché alcuni studenti rinunziavano all’esame non rispondendo all’appello. 

Tra bocciature e approvazioni con voti prevalentemente inferiori ai 24/30 si arrivò alle ore13. Dopo una pausa di due ore gli esami ripresero puntualmente alle 15 con lo stesso ritmo della mattinata. Erano passate le ore 20, quando dopo lunga e snervante attesa arrivò il mio turno.

Subito rischiai di essere mandato via per un mio malinteso sul primo quesito postomi. Ma, chiarito l’equivoco, riuscii a rispondere esaurientemente sia alla prima che alle successive domande. Alla fine Caccioppoli scrisse il voto, che intendeva assegnarmi, su un pezzetto di carta, che passò al prof. Coronato per la trascrizione sui documenti d’esame. Firmò poi il mio libretto e nel consegnarmelo esclamò: “Approvato con 28!”. Poi, rivolto a Coronato, aggiunse: “Sembrerebbe che siano arrivati i cannoni, ma sono certo che il prossimo sarà un fucile a bacchetta.” Io stordito, ma felice,  scesi  volando le scale dell’Istituto.

Nel luglio dell’anno successivo, con animo alquanto più sereno, affrontai l’esame di Analisi Matematica 2 con la stessa commissione. Risposi bene a numerosi quesiti, l’ultimo dei quali era la soluzione di un’equazione differenziale, al cui risultato andava aggiunta una costante reale, che io avevo indicato con un’espressione che portava invece ad un numero positivo. Ciò fece tanto infuriare il prof. Caccioppoli che mi assegnò un modesto 22/30.

Forse è esagerato affermare, come è stato fatto, che Renato Caccioppoli “era un matematico ammaliatore” o che “dalla cattedra affascinava e rapiva gli studenti”, ma è assolutamente certo che egli fosse un autentico genio.

Molto opportunamente, quindi, due grandi matematici  hanno detto di lui:

-          “Non amava il lavoro di lima e di rifinitura, ma preferiva affrontare costantemente problemi nuovi e con l’intuito geniale di cui era dotato sapeva spesso precorrere i tempi aprendo nuove vie al progresso della scienza”(Carlo Miranda);

-          “Sapeva muoversi in… spazi a dimensione infinita con estrema sicurezza intuitiva, comprendendo a prima vista dove l’analogia col finito funziona e dove l’analogia con gli spazi di dimensione finita cessa di funzionare”(Ennio De Giorgi).

Le ultime sue pubblicazioni risalgono al 1952 e 1953, quando fu di nuovo premiato per le Scienze Fisiche e Matematiche dall’Accademia Nazionale dei Lincei. 

I suoi ultimi anni furono i più tristi: nel 1956 la repressione sovietica dell’Ungheria, minando alle fondamenta le sue certezze ideali, spense in lui l’impegno politico; la moglie Sara lo abbandonò, andando a vivere con Mario Alicata; egli forse sentiva venir meno la propria vena matematica

Prese a bere sempre di più e andò progressivamente isolandosi, finchè venerdì 8 maggio 1959,                                                                                                                   invece di andare all’università per l’ultima lezione dell’a.a. 1958-59, rinchiuso nel proprio appartamento di palazzo Cellamare, si tolse la vita con una rivoltella calibro 7,65. Non ebbe funerali religiosi, ma seguiva il suo feretro pregando e piangendo il sacerdote don Savino Coronato, suo fedele collaboratore ed amico.

Lucio Lombardo Radice sul giornale Unità del 12 maggio 1959 scrisse fra l’altro: “Caccioppoli è morto senza dire perché, ma in fondo erano anni che ce lo diceva. […] Per lui, la morte aveva un significato; riferito a Renato il vecchio adagio va così ribaltato: ‘Finchè c’è morte c’è speranza’.”

Ha lasciato un’ottantina di lavori di grande importanza, che nel 1963 sono stati raccolti in due volumi pubblicati dall’Unione Matematica Italiana, a cura di Mauro Picone.

Sugli ultimi giorni di Caccioppoli nel 1992 è stato prodotto un film, diretto da Mario Martone , intitolato Morte di un matematico napoletano.  

A lui sono stati intitolati sia il nuovo Istituto di Matematica dell’Università Federico II di Napoli, sia un asteroide esistente tra Marte e Giove, indicato con la sigla 9934.

Un significativo omaggio gli è stato tributato dal suo maestro, Mauro Picone, allorquando, con grande onestà ed umiltà, in una lettera del 1962 al collega Gianfranco Cimmino, ha scritto:


EGLI  DIVENNE  IL  MAESTRO  ED  IO IL   DISCEPOLO


                                                                                                                     Pietro Congedo

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