Le opere di Pietro Galatino
Pietro Galatino dell’Ordine dei Frati Minori nel 1506 dedica al re di Spagna, Ferdinando II il Cattolico, che aveva occupato Napoli, l’opera “De optimi principis”.
Scrive nel 1507 la “Espositio dulcissimi nominis tetragrammaton”, sulla questione relativa alla pronunzia del nome ebraico di Dio, e dopo produce le opere indicate qui di seguito, adottando quasi sempre il criterio base della sua esegesi, che consiste nell’ interpretare tutta la S. Scrittura come riferita a Cristo e alla Chiesa.
Nel 1515 pubblica sia la “Oratio De Circumcisione Dominica” sul mistero della Circoncisione di Gesù, letta il 1° gennaio alla presenza di papa Leone X, sia la “Epistola ad Reuchlin”, indirizzata al grecista tedesco Giovanni Reuchlin, nella quale con ricercata eleganza annunzia la sua prossima opera, dedicata all’Imperatore Massimiliano I ed intitolata “De arcanis catholicae veritatis”(*). Quest’ultima, terminata nel 1516, è l’unico scritto che lo stesso autore fece stampare, ad Ortona a Mare (CH) nel 1518, sotto gli auspici della duchessa di Bari Isabella d’Aragona. Quindi è anche il suo scritto più noto e diffuso. Si compone di dodici libri e dopo la morte dell’autore è stato anche pubblicato a Basilea (2 volte), a Parigi nel 1603 e a Francoforte (3 volte). Una copia dell’edizione 1518 è nella Biblioteca di Galatina. Nelle edizioni postume la stessa compare unita al De arte cabalistica di Reuchlin.
Il “De arcanis…” è redatto in forma di dialogo, di cui sono interlocutori lo stesso autore (Galatinus), il Reuchlin (Capsius) e Giacomo Hochstratem, inquisitor fidei, al quale lo stesso Reuchlin è stato deferito (Hogostratos). Quest’ultimo sostiene che tutti i libri usati dagli ebrei debbano essere respinti, perché nessuno di essi giova al Cristianesimo, gli si oppongono i primi due con un serrato ragionamento, tendente a dimostrare che quei libri sono invece utili in quanto forniscono argomenti comprovanti la verità delle dottrina cattolica.
Ne viene fuori un commentario esegetico, teologico e mistico di Bibbia e Talmud.
Scrive nel 1519 il “Libellus de morte consolatorius ad Leone X”, in occasione della morte del duca di Urbino, Lorenzo dei Medici, nipote del pontefice.
E’ del 1521 il “De repubblica christiana”, opuscolo dedicato anch’esso a Leone X, nel quale sono dibattute questioni ascetico–formative. Infatti, considerate le condizioni morali ed intellettuali del clero, macchiato da ambizioni temporalistiche, da esasperato individualismo e vita frivola, si pensa che la Chiesa non solo richieda vescovi saggi, virtuosi e culturalmente illuminati, ma anche degni sacerdoti nonché dotti e santi religiosi. Proprio a questi ultimi competerebbe in modo specifico il ministero della predicazione, accompagnata questa da vita esemplare che offra testimonianza di buon esempio.
Del 1522 è soltanto la “Oratio de dominica passione”, predica sulla passione di Gesù, tenuta il venerdì santo nella cappella del Papa.
Sicuramente del 1523 è il “De septem Ecclesiae tum temporibus tum statibus”, dedicato al cardinale Francesco Quinones: è un’introduzione al commento dell’Apocalisse di qualche anno dopo; infatti vi si accenna alle sette epoche corrispondenti, secondo le interpretazioni mistiche, a sette diverse condizioni della Chiesa. In particolare, quando si parla dei bizantini scismatici, che preferiscono i Principi secolari al Sommo Pontefice, si accenna a Martin Lutero.
Anteriore al 1524 è il “De Ecclesia destituta” (cioè abbandonata) , in 8 libri, nei quali si discute delle calamità della Chiesa attraverso l’interpretazione sia delle profezie bibliche che di quelle medioevali, facendo di queste larga menzione.
E’ pure anteriore al 1524 il “De Ecclesia restituta” (cioè restaurata), in 5 libri, nei quali ricercando il senso mistico di alcuni Salmi, delle profezie bibliche e dell’Apocalisse, si conclude che la vera riforma della Chiesa potrà ottenersi col ritorno al suo stato originario.
Sempre col criterio della lettura allegorica è stato compilato nel 1524 e dedicato all’imperatore Carlo V “Il commento dell’Apocalisse, in 10 libri, nei quali l’autore, pur riconoscendo il merito dei commentatori precedenti (soprattutto dell’abate Gioacchino da Fiore), sostiene che solo al suo tempo si sarebbero potute vedere chiare le allusioni agli ultimi avvenimenti. Con questa convinzione identifica nel settimo capo della bestia apocalittica l’Islamismo, che solo l’imperatore Carlo V avrebbe potuto recidere, riconducendo così tutte le genti alla religione cristiana.
In questo testo è inserita la descrizione dell’eccidio di Otranto del 1480.
Del 1525 è la “Vaticini Romani explicatio” che contiene l’interpretazione di un oscuro vaticinio, dato a Roma nel 1160.
E’ stato compilato nel 1526 il “De Sacra Scriptura recte interpretanda”, che ha il sottotitolo “Ostium apertum” (la porta aperta), nel quale sono esposti i criteri da adottare per aprire la porta che nasconde agli occhi umani le verità scritturali più riposte, le quali si rivelano con modalità diverse da epoca a epoca, perché i misteri occultati dal senso letterale del testo si attuano nella storia a seconda dei tempi e delle persone; lo scritto è dedicato al re d’Inghilterra Enrico VIII.
Di incerta datazione è il “De cognoscendis pestilendibus hominibus deque refellendis eorum versutiis” , in 2 libri e dedicato al cardinale Andrea della Valle, il quale scritto contiene una serie di consigli per difendersi dai malvagi.
E’ del 1532 il “De SS. Eucharistiae sacramenti mysteriis” , il cui contenuto risulta evidente dal titolo.
E’ certamente successiva al 1533 la “Emendatio opusculorum de mysteriis et de Domini nostri Iesu Christi generatione”, dedicata al vescovo Paolo Capizucchi, che aveva invitato l’autore a correggere e ridurre alla retta lezione i due opuscoli ebraici non ben tradotti in latino forse dall’aragonese Paolo de Heredia, maestro di Pico della Mirandola; se fossero state vere le ipotesi fatte dal Galatino in seguito alla emendatio, i due brevi scritti avrebbero avuto rara importanza storica e il secondo sarebbe stato composto addirittura nei giorni della passione di Gesù Cristo.
E’ stato scritto dopo il 1534 il “De Ecclesia Instituta”, in 3 libri, nei quali l’autore, facendosi interprete dell’attesa generale dei cristiani che papa Paolo III compia l’auspicata riforma della Chiesa, delinea l’istituzione della stessa, interpretando i passi della S. Scrittura che si riferiscono alle sue fortunose vicende.
Anche dopo 1534 sarebbero state scritte le due operette dedicate al cardinale Nicola Rodolfo, “De anima Intellectiva” e “De homine”: la prima tratta dell’essenza, della potenza e dell’immortalità dell’anima; nella seconda si parla della congiunzione dell’anima razionale al corpo e vi è chiarito il concetto dell’uomo considerato come un “microcosmo”.
Dal 1534 il Galatino, ormai settantaquattrenne, si dedicava al vastissimo “De vera Theologia”, repertorio di scienza teologica rimasto nel 1539 incompleto dopo le prime cinque parti, già comprendenti circa cinquanta libri, nei quali, partendo dal concetto di Dio, passando per tutta la serie degli esseri creati fino all’uomo, viene trattata la sua caduta e della sua redenzione; inizia con la dedica a Paolo III ed alla V parte segue, come appendice, il trattatello “De idiomatum communicatione”.
Intorno al 1539 è stata compilata l’opera “De Angelico Pastore”, riguardante l’atteso pontefice, dalle caratteristiche specificate in varie profezie, il quale avrebbe riformato la Chiesa, riconducendola alla povertà e al servizio di Dio.
L’autore in questa sua opera raccoglie tutte le elucubrazioni sull’argomento, che aveva già espresse in vari suoi scritti.
Dopo questa rassegna delle opere di Pietro Galatino, c’è da osservare che egli non traccia un piano concreto per la riforma della Chiesa. Infatti, benché nelle sue riflessioni si mostri consapevole degli errori commessi e dei mali provocati dagli ecclesiastici, conclude poi solo col proporre una serie d’iniziative di cambiamento, in base alle quali l’Angelico Pastore avrebbe potuto impostare un proprio piano di rinnovamento della Chiesa. Perciò la riforma tanto auspicata dal teologo francescano, finisce col rimanere vaga ed aleatoria nonché condizionata dalla figura dell’ipotetico Angelico Pastore.
Invece egli poteva e doveva stimolare direttamente e con urgenza i Pontefici suoi contemporanei, su cui esercitava un certo ascendente, affinché programmassero e mettessero in atto concreti piani di riforma.
Conclusioni
A conclusione di questa presentazione della vita e delle opere del personaggio di fama mondiale, qual è stato Pietro Colonna, si ritiene opportuno accennare alla considerazione in cui lo stesso è stato ed è tuttora tenuto dai suoi conterranei.
Il suo nome è reso noto a tutti da una Commissione Comunale, presieduta dal Sindaco pro tempore, la quale il 5 novembre 1873 compila un nuovo regolamento per il Ginnasio-Convitto di Galatina, che all’articolo 1 recita: “Lo stabilimento letterario sistente (sic) in Galatina prenderà da oggi innanzi il nome di Ginnasio-Convitto Galatino, in memoria dell’illustre cittadino Pietro Galatino”.
Successivamente l’Istituto, con decreto 3 marzo 1898 del re Umberto I, è dichiarato ‘Istituto Pubblico di Assistenza e Beneficenza’ ovvero ‘Opera Pia’. La Commissione Amministrativa di questa viene eletta dal Consiglio Comunale con delibera n. 50/1899, in cui compare per la prima volta la denominazione Pio Istituto Pietro Colonna detto il Galatino, poi usata nella forma ridotta Pio Istituto P. Colonna.
Nella pratica con questa denominazione si è poi indicato tanto Scuola e Convitto quanto l’edificio ospitante gli stessi, cioè l’ex convento dei PP. Domenicani, ora “Palazzo della Cultura". Questo, dunque, è stato di fatto il “monumento” che nel XIX secolo gli amministratori comunali di Galatina hanno inteso erigere al grande concittadino Pietro Colonna.
Purtroppo, però, dopo 123 anni amministratori comunali del XXI hanno con disinvoltura soppresso la ormai consolidata denominazione di detto edificio. Ma sanno costoro chi era Pietro Galatino?
Pietro Congedo
---------------------------------------------------------------(*) In effetti nella prima pagina di copertina c’è la seguente epigrafe, nella quale, eliminate le abbreviazioni con l’aggiunta delle lettere tra parentesi, si legge:
Opus toti christian(a)e Reipubblic(a)e maxime utile, de arcanis
chatholic(a)e veritatis contra obstinatissimam Iud(a)eoru(m)
nostr(a)e tempestatis perfidiam: ex Talmud aliisque
hebraicis libris nuper excerptun: &
quadruplici linguarum genere
eleganter cogestum
[Traduzione: L’opera più utile in tutto il mondo, riguardo ai misteri della verità cattolica contro l’ostinatissima perfidia dei giudei del nostro tempo: estratta ultimamente dal Talmud e da altri libri ebraici, scritta correttamente in quattro lingue.]
A questa epigrafe segue un epigramma in ebraico in lode dell’autore del libro