Nei primi giorni di
novembre del lontano 1949, essendo iscritto al 1° anno della Facoltà di
Ingegneria dell’Università di Napoli, entrai per la prima volta nell’Istituto
di Matematica, che era situato al 5°
piano dello storico edificio di via Mezzocannone.
Trovai un avviso, con cui si comunicava che le lezioni del
1° corso di Analisi Matematica nel 1949-50 sarebbero state tenute nei giorni
dispari, dalle 11 alle 12, dal prof.
Renato Caccioppoli, mentre nei giorni pari il prof Carlo Miranda avrebbe tenuto le lezioni
del 2° corso della stessa disciplina.
Trattandosi di docenti a me sconosciuti, chiesi informazioni ad uno studente di
2° anno, il quale mi disse che nell’insegnamento nei corsi di Analisi
Matematica i due docenti si alternavano. Aggiunse: “Entrambi sono bravi
matematici, ma Renato Caccioppoli è un genio.”
Una matricola come me, che aveva ascoltato la
conversazione, si dichiarò contenta di poter essere allieva di un genio, ma
altri due presenti la gelaronro dicendo a gran voce che gli studenti di 1° anno
erano nei guai, in quanto il prof. Caccioppoli era molto esigente ed
intollerante, per cui era più facile vincere al lotto che superare un esame con
lui.
Il lunedì successivo alle 11
facevo parte di una vociante folla di studenti, che nella vasta aula n.5,
ultima in fondo ad un lungo corridoio, attendeva la prima lezione di
Caccioppoli.
Intanto nei riguardi del professore
si riferivano aneddoti sulle strane abitudini di vita, sulla militanza politica
e soprattuto sulla severità con cui usava punire gli studenti per quelle che a
lui sembravano superficialità e approssimazioni. Ma si accennava anche alla sua
genialità in campo matematico ed alla sua eccezionale competenza in musica e
lingue straniere.
L’attesa durò a lungo, infatti
solo intorno alle 11,30 qualcuno gridò: “Arriva! ”
Avvicinatomi alla porta, lo vidi
avanzare lentamente nel corridoio, lungo il muro alla sua destra.
Quando fu più vicino mi colpì per
il suo viso rugoso e magro, coronato da capelli neri e lisci che formavano un
ciuffo sulla fronte spaziosa, sotto la quale vigilavano due occhi
saettanti. Fra le labbra sottili aveva una sigaretta, che fumava con la stessa
lentezza del proprio incedere.
Non mi sorprese il suo
abbigliamento, perché poco prima lo avevo sentito descrivere in maniera
dettagliata da uno degli studenti: a causa della pioggia era intabarrato in un
impermeabile liso e non proprio pulito, sotto il cui bavero aveva una sciarpa
incrociata sul collo, che non si sapeva cosa nascondesse a causa della rigorosa
abbottonatura del trench.
Alle 11,35 egli era in cattedra
e, nel silenzio generale, cominciò a parlare, accennando brevemente al
programma che intendeva svolgere. Iniziò poi la trattazione dell’analisi
combinatoria..
Il suo elegante e preciso modo di
porgere mi avrebbe affascinato, se egli non avesse dato per noti alcuni
concetti, che invece erano nuovi, e non solo per me che provenivo dal liceo
classico.
La lezione terminò puntualmente
alle ore 12 dopo soli 25 minuti. Più o meno tale sarebbe stata la durata di
ogni lezione sino alla fine del corso. Il perché lo rese noto un giorno lo
stesso professore, sostenendo che dopo 25 minuti coloro che avrebbero
continuato a seguire e comprendere il suo discorso erano talmente pochi che
egli non riteneva valesse la pena continuare a parlare.
Interessato alla vita e alla
carriera di Renato Caccioppoli, venni a sapere che suo nonno materno era stato il rivoluzionario
russo Michail Aleksandrovic Bakunin (1814 – 1876), che nel 1865, durante un lungo soggiorno a Napoli, aveva
sposato Antonia, figlia di un ingegnere polacco, dalla quale aveva avuto due
figlie, Giulia Sofia e Maria. Quest’ultima diventò famosa docente di chimica nell’università napoletana. Giulia
Sofia a 34 anni sposò il cinquantunenne medico napoletano Giuseppe Caccioppoli.
I due tra il 1904 e il 1910 ebbero cinque figli, ma solo il primogenito Renato
e il fratello Ugo rimasero in vita.
Entrambi trascorsero l’infanzia e
l’adolescenza in un ambiente culturale originale e raffinato. Renato conseguì la licenza liceale
privatamente, poichè il padre, nella convinzione che la medicina fosse una
scienza a forte impatto emotivo e poco affidabile negli esiti, gli aveva fatto
frequentare l’istituto per geometri nell’intento di impedirgli l’accesso
all’università e, quindi, la possibilità di diventare medico come lui.
Sempre per volere del padre,
s’iscrisse ad Ingegneria, ma successivamente, su suggerimento dell’amico di
famiglia Benedetto Croce, passò a Matematica. Il prof. Gianfranco Cimmino, suo
grande amico e collega, sostiene che: “…forse la sua scelta per la matematica,
tra le tante possibilità che gli si presentavano, fu anche dettata dalla voglia
di cimentarsi in un campo in cui eccellere è più raro e difficile ”.
Nel 1925 si laureò nell’Università di Napoli, sotto la
guida del prof. Ernesto Pascal, ma riconobbe come suo maestro il prof. Mauro
Picone, del quale divenne assistente. Conseguì la libera docenza nel 1928 e tre
anni dopo vinse il concorso per la cattedra di Analisi Algebrica presso
l’Università di Padova. Proprio durante la permanenza in questa città si andò
accentuando il suo modo di essere
ribelle ed anticonformista. Infatti, con la barba incolta ed i vestiti sporchi
e malridotti, cominciò ad andare in giro senza soldi in tasca ed a viaggiare in treno privo di
biglietto, fino ad essere fermato per vagabondaggio.
Ma negli stessi anni non cessò la
sua produzione scientifica, nella quale andava sempre più rivelando intuizione
e genialità eccezionali. Pertanto nel 1932 l’Accademia dei Lincei gli conferì
il premio nazionale per le Scienze Fisiche.
Intanto veniva invitato a trasferirsi all’Università di
Roma da Mauro Picone, il quale, divenuto titolare in quella sede, andava
costituendo un’équipe di lavoro con i suoi migliori allievi. Caccioppoli non accettò, forse perché
desiderava rientrare a Napoli, di cui gli mancavano i salotti musicali (in cui
poter eseguire al pianoforte gli amati Wagner, Strauss e Beethoven), il
“Circolo di Posillipo” (dove si dibatteva di Shopenhauer e Rilke, di
Kierkegaard e Bergson e si coltivava un’appassionante attività di cineforum) e
soprattutto la possibilità di girovagare per la Città frequentando bar e
osterie aperti fino a notte fonda.
Lasciò Padova nel 1934 e, ritornato nell’Università di
Napoli, vi insegnò prima Teoria dei Gruppi, poi Analisi Superiore e infine, a
partire dal 1943, Analisi Matematica. Continuò a curare la ricerca anche
mediante rapporti internazionali, nei quali era agevolato dal saper parlare
correntemente russo, francese, tedesco e inglese. Così il suo curriculum si
andava arricchendo di pubblicazioni, che
da un lato allargavano la cerchia
di coloro che venivano a conoscenza del suo talento, dall’altro contribuivano a
tener alto il prestigio degli studi matematici italiani nel periodo in cui
molti grandi scienziati erano costretti dal fascismo a lasciare i loro
incarichi universitari e riparare all’estero.
Renato Caccioppoli una volta tornato a Napoli rimase
deluso però dall’atmosfera politica priva di qualunque elemento di resistenza
al fascismo. L’inerzia dei suoi concittadini in occasione dell’aggressione
dell’Etiopia del 1935 lo rattristò profondamente. In tale circostanza egli
confidò a sua zia Maria: “Napoli è una palude e noi siamo la fauna malata di
questa palude. La vigliaccheria ci fa ingrassare e ci uccide
contemporaneamente”.
Intervenne allora la madre Giulia Sofia rivolgendosi
all’amico di famiglia avv. Mario Palermo, figura di spicco dell’antifascismo
napoletano, e lo pregò di stare vicino al figlio, confidandogli: “La solitudine
politica lo sta facendo ammattire”.
L’anziano avvocato, assiduo
frequentatore di Benedetto Croce, Enrico De Nicola, Giovanni e Giorgio
Amendola, invitò subito in casa sua il giovane Renato e fu colpito dalla sua
umanità, intelligenza e cultura, nonché
dalla sua ironia. Tra i due nacque una profonda amicizia e insieme cominciarono
a frequentare gli incontri segreti di esponenti comunisti, che avvenivano nel
retro della libreria Guida di Port’Alba. Ma questo clima di cospirazione
permanente non si addiceva a Caccioppoli, che, pur essendo sostanzialmente un
non-violento, soleva ripetere a se stesso (come riferisce D. Rea in Mistero
napoletano): “Occorre che mi esibisca, che salga su un palcoscenico senza
occuparmi troppo delle conseguenze, occorre parlare alla gente a voce alta.”
A tal proposito una buona
occasione gli fu offerta da Achille Starace, segretario del P.N.F., che con propria
circolare aveva consigliato agli uomini di non farsi vedere per strada mentre
portavano a spasso il cane. Egli accolse il consiglio e andò a passeggio per le
vie principali di Napoli, portando al guinzaglio un gallo.
Nel 1936 il trentaduenne Renato Caccioppoli
conobbe la bella sedicenne Sara Mancuso, figlia di un siciliano e di una
napoletana, la quale, essendo vissuta a Nizza, aveva una buona conoscenza della
lingua e della letteratura francese. Se ne innamorò a prima vista, la frequentò
per tre anni e la sposò in Municipio il 29 giugno 1939. Il matrimonio, però,
era stato celebrato dopo una dura e triste esperiemza di entrambi. Infatti
nella tarda sera di uno dei primi giorni del maggio 1938, alla vigilia della
visita di Hitler a Napoli, Renato e Sara erano entrati in una birreria
Lowembrau, nella quale fra gli avventori
c’era un gruppo di ufficiali della
milizia, gerarchi fascisti e vari poliziotti. Visti i due giovani fidanzati,
gli uomini in camicia nera, alticci per la birra bevuta, si misero a cantare Giovinezza,
imponendo al pianista del locale di accompagnarli con la musica.
Quando il coro ebbe finito la
propria esibizione, Caccioppoli, sedutosi al pianoforte, si mise a suonare con
consumata perizia la Marsigliese, mentre Sara cantava in perfetto
francese.
I fascisti, colti di sorpresa,
rimasero attoniti. Il Nostro poi rivoltosi al pubblico presente, spiegò che la
canzone ascoltata “…era l’inno di un paese libero, inno di libertà, la stessa
libertà che in Italia era soffocata e negata da Benito Mussolini, che con il suo
alleato tedesco…”. A questo punto il suo discorso fu bruscamente interrotto,
poichè i fascisti, superata la sorpresa, si scagliarono contro Renato e Sara, i
quali furono arrestati e condotti in Questura, con l’evidente rischio di finire
dinanzi al tribunale speciale.
La famiglia di lui intervvenne
prontamente, chiedendo l’intercessione del capo della polizia Carmine Senise,
amico del dott. Giuseppe Caccioppoli. Ma per salvare Renato dal confino fu
anche necessario farlo dichiarare pazzo.
Perciò fu internato nello squallido manicomio criminale di Napoli, mentre Sara
se ne tornò a casa.
Fu poi trasferito in
un’accogliente clinica psichiatrica privata, dove rimase a lungo, godendo di
una sorveglianza meno stretta, per cui potè continuare a studiare, incontrare i
suoi amici matematici, in particolare Carlo Miranda e don Savino Coronato, con
i quali collaborava in ricerche ed iniziative tendenti a promuovere lo sviluppo
dell’Istituto di Matematica napoletano, che era in crisi a causa di numerosi
pensionamenti e trasferimenti avvenuti a partire dal 1930. Ebbe anche la
possibilità sia di uscire a passeggio con amici, sia di suonare il pianoforte.
Una volta dimesso dalla clinica
Renato Caccioppoli, sebbene fosse un sorvegliato speciale della polizia, non
interruppe mai del tutto le relazioni con gli antifascisti sia comunisti che
liberali.
Caduto il fascismo, riprese a
frequentare con regolarità Emilio ed Enrico Sereni, Antonio e Giorgio Amendola,
Mario Palermo, Adolfo Omodeo, Carlo Bernari e tanti altri.
Nella Napoli monarchica del
dopoguerra egli si schierò ovviamente per la Repubblica. Dopo il sanguinoso
attentato alla sede della Federazione comunista, avvenuto l’11 giugno 1946,
ospitò nella proprio appartamento di palazzo Cellamare in via Chiaia i
maggiorenti del P.C.I. Sereni, Palermo, Valenzi, Cosenza e Alicata, riuniti per
decidere il da farsi.
Pur non prendendo mai la tessera
del partito, Caccioppoli fu molto attivo in politica, specie come animatore
dell’organizzazione unitaria “Partigiani per la Pace”, che si batteva per il
disarmo. Invitato come tale a parlare in un teatro di Bari, si presentò
nell’ora stabilita e salì sul palcoscenico. Avendovi trovato per puro caso un
pianoforte, si mise subito alla tastiera ed eseguì brani di Strauss, Beethoven,
Debussy ecc., dinanzi ad un’affollata platea. Questa andò in visibilio
allorchè, a conclusionne del “concerto”, egli disse che per esprimere il
significato della pace non c’era mezzo migliore della musica.
Il professore senza scomporsi
ribattè prontamente: “Io sono uno scienziato, non un pedagogo!”, e aggiunse
ironicamente di essere disposto a dare lezioni private.
Arrivare preparati a fare gli esami con Caccioppoli era
un’impresa ardua. Per non naufragare in una bocciatura il solo salvagente di
cui si disponeva erano le dispense delle “Lezioni di Analisi Matematica” e
delle relative “Esercitazioni”, che recavano la sua firma.
In ore e ore di studio su tali
testi si cercava di comprendere appieno quel che il professore aveva detto in
aula, durante i suoi monologhi di fronte alla lavagna, e di acquisire, nello
stesso tempo, la capacità di espressione richiesta dall’esaminatore. E molti
erano coloro che interrompevano
il
corso, proponendosi di riprenderlo nell’anno seguente con le lezioni del prof.
Carlo Miranda.
Nell’appello di esami che ebbe
luogo nel giugno 1950, Renato Caccioppoli si confermò esaminatore duro e
imprevedibile: pochissimi i voti superiori a 24/30, molti quelli inferiori,
numerose le bocciature. Avendo io deciso di presentarmi all’appello di luglio,
chiesi di essere esaminato nel primo giorno, che era riservato ai volontari e
detto perciò appello libero.
Non eravamo in pochi ad aver fatto questa scelta, perciò
la mattina del 2 luglio, giorno della prova, ci rendemmo conto che non tutti
saremmo stati esaminati nelle ore
antimeridiane.
Si cominciò alle 8,30. Non
essendoci un elenco che indicasse l’ordine delle chiamate, nessuno sapeva però
quando sarebbe stato il suo turno, né osava chiederlo alla commissione,
costituita dallo stesso Caccioppoli e da don Savino Coronato.Tutti gli
interessati non si allontanavano dall’aula, temendo di essere chiamati da un
momento all’altro, anche perché alcuni studenti rinunziavano all’esame non
rispondendo all’appello.
Tra bocciature e approvazioni con
voti prevalentemente inferiori ai 24/30 si arrivò alle ore13. Dopo una pausa di
due ore gli esami ripresero puntualmente alle 15 con lo stesso ritmo della
mattinata. Erano passate le ore 20, quando dopo lunga e snervante attesa arrivò
il mio turno.
Subito rischiai di essere mandato
via per un mio malinteso sul primo quesito postomi. Ma, chiarito l’equivoco,
riuscii a rispondere esaurientemente sia alla prima che alle successive
domande. Alla fine Caccioppoli scrisse il voto, che intendeva assegnarmi, su un
pezzetto di carta, che passò al prof. Coronato per la trascrizione sui
documenti d’esame. Firmò poi il mio libretto e nel consegnarmelo esclamò:
“Approvato con 28!”. Poi, rivolto a Coronato, aggiunse: “Sembrerebbe che siano
arrivati i cannoni, ma sono certo che il prossimo sarà un fucile a bacchetta.”
Io stordito, ma felice, scesi volando le scale dell’Istituto.
Nel luglio dell’anno successivo,
con animo alquanto più sereno, affrontai l’esame di Analisi Matematica 2 con la
stessa commissione. Risposi bene a numerosi quesiti, l’ultimo dei quali era la
soluzione di un’equazione differenziale, al cui risultato andava aggiunta una costante
reale, che io avevo indicato con un’espressione che portava invece ad un numero
positivo. Ciò fece tanto infuriare il prof. Caccioppoli che mi assegnò un
modesto 22/30.
Forse è esagerato affermare, come
è stato fatto, che Renato Caccioppoli “era un matematico ammaliatore” o che
“dalla cattedra affascinava e rapiva gli studenti”, ma è assolutamente certo
che egli fosse un autentico genio.
Molto opportunamente, quindi, due
grandi matematici hanno detto di lui:
-
“Non amava il lavoro di lima e di rifinitura, ma
preferiva affrontare costantemente problemi nuovi e con l’intuito geniale di
cui era dotato sapeva spesso precorrere i tempi aprendo nuove vie al progresso
della scienza”(Carlo Miranda);
-
“Sapeva muoversi in… spazi a dimensione infinita con
estrema sicurezza intuitiva, comprendendo a prima vista dove l’analogia col
finito funziona e dove l’analogia con gli spazi di dimensione finita cessa di
funzionare”(Ennio De Giorgi).
Le ultime sue pubblicazioni
risalgono al 1952 e 1953, quando fu di nuovo premiato per le Scienze Fisiche e
Matematiche dall’Accademia Nazionale dei Lincei.
I suoi ultimi anni furono i più
tristi: nel 1956 la repressione sovietica dell’Ungheria, minando alle
fondamenta le sue certezze ideali, spense in lui l’impegno politico; la moglie
Sara lo abbandonò, andando a vivere con Mario Alicata; egli forse sentiva venir
meno la propria vena matematica
Prese a bere sempre di più e andò
progressivamente isolandosi, finchè venerdì 8 maggio 1959, invece
di andare all’università per l’ultima lezione dell’a.a. 1958-59, rinchiuso nel
proprio appartamento di palazzo Cellamare, si tolse la vita con una rivoltella
calibro 7,65. Non ebbe funerali religiosi, ma seguiva il suo feretro pregando e
piangendo il sacerdote don Savino Coronato, suo fedele collaboratore ed amico.
Lucio Lombardo Radice sul
giornale Unità del 12 maggio 1959 scrisse fra l’altro: “Caccioppoli è
morto senza dire perché, ma in fondo erano anni che ce lo diceva. […] Per lui,
la morte aveva un significato; riferito a Renato il vecchio adagio va così
ribaltato: ‘Finchè c’è morte c’è speranza’.”
Ha lasciato un’ottantina di
lavori di grande importanza, che nel 1963 sono stati raccolti in due volumi
pubblicati dall’Unione Matematica Italiana, a cura di Mauro Picone.
Sugli ultimi giorni di
Caccioppoli nel 1992 è stato prodotto un film, diretto da Mario Martone ,
intitolato Morte di un matematico napoletano.
A lui sono stati intitolati sia
il nuovo Istituto di Matematica dell’Università Federico II di Napoli, sia un
asteroide esistente tra Marte e Giove, indicato con la sigla 9934.
Un significativo omaggio gli è
stato tributato dal suo maestro, Mauro Picone, allorquando, con grande onestà
ed umiltà, in una lettera del 1962 al collega Gianfranco Cimmino, ha scritto:
EGLI DIVENNE
IL MAESTRO ED IO
IL DISCEPOLO