giovedì 3 marzo 2016

Riflessioni di carattere politico sulla Grande Guerra: L'impiego degli aerei nel primo conflitto modiale

Milano, 14 febbraio 1916: gli effetti del primo bombardamento aereo austriaco
Gli italiani in Libia nel 1911, durante la guerra italo-turca, utilizzarono per la prima volta l’aereo come mezzo sia di ricognizione che di offesa. In particolare il 23 ottobre il capitano Carlo Maria Piazza eseguì la prima ricognizione, mentre il successivo 1° novembre  il sottotenente Giulio Gavotti effettuò in maniera singolare il primo bombardamento aereo della storia: volando a bassa quota su un accampamento turco ad Ain Zara lanciò tre bombe a mano.
L’impiego operativo dell’aereo era stato per la prima volta teorizzato in uno scritto  del 1909 dall’ufficiale dell’esercito italiano Giulio Douhet, il quale era nato nel 1869 da genitori di origini savoiarde, che avevano optato per la cittadinanza del Regno di Sardegna quando Nizza e Savoia vennero cedute alla Francia.

Proprio a Giulio Douhet il 13 novembre 1913 venne conferito dal Governo il comando del Battaglione Aviatori del Servizio Aeronautico Italiano, istituito ne 1912.
Allo scoppio della prima guerra mondiale l’aereo veniva utilizzato come mezzo di ricognizione, considerando il suo impiego quasi un surrogato delle consimili operazioni tradizionali della cavalleria, dalla quale spesso provenivano gli equipaggi dei primi velivoli.
Poiché il riconoscimento del profilo del terreno, della distribuzione e dei movimenti delle truppe e della disposizione delle trincee nemiche venivano notevolmente facilitati dalla perlustrazione aerea, l’aviazione militare conobbe un poderoso sviluppo in termini numerici e di miglioramenti tecnologici.

Tra il 1913 ed il 1918 almeno 136 tipi di aerei militari furono progettati, costruiti ed inviati nei vari teatri operativi. Ma nello stesso tempo fu, purtroppo, constatato quanto il mestiere di pilota fosse pericoloso: circa 52mila aerei, cioè quasi il 77% di quelli impiegati, andarono perduti  con i relativi equipaggi.

Il 24 maggio 1915, allo scoppio delle ostilità contro l’Austria, l’Italia aveva 150 aerei, 91 piloti, 20 osservatori e 20 allievi piloti.
Poiché l’industria aeronautica italiana era poco sviluppata, fu presto necessario acquistare numerosi aerei all’estero. Era, quindi, opportuno promuovere la nascita di un apparato industriale che potesse garantire una consistente produzione di aeromobili su scala locale.
Perciò il suddetto Douhet, che invocava la costruzione di aerei  da bombardamento per ottenere il controllo dell’aria, entrò in relazione con l’industriale Gianni Caproni che lui stesso autorizzò a costruire per l’Aviazione Italiana i bombardieri trimotori, detti appunto “Caproni”.
Egli non aveva però il potere di concedere detta autorizzazione, perciò fu rimosso dal  comando del Battaglione Aviatori ed inviato a prestare servizio nell’Esercito.
Successivamente, quando un suo scritto molto critico in ordine alla condotta della guerra, inviato segretamente all’esponente socialista Leonida Bissolati, venne intercettato dalle Autorità governative, egli fu deferito alla corte marziale per diffusione di notizie riservate. Fu, quindi, condannato alla pena di un anno di reclusione, espiando la quale ebbe la possibilità di consolidare le proprie idee, che poi espose nel più famoso dei suoi numerosi libri, intitolato “Il controllo dell’aria”.
Comunque Giulio Douhet, a parte gli incresciosi guai a cui era incorso, assicurò alla  Regia Aeronautica numerosi ottimi trimotori “Caproni” che si rivelarono molto utili  nel bombardamento tattico e nelle incursioni contro la base navale austriaca di Pola.
 
Sul fronte italo-austriaco, a causa dell’impossibilità degli aerei del tempo di volare a quote elevate, l’aviazione militare poté operare in zone pianeggianti o di bassa montagna, quindi specialmente sul fronte dell’Isonzo da Tolmino fino al mare, dall’inizio del conflitto fino alla ritirata di Caporetto, e nel settore Monte Grappa-Piave nell’ultimo anno di guerra.
Nei primi sei mesi di ostilità ci si limitò alle ricognizioni disarmate. Eccezione fu il bombardamento austriaco su Venezia del 24 ottobre 1915, che causò gravi danni ai beni culturali della città.
Nel luglio del 1915 l’aviazione austriaca fu dotata del caccia “Fokker E. I”, il primo velivolo dotato di “sincronizzatore”, un meccanismo che consentiva al pilota di sparare attraverso l’elica senza colpirne le pale. Innovazione questa che assicurò a questi aerei un importante vantaggio rispetto a quelli degli avversari. Ciò fu purtroppo amaramente constatato anche dagli italiani, poiché nel febbraio 1916 una formazione di dieci nostri  bombardieri “Caproni” venne efficacemente contrastata proprio da caccia “Fokker”, e nello scontro trovò la morte il colonnello Alfredo Barbieri, comandante della divisione aerea italiana.

Dopo la morte di Barbieri le missioni dei bombardieri “Caproni” vennero effettuate solo poco oltre la linea del fronte. Ma nell’aprile 1916 l’attività dell’aviazione italiana fu in netta ripresa in virtù dell’acquisizione di caccia francesi “Nieuport” e delle prime vittorie di Francesco Baracca.
L’aviazione austro-ungarica, pur non disponendo di bombardieri con più motori, come il “Caproni”, effettuando contro l’Italia missioni ben pianificate, conseguì fra gli altri i seguenti  importanti successi:

  • lunedì 14 febbraio 1916, alle ore 9, furono bombardati a Milano i quartieri Porta Romana e Porta Volta, mentre fino ad allora i bombardamenti erano stati subiti da alcune città della costa adriatica, da Verona e da località della pianura padana (*) (**);
  • nella notte tra il 17 e il 18 aprile 1916 Treviso fu bombardata da idrovolanti austriaci due volte, cioè alle 23:00 del 17 e alle 2:30 del 18;
  •  il 9 agosto 1916 fu bombardata Venezia ed affondato  un sommergibile inglese che era nel porto.

Le vittime italiane dei bombardamenti austriaci superarono le 400 unità, di cui 93 morte a Padova quando le bombe colpirono distruggendolo un rifugio antiaereo.

La stessa Treviso nel corso della guerra fu bombardata addirittura altre 27 volte, con lo sganciamento totale di circa 1500  bombe, perciò fu in gran parte abbandonata dagli abitanti, poiché solo 300 edifici erano rimasti indenni.

L’impiego di aerei in grandi formazioni anche di cinquanta velivoli fu la dimostrazione pratica della piena validità delle teorie di Giulio Douhet, che per primo aveva intuito che il dominio bellico dell’aria sarebbe stato importante quanto quello delle rotte marittime.
Il poeta-pilota Gabriele D’Annunzio, che gettò poi le basi dell’arditismo aviatorio, effettuando una serie di rischiose missioni di ricognizioni sull’Adriatico e i famosi raid sull’Austria allo scopo di lanciare volantini, stimava molto Douhet e si prodigò  per la sua riabilitazione.

Tuttavia, dopo la ritirata di Caporetto e l’uscita di scena del generale Luigi Cadorna, Giulio Douhet, quando aveva già scontata la pena, riuscì ad ottenere la revisione del processo, che si concluse con l’annullamento della condanna subita e il reintegro come ufficiale del R. Esercito. Nel 1921 ricevette la  promozione a maggiore generale e l’incarico di capo dell’Aviazione Italiana. Presto, però si dimise da quest’ultima carica, per dedicarsi interamente allo studio.
Douhet non conseguì mai il brevetto di pilota e morì d’infarto cardiaco nel 1930.

Allo scoppio della Grande Guerra la Regia Marina italiana aveva già avviato da alcuni anni la formazione di una propria aviazione. Partendo da esperienze legate soprattutto ai palloni aerostatici in funzione di ricognizione ed osservazione, si giunse presto alla costituzione di una scuola di piloti d’aereo a Venezia (1913). I piloti usciti da questa scuola fondarono la squadriglia “San Marco” che venne equipaggiata con idrovolanti di vario tipo.    
L’Aviazione italiana terminò il conflitto con 6.488 aerei e 18.840 motori prodotti nel solo 1918. Questo trend positivo continuò anche nel dopoguerra.

Pietro Congedo

(*)
Tratto dalla pagina web


...
Milano era lontana dalle linee nemiche, ma contribuì in maniera non indifferente col proprio apporto di uomini e di forza lavoro (ricordiamo che il grosso delle industrie pesanti si trovava in un triangolo di poche centinaia di chilometri tra Milano, Torino e Genova). Ma cosa è rimasto in città a ricordo di quella “Grande Guerra”? Provate a fare un giro con noi, visitando:
  1. Monumento ai ferrovieri caduti alla Stazione Centrale: al lato del binario n. 21, una installazione in marmo eseguita da Guglielmo Beretta, e posta a muro nel 1921 ricorda gli impiegati delle FF. SS, caduti durante lo svolgimento delle proprie mansioni in zona di guerra.
  2. Via Ragazzi del ’99: abbiamo citato l’esempio dei ragazzi del ’99 che la nostra città ha giustamente voluto ricordare con una via, laddove ancora è sopravvissuto un piccolo lembo di vecchia Milano, tra la Piazza S. Fedele e la Via Hoepli, sopravvissuto agli sventramenti imposti dal regime fascista alla nostra città.
  3. Tempio della Vittoria o sacrario dei caduti nella Prima Guerra Mondiale presso S. Ambrogio, lato L.go Gemelli: ideato per essere collocato nella fascista Piazza Fiume (poi divenuta della Repubblica). Finisce per essere realizzato sul luogo dove sono sepolti i primi martiri cristiani, presso S. Ambrogio... 
  4. Monumento ai caduti di Porta Romana Via Tiraboschi/ Via Papi: in realtà fu inaugurato come Monumento ai caduti dell’incursione austriaca. Infatti ricorda il primo bombardamento aereo sulla città, durante la I Guerra Mondiale: il 14 febbraio 1916, alla fine della giornata, si contano 13 morti e 40 feriti proprio tra Via Tiraboschi e Piazza Buozzi, in prossimità dello stazione di Porta Romana, importante scalo ferroviario industriale. In ricordo di questo episodio verrà innalzato il 24 giugno 1923 il monumento “Ai caduti di Porta Romana” (realizzato da Enrico Saroldi). L’opera raffigura un soldato romano e un milite del Carroccio (due figure storiche che avevano lottato contro i Tedeschi) mentre sorreggono una vittima. L’uomo che si accascia dovrebbe ricordare l’eroe di guerra Giordano Ottolini.  A causa della postura dei tre protagonisti, i vecchi milanesi avevano ribattezzato il luogo “ai tri ciucc” (ai tre ubriachi). Il basamento riporta i nomi dei morti per l’incursione aerea del 14 febbraio 1916 e quelli dei 573 residenti del Rione di Porta Romana caduti in guerra.
(**)
Tratto dalla pagina WEB

Il monumento, inaugurato nel 1923, celebra l'eroe di guerra Giordano Ottolini e commemora le 18 vittime di un bombardamento aereo austriaco sul quartiere di Porta Romana durante la I Guerra Mondiale, alle 9 del mattino del 14 febbraio 1916. Dopo tale incursione la città si dotò di un apparecchio francese per la difesa dal cielo. Sembra che questo bombardamento sia stato un episodio isolato.
Il monumento è opera dello scultore Enrico Saroldi 
La gente del quartiere, interpretando in modo meno eroico la posa delle tre figure, chiama il monumento i trii ciucc (i tre ubriachi).

Testo della lapide:

GIORDANO OTTOLINI
MEDAGLIA D'ORO

ALLE VITTIME INERMI DEGLI AEROPLANI AUSTRIACI
CHE LA MATTINA DEL 14 FEBBRAIO 1916
LO INSANGUINARONO
IL RIONE DI PORTA ROMANA
ERGE QUESTA MEMORE ARA
E VI ACCENDE UN'UNICA FIAMMA D'AMORE
PER TUTTI I SUOI CADUTI IN GUERRA
DAL 1915 AL 1918
OGGI
CHE LA VITTORIA E' CONSACRATA
IN FACCIA AL SOLE D'ITALIA
24 GIUGNO 1923