venerdì 22 aprile 2016

Riflessioni di carattere politico sulla Grande Guerra - Contrasti tra politici e militari alla fine del 1916: Soldati e Ufficiali nella guerra «cronica»

Reparti schierati per assistere ad una fucilazione
Del Governo di Unità Nazionale, formato da Paolo Boselli nel giugno1916, faceva parte come ministro senza portafoglio, ma che ufficiosamente aveva l’incarico di creare un collegamento tra l’esecutivo e il Comando Supremo, Leonida Bissolati. Questi, avendo grande autorità e prestigio, avrebbe dovuto incarnare le speranze degli italiani, in quanto coerente con le sue idee di acceso interventista: allo scoppio della guerra si era arruolato volontario a 54 anni e, partecipando eroicamente ai combattimenti sul Monte Nero (1915) e sull’Altopiano di Asiago (1916), aveva meritato due medaglie d’argento.

Dopo la nomina a ministro Bissolati fece ritorno in zona di guerra per parlare col Re, con Cadorna e con Porro della necessità di promuovere un’inchiesta sugli avvenimenti relativi alla strafexpedition. Questo suo intervento suscitò la diffidenza generale e soprattutto urtò la suscettibilità del Comandante Supremo, il quale con una lettera del 7 agosto comunicò seccamente al presidente del Consiglio che egli non riconosceva a Bissolati la funzione d’intermediario e che le relazioni tra il Governo e lo Stato Maggiore dell’Esercito dovevano esser tenute solamente dal ministro della Guerra.

Boselli, da quel debole che era, rispose dichiarandone il proprio totale ed incondizionato accordo.
Cadorna inviò, quindi, ai comandi dell’Esercito un ordine col quale vietava a qualunque ministro di entrare in zona di guerra senza il suo preventivo assenso.   Egli, peraltro, temeva che Bissolati volesse “silurarlo” e sostituirlo col generale Luigi Capello.

Pertanto quando, in seguito alla conquista di Gorizia (9 agosto 1916), la stampa esaltava Capello, comandante del VI Corpo d’armata, considerandolo artefice della vittoria, il Comandante supremo vide nella campagna giornalistica una precisa orchestrazione contro di lui. Inoltre trapelò la notizia che tra Capello e Bissolati ci fossero “legami settari” (massonici). Perciò Cadorna ai primi di settembre tolse a Capello il comando del VI Corpo d’armata, nell’intento di punire tanto Capello quanto Bissolati.

Col passar dei giorni l’ira del Comandante Supremo crebbe ancor più, poiché Bissolati si trovò coinvolto in uno scandalo involontariamente provocato dal comandante del Servizio Aeronautico Italiano, il colonnello Giulio Douhet. Questi infatti, verso la fine di agosto, aveva redatto un memoriale anticadorniano, che cercò di  far pervenire ai ministri Bissolati e Sonnino tramite  l’on. Gaetano Mosca. Ma a quest’ultimo fu sottratto in treno il compromettente plico che giunse proprio nelle mani di Cadorna. Douhet fu quindi denunciato al tribunale militare che lo condannò ad un anno di reclusione. Durante il processo l’accusa, secondo Bissolati, non era riuscita a provare l’esistenza di alcuna “congiura” contro il Comandante Supremo. Tuttavia la tensione salì alle stelle, perciò il presidente del Consiglio Boselli si recò personalmente in zona di guerra, recando con sé una lettera, che Bissolati mandava a Cadorna per significare di non aver mai voluto creare imbarazzi, ordire insidie o fomentare l’indisciplina contro il Comando Supremo.

Lo stesso Boselli, facendo appello al patriottismo, disse che, se Bissolati non fosse stato ricevuto in detto Comando, tutto il Governo avrebbe dovuto dimettersi.      

Il Comandante Supremo dapprima ribadì il suo rifiuto, ma dopo 15 giorni, grazie anche all’intervento del Re, acconsentì a ricevere il ministro Bissolati, anche se in realtà continuò a porre limiti severissimi alle attività dello stesso in zona di guerra.

Tuttavia in seguito i rapporti tra Cadorna e Bissolati divennero quasi amichevoli.                    
Il miglioramento, iniziato con i ringraziamenti del primo al secondo per le prudenti ed accondiscendenti dichiarazioni fatte alla Camera in merito al caso Douhet, fu consolidato da una sostanziale coincidenza di opinioni su vari problemi della guerra. C’è stato, però, chi non a torto ha sostenuto che il segreto della rappacificazione fra i due fosse la sottomissione di Bissolati a Cadorna. Quest’ultimo, quindi, aveva ancora una volta dimostrato di possedere un’energia ben diversa da quella della maggioranza dei politici del suo tempo.

L’Esercito italiano si oppose validamente alla strafexspedition austro-ungarica e, nel corso dei combattimenti avvenuti tra maggio e giugno 1916, perdette circa 113mila  uomini tra morti e feriti. Tuttavia lo stato d’animo delle truppe non era stato uniforme sull’intero fronte. Infatti, mentre le ali dello schieramento si erano mantenute abbastanza salde, al centro le truppe avevano mollato. Perciò un generale uccise 8 soldati che fuggivano e ordinò di fucilare chiunque avesse mollato.

Il 21 maggio, quando ci fu lo sfondamento delle linee italiane, Cadorna, avendo constatato che alcuni reparti avevano abbandonato posizioni di capitale importanza senza nemmeno cercare di difenderle, affermò in presenza dei piantoni  che bisognava fucilare “senza processo” e che egli se ne assumeva la responsabilità. Un esplicito ordine in tal senso venne poi impartito il giorno 26 con lettera del  Comando Supremo, stampata e distribuita a tutti i comandi.

Solo due giorni dopo, cioè il 28 maggio, un sottotenente, tre sergenti e otto soldati del 141° reggimento di fanteria messo in fuga dagli austriaci, furono fucilati per ordine del  colonnello comandante, che ricevette un solenne encomio da Cadorna.

Questo fu il primo caso di decimazione avvenuto nel Regio Esercito italiano.

Il seguente 11 giugno fu destituito il comandante del XIV Corpo d’Armata per non aver adottato mezzi subitanei di repressione nei riguardi di reparti “andati a rifascio in brevissimo tempo senza combattere”, dei quali aveva però  deferito alcuni ufficiali alla corte marziale. Fu quindi ribadito l’ordine di fucilare sul posto sia i soldati che gli ufficiali, poiché si sapeva che i tribunali erano restii ad emettere condanne a morte.    

Ai primi di luglio l’89° reggimento della brigata Salerno, dopo 10 mesi trascorsi in uno dei più disagiati settori del fronte, era stato trasferito in un settore più tranquillo per un periodo di “riposo”, ma fu sorpreso dalla strafexpedition e dovette combattere. In seguito parecchi soldati, in parte feriti, erano in una località, da cui non potevano rientrare nelle linee italiane, perché sotto il tiro delle mitragliatrici nemiche. Dopo essere stati isolati e senza soccorsi per due giorni e due notti nella zona fra le opposte trincee, cioè nella terra di nessuno, tentavano di arrendersi al nemico. Perciò i comandi superiori ritennero opportuno ordinare alle artiglierie di far fuoco su di essi. Due giorni dopo il comando del corpo d’armata ordinò la decimazione tra i militari dell’89°, che comportò la fucilazione di otto militari. Nondimeno Cadorna si dichiarò convinto che la giustizia non avesse colpito ciecamente.

D’altronde il generalissimo considerava gli uomini irreggimentati nell’esercito da lui comandato “un’accolta improvvisata di grandi masse, in buona parte ineducate ai sentimenti militari, anzi educate dai partiti sovversivi ai sentimenti antimilitaristi, che un comandante non aveva il tempo di rieducare”. Tuttavia i suoi giudizi negativi coinvolgevano anche gli ufficiali, i quali  avrebbero dovuto essere i naturali educatori di quelle masse. Infatti all’inizio della guerra, mentre considerava la mancanza di almeno 13.500 unità, riferendosi ai 15mila ufficiali effettivi esistenti, affermava che questi erano “abbastanza buoni in basso, ma invecchiati e sfiduciati nei gradi inferiori e medi, ed in alto – insieme a parecchi buoni ed ottimi – altri non pochi insufficienti”.
Non poteva certo essere migliore il giudizio del Comandante Supremo nei riguardi dei  tanti mobilitati che erano  ufficiali di complemento.

Per ovviare alla grave carenza di ufficiali fu necessario istituirne a ritmo serrato corsi di addestramento, che normalmente duravano tre mesi, ai quali erano ammessi i mobilitati che fossero in possesso della licenza di scuola secondaria superiore. Quindi i frequentanti dei corsi erano uomini anche laureati, ma soprattutto giovani, talvolta non ancora ventenni.  Vennero anche istituiti i cosiddetti “corsi di corsa”, con i quali l’allievo otteneva la nomina a sottotenente in 60 (sessanta) giorni, e precisamente 40 a Modena e 20 alla Porretta, seguiti da una breve licenza; subito dopo il neo-ufficiale veniva mandato a comandare un reparto di linea.  
Dall’agosto del 1914 al novembre 1918 furono molto rapidamente addestrati più di 160mila nuovi ufficiali.

 Scrisse il gen. Luigi Capello: “E’ evidente che l’improvvisazione di una così gran massa dovesse andare a scapito della qualità”.

Disse Adolfo Omodeo che il più grave problema, per il giovane ufficiale di provenienza borghese, era quasi sempre costituito dal rapporto con il soldato proletario, spesso analfabeta, spesso più anziano e più maturo del suo tenente.
Senza mezzi termini Emilio De Bono spiegò come fosse facile che i neo ufficiali si trovassero in un primo tempo alla mercé dei loro subordinati.
“Siamo in mano alle criature”(cioè ai bambini) disse un fante al suo generale.

Durante e dopo la guerra gli ufficiali di complemento criticavano duramente di “carrierismo” i loro colleghi effettivi, arrivando addirittura a sostenere che spesso avessero ordinato ai reparti azioni inutili, ma dispendiose in vite umane, al fine di conseguire un avanzamento di grado. Inoltre i primi rivolgevano ai secondi  anche l’accusa di “imboscati”, sostenendo che, grazie alla complicità dei superiori, gli ufficiali permanenti riuscissero ad ottenere posti più sicuri nel Paese ed al fronte. Quest’ultimo genere di accusa ha trovato conferma i varie testimonianze scritte, tra cui quella di Cesare Battisti, contenuta in una lettera alla moglie del 5 settembre ’15.
          
La conquista di Gorizia, avvenuta l’8 agosto 1916, pur non avendo un grande valore strategico, rianimò un poco sia l’opinione pubblica che lo spirito dei combattenti, ma  tutti si avvidero rapidamente che la guerra quotidiana continuava nelle forme ormai consuete.
Intanto nel luglio 1916 gli uomini alle armi erano diventati 2.350.000, mentre un anno prima erano un milione e mezzo.

Nel settembre successivo ebbe inizio l’impiego di un nuovo tipo di artiglieria da trincea, “la bombarda”, il cui tiro – si disse – avrebbe certamente distrutto i reticolati nemici, ma la nebbia e l’umidità autunnali impedirono quasi sempre il raggiungimento di tale risultato.

Tuttavia Cadorna tra ottobre e novembre ordinò due brevi offensive, ma tanto costose in vite umane che alcuni reggimenti della III Armata si erano ribellati, subendo perciò la decimazione. Quando finalmente il generalissimo ordinò la sospensione dei combattimenti fino alla primavera del 1917, il bilancio dell’anno 1916  si rivelò doloroso: 404.500 morti e feriti, contro i 246.500 del 1915.
Come il numero delle perdite anche l’indice di autolesionismo aumentò notevolmente nel secondo anno di guerra. Infatti nel 1916 ci furono 4.133 condanne per mutilazioni volontarie o per lesioni e infermità procurate al fine di evitare il servizio militare, mentre le stesse nel 1915 erano state 1.403 . Tuttavia  gli autolesionisti cominciarono a diminuire alla fine del 1916: essi fino ad allora, stando in carcere se condannati, rimanevano lontani dal fronte, invece un decreto luogotenenziale dell’ottobre stabilì che anche se condannati alla reclusione dovessero essere inviati in linea.

Alla vigilia del secondo inverno di guerra molti ufficiali avvertivano l’urgente necessità di risollevare in qualche modo lo spirito delle truppe. In particolare un generale dichiarò che ai soldati avrebbe fatto più bene un’ora di divertimento, che cento grammi di pane in più.

Invece, la razione di pane fu ridotta da 750 a 600 grammi, e il 19 novembre Cadorna emanò una circolare, con la quale imponeva ad ufficiali e soldati di comportarsi in pubblico “in modo conforme alle esigenze dello stato di guerra” e, quindi, evitando distrazioni e divertimenti.
Una distrazione consentita era quella della lettura e le Case del Soldato erano abbastanza fornite di libri.

Fino al 1916 la propaganda “sovversiva e disfattista” non aveva ancora suscitato gli allarmi del Comando Supremo, il quale solo il 18 giugno di quell’anno emanò una circolare contro la diffusione di pubblicazioni antimilitariste.
Invece, relativamente alla propaganda pacifista, nell’agosto del 1916  una circolare del Ministero della Guerra vietava di far giungere alle truppe opuscoli o manifesti “tendenti a deprimerne il morale ed a fare opera contraria alle istituzioni ed alle aspirazioni nazionali”.
Grande importanza ebbe poi la circolare inviata il 4 novembre dal Ministro degli Interni, V. E. Orlando, ai Prefetti per segnalare la minaccia della propaganda che elementi “rivoluzionari” avrebbero potuto svolgere presso i soldati che giungevano in licenza invernale. Si cominciava, dunque, a temere che influenze negative del Paese potessero turbare lo stato d’animo delle truppe.
In particolare si temeva che il Partito Socialista potesse cavalcare la grande preoccupazione generale dovuta al prolungarsi indefinito della guerra e, quindi, imporre la pace e far precipitare l’Italia nel caos e nella sconfitta.

Tuttavia il ministro Orlando ostentava tranquillità e si rifiutava di adottare misure di carattere straordinario nei riguardi dei socialisti, spiegando in privato che Turati e Treves, capi del partito, stavano impedendo e frenando gli eccessi dei loro compagni più intransigenti, e che non avrebbero potuto continuare la loro attività moderatrice se il partito venisse colpito da provvedimenti eccezionali.

Invece era seriamente preoccupato per l’atteggiamento dei socialisti (che in Parlamento avevano anche presentato una mozione per chiedere la pace senza annessioni) il ministro Bissolati, al quale stesso Orlando, avendolo incontrato il 31 dicembre, precisò di avere pronti i decreti per proclamare, se necessario, lo stato d’assedio.

In effetti, però, neppure la frazione estremista del Partito socialista era disposta ad assumersi fino in fondo la responsabilità di una disfatta.
Pietro Congedo