venerdì 5 ottobre 2012

Beneficenza ed assistenza a Galatina: dal Sacro Monte di Pietà al Monte dei Pegni Congedo

 

I Frati Minori Cappuccini vennero nella Terra di S.Pietro in Galatina nel 1544, invitati dal sindaco Altobello Vernaleone, e si stabilirono in un fabbricato umile e povero, del quale non si conosce il sito, ma certamente distante dall’abitato due - tre chilometri.

Essi dopo il 1570  per la munificenza del giureconsulto galatinese Nicolò Zimara, figlio del celebre Marcantonio[1], ebbero un vero convento a 250 passi dalle mura del paese, in località   le Tostine[2] sulla via per Corigliano.

Questa Comunità francescana intendeva effettuare con sistematicità l’assistenza dei poveri, ma per questo era necessario disporre delle rendite di un patrimonio, che i  Cappuccini non potevano possedere, in quanto appartenenti ad un Ordine monastico mendicante. Era quindi necessario costituire un Ente, diretto da laici o da ecclesiastici non vocati alla povertà, che avesse l’effettivo possesso dei beni, i cui proventi fossero destinati ad opere di carità.

 Pertanto per iniziativa del  cappuccino fra Giovanni Puterti da Taranto fu istituito in S. Pietro in Galatina il Sacro Monte di Pietà, amministrato da quattro Priori (o Governatori), che rimanevano in carica un solo anno. Ciò sarebbe avvenuto prima della costruzione del suddetto convento, e precisamente  nel 1569[3].

Nell’Archivio dell’Ospedale di Galatina (A.O.G.) è però conservato un manoscritto senza data, ma verosimilmente redatto nel ‘600, intitolato “Inventario dei beni stabili, che possiede il Sacro ed Ecclesiastico Monte della Pietà…”, nel quale fra l’altro  si legge testualmente: “…una…possessione d’olive di albori ottanta uno ( 81 )in feudo di S. Pietro sopra le due trappete …pervenne … a detto Monte dal q/m[4] Panfilo De Vito in anno mille cinquecento sessanta due (1562)”. Vi si legge anche che i “sig.ri Governatori” il 26 agosto1568 acquistarono 57 ulivi da Bonifacio Vernaleone, con atto del notaio Nicolò Caio, e che nella stessa data altri 70 ulivi furono donati al S. Monte dai fratelli Annibale e Clemente Mongiò[5]. In presenza di questi dati l’anno di fondazione del pio Istituto può  essere anticipato addirittura di  sette anni, cioè dal 1569 al 1562. Comunque è verosimile che, prima che il patrimonio in questione avesse una certa consistenza, l’assistenza ai bisognosi fosse già stata praticata per  anni in maniera ridotta e magari saltuaria, e che fra Giovanni Puterti nel 1569 abbia dato al S. Monte di Pietà una definitiva struttura amministrativa.

Comunque l’attività assistenziale dell’Istituto potè essere completa solo intorno al 1580, quando il galatinese Orazio Vernaleone di Domizio, ritiratosi nell’eremo di Camaldoli (AR), prese l’abito di quella Comunità monastica col nome di fra Mauro e con testamento del 24 dicembre 1579 (copia del quale è allegata al suddetto Inventario ) donò al Monte di Pietà della propria Città la maggior parte dei suoi beni, tra cui:  

- 357 alberi d’ulivo, di cui 74 in località “le Longhe della macchia” (feudo di Collemeto), 229 in località “ la Carcara” (feudo di S. Pietro) e 54 in località “le Longhe grandi”;

- quattro botteghe “nella strada pubblica della Piazza” ed un magazzino “nel vico del Monte,  i quali sono siti nel fabbrico di detto Monte all’ora(sic) casa del suddetto donatore..”.[6]

Fra Mauro nel suo testamento aveva innanzitutto disposto che nel “cortile” di quella che era stata la sua casa si costruisse una “Cappella,…(che) onoratamente finita in tutte quante le cose che si richiedono al culto,… (fosse) dedicata al glorioso nome di Gesù e della sua SS. Madre Maria” (ed)  officiata …di una Messa di Morti ogni giorno”e con la celebrazione di una Messa solenne nel “dì della Circoncisione del Signore”.  

Si accedeva alla suddetta Cappella attraverso l’attuale “Corte del Monte”, retrostante quello che oggi è palazzo Gaballo (in corso Vittorio Emanuele – angolo vico del Monte). La stessa fu in seguito dedicata alla Madonna di Costantinopoli e  adornata col polittico della bottega dei Vivarini (pittori veneti del XV secolo), che, trasferito nella Chiesa S.Caterina dopo la soppressione del Monte, trovasi attualmente nel Museo Provinciale di Lecce, al quale alla fine dell’Ottocento fu donato dal Sindaco di Galatina. In questa chiesetta c’era la seguente epigrafe, il cui testo è riportato nell’opera di Tommaso Vanna Il  regno delle Due Sicilie descritto e illustrato, IX Terra d’Otranto: Galatina, a cura di F. Girelli, ed. Nobile, Napoli, 1854-55”: 

“D. O. M. /  ORATIO  VERNALEONE PATRITIO OPTIMO  /  QUI  /  CUM IN CIVITATE  40  ANNOS  HONORIFICENTISSIME VIXISSET  /  AMPLAM  QUAE  REM  SUAM  /  ET  DOMUM  REI  SACRAE  FACIENDAE  PAUPERIBUS  ET  HOSPITIBUS  /  DONAVIT  /  ET  IN  CAMALDULENSIUM  HEREMUM  MAURUS GALATINUS  /  APPELLATUS  /  RELIQUUM  AETATIS  SANCTISSIME  TRADUXIT

/  VIXIT  AN. 57.  MENS. 3.  DIES  7 .  /  SOCIETAS  MONTIS  PIETATIS  GALATINI,  CUI  REM  COMMISIT  /   TANTI  MEMOR  BENEFICII  /  A. D.  1594.”                     

In seguito il S. Monte di Pietà entrò in possesso di altri beni, tra cui:

-  434 ulivi, ossia 157( di incerta provenienza) + 56 (venduti ai Governatori da Francesco e Gironimo de Lettera il 29.6 1580) +  47 (acquistati il 7 maggio 1608) + 127 (venduti ai Priori  da  Bernardino De Pandis il 4 marzo 1611) + 47 (acquistati il 20 agosto 1624);

- quattro giornate di terre seminatorie donate dal q/m Lionardo Filingeri nel 1592;

- due altre giornate di terre seminatorie di provenienza sconosciuta;

- una casa nel vicinato di S. Pantaleone, da cui si ricavava il censo annuo di carlini 10;

- un’altra casa presso le mura di S.Giorgio, da cui si ricavavano 17 carlini annui;

- “…più capitali che fanno la somma di ducati 347 fondati sopra stabili sicuri, come appare più distintamente nel censuario alla ragione del nove.

Le più importanti opere di carità cristiana effettuate dal S. Monte (quasi tutte disposte da fra Mauro Vernaleone nel proprio testamento del 1579) erano:

- la distribuzione ai poveri di pane, ottenuto ogni volta da un tomolo di grano, nella vigilia di Natale, a Capodanno e in due giornate di ogni mese, da settembre a maggio;

- la preparazione “nel Giovedì Santo o fra l’ottava in memoria della cena del Signore… (di un) pranzo…sufficiente a tante persone mendiche e miserabili” ;

- la fornitura di vesti a chi ne era privo;

- la dispensa di elemosine ai carcerati nei giorni dell’Annunziata, del Sabato Santo e della commemorazione dei Defunti, “procurando in detti giorni scarcerare qualche povero uomo importante, che ivi per sorte si ritrovasse più lungamente carcerato soddisfacendo il debito per lui”;

- la consegna di elemosine a “poveri vergognosi”direttamente nelle loro case il 2 novembre;  - l’ospitalità fino a tre giorni agli infermi e ai pellegrini (v. nota 6);

- una sovvenzione  annuale a chi curava il servizio di accompagnamento del SS. Sacramento; - l’assegnazione di  maritaggi (doti matrimoniali) a povere orfanelle.  

A partire del 1654 un  maritaggio di ducati 20 fu annualmente assegnato ad un’orfana, il cui nominativo veniva estratto a sorte nel giorno del Corpus Domini. Ciò divenne possibile, in quanto il S. Monte ereditò da D. Geminiano Robertini un capitale di ducati 400 (v. “Inventario dei beni…”) , il quale fu dato a censo al 5% nel maggio1654, con atto del notaio Serpentino Vese, fruttando appunto 20 ducati annui. Per espressa volontà dello stesso D. Geminiano Robertini l’orfanella assegnataria del maritaggio non doveva essere “di mal concetto, né figlia di madre disonesta, come anco morendo la detta orfanella senza figli debbino applicare” lo stesso maritaggio ad altra orfana. In riferimento al primo sorteggio nello stesso manoscritto “Inventario dei beni… si legge:   A di  4 giugno 1654: giorno del Corpus Domini uscì la cartella a l’orfana Lucrezia Miri per esecuzione di detto testatore come appare negli atti di notaro Serpentino Vese; la medesima morì senza eredi, il maritaggio sortì all’orfana Teresa Giuppa; l’istrumento lo fece notaro Vincenzo Picca.”

Relativamente al sorteggio effettuato 121 anni dopo si legge: “A 15 giugno 1775. Giorno del Corpus Domini uscì la cartella della povera orfana figlia del qndm (quondam) Antonio Miri e di Caterina Danna. Priori  li signori D. Pasquale canonico Luceri, D. Salvatore Tondi, Dr D. Baldassarre Papadia e D. Onofrio Luceri.

L’ultima registrazione riportata in “Inventario dei beni…” recita: “A di primo giugno 1809,  giorno del Corpus Domini, uscì a sorte la cartella alla povera orfana Rosa figlia del qdm Carmine Maggiullo e di Francesca Romana Maggiullo. Priori li signori D. Fedele canonico Papadia, Rev.do D. Fedele De Simone, D. Francesco Tanza e D. Paschale Congedo.”  

Si noti che i sorteggi in un primo tempo avvenivano in presenza di un notaio, in seguito furono effettuati dinanzi ai quattro Priori in carica. Inoltre nelle registrazioni non è mai indicato l’importo dei maritaggi, che col passar degli anni fu inferiore a 20 ducati. D’altronde nell’arco dei 155 anni, a cui si riferiscono le suddette registrazioni, le entrate del  Monte andarono progressivamente diminuendo, poiché, a parte la mancanza di nuovi lasciti, i proventi del patrimonio, costituito nei secoli XVI e XVII, consistevano prevalentemente nel prodotto degli uliveti, il quale, oltre ad essere aleatorio per natura, dipendeva molto dalle cure costanti richieste dagli alberi, che gli amministratori o gli affittuari non sempre effettuavano. 

Intanto a partire dal 1820 ci furono novità in ordine all’organizzazione della Beneficenza nelle Province e nei Comuni del Regno delle Due Sicilie. Infatti ci fu l’istituzione, alle dipendenze del Ministero degli Affari Interni, del Consiglio Generale degli Ospizi in ogni Provincia ( presieduto dall’Intendente) e della Commissione di Beneficenza in ogni Comune (costituita dal Sindaco, da due amministratori e da un deputato ecclesiastico).   

La Commissione di Beneficenza di Galatina ebbe la gestione dell’Ospedale, dell’Orfanotrofio femminile e del Monte di Pietà.

 Nel 1833 il Consiglio Generale degli Ospizi di Lecce, considerati l’ormai precario funzionamento del Monte di Pietà e le difficoltà economiche dell’Orfanotrofio, propose al Ministero degli Affari Interni che le residue rendite del primo fossero riunite a quelle del secondo. La proposta fu accolta con Reale Rescritto del 22 maggio 1833. Quindi il “Il Sacro Ecclesiastico Monte della Pietà” di Galatina fu soppresso a circa 270 anni dalla sua fondazione e oggi il suo  ricordo è rimasto solo nella toponomastica cittadina.

L’Orfanotrofio femminile fu ovviamente obbligato a tutti gli adempimenti, a cui il Pio Istituto soppresso andava soggetto per espressa volontà testamentaria dei benefattori, e in particolare alla celebrazione annuale di  441 Messe di suffragio. Tale onere era incompatibile con la scarsezza delle risorse necessarie al mantenimento delle orfanelle. Pertanto, su richiesta degli amministratori dell’Orfanotrofio, l’Arcivescovo di Otranto mons. Vincenzo Andrea Grande, ridusse “in perpetuo le  441 Messe inerenti ai beni dell’antico Monte… ad annue Messe 180, col darsi ai celebranti…limosina non minore di grana quindici per ogni Messa” (v. Indultum Archiepiscopi, conservato in A.O.G.). Di queste 52 dovevano essere celebrate nella Cappella del Monte di Pietà, mentre le rimanenti128 dovevano essere applicate a suffragio di coloro che morivano nell’Ospedale.    

A partire dal 1° gennaio 1863 a Galatina, come in tutti i Comuni del neonato Regno d’Italia, alla Commissione di Beneficenza subentrò la Congregazione di Carità (C. d. C)  Questa, presieduta dal 1863 al 1886 da Orazio Congedo, previa intesa con gli ex dirigenti della soppressa Commissione di Beneficenza, pagò maritaggi dell’importo di ducati 16 (= £ 68) ciascuno alle orfane Lucia Luceri (sorteggiata nel 1859) e Santa Congedo (sorteggiata addirittura nel 1853), le quali avevano contratto matrimonio rispettivamente  nel gennaio 1863 e nell’agosto 1865. Invece maritaggi, ognuno dell’importo di ducati 6 (= £ 25,50), furono corrisposti dalla stessa Congregazione, sempre nel 1863, alle orfane Rosaria Campa, Francesca Serafini e Cesaria Codazzo, che avevano contratto matrimonio rispettivamente negli anni 1860, 1862 e 1863. Quindi alle orfane sorteggiate a partire dal 1860 veniva corrisposto un  maritaggio d’importo pari al 30% di quello a suo tempo fissato dal benefattore D. Geminiano Robertini nel proprio testamento.    

La stessa C. d. C. già nei primi anni della sua attività amministrativa, per migliorare le entrate dell’Ospedale e dell’Orfanotrofio, cercò d’investire in titoli di Stato il ricavato di immobili divenuti poco produttivi. Tra questi c’era il sopraccitato vasto podere “ la Calcara”, che il Monte di Pietà  aveva a suo tempo ereditato da fra Mauro Vernaleone, del  quale nell’agosto 1866 fu effettuata la vendita all’asta al prezzo di £ 3941,25.

     

Proprio nel corso dell’anno 1866 furono avviate le procedure per la fondazione di un nuovo istituto assistenziale. Infatti il defunto Gaetano Congedo fu Giuseppe con testamento olografo del 23 giugno 1859, registrato il 7 giugno 1866, aveva lasciato ducati 1000 (= £ 4250) per l’istituzione di un “Monte di Pegni a vantaggio esclusivo dei naturali di Galatina e  di Noha”. Esecutore testamentario del predetto era il di lui fratello Orazio Congedo[7], che investì della questione la Congregazione di Carità. Questa il 9 dicembre 1866, “considerando che il legato destinato alla fondazione del Monte dei Pegni era più che conveniente e soprattutto giovevole ad alleviare ed a soccorrere la classe dei bisognosi”, accettò il suddetto legato e si assunse l’onere di fondare il nuovo istituto.                            

Con R. D. 11 agosto 1867 di Vittorio Emanuele II  il Monte dei Pegni Congedo di Galatina fu “eretto a Corpo Morale” (art. 2) e assegnato all’amministrazione della Congregazione di Carità, la quale entro tre mesi doveva presentare “lo Statuto Organico del Pio Istituto, salvo rassegnare successivamente all’approvazione della Deputazione Provinciale il Regolamento di Amministrazione e di Servizio interno” (art. 3).   

La Congregazione di Carità il 20 ottobre 1867 fu in grado di presentare una prima stesura in 12 articoli del suddetto Statuto Organico, che non ebbe, però, la sovrana approvazione. Pertanto, tenendo conto dei rilievi avanzati dalle superiori Autorità, fu effettuata una seconda stesura, recante la data 15 novembre 1868, che constava complessivamente di 16 articoli, distribuiti in 4 capi.

 Nel capo 1°, che constava di 3 articoli, erano riportate in maniera concisa notizie di carattere storico e vi era  precisato che l’Istituto, avendo a disposizione un capitale di lire 4250, aveva. lo scopo di “soccorrere per mezzo di prestiti in denaro i naturali poveri” di Galatina e di Noha e, avendo liquidità sufficiente, anche i nati altrove, ma domiciliati a Galatina o a Noha. Nei 2 articoli del capo 2° era stabilito che l’amministrazione doveva essere curata dalla Congregazione di Carità, la quale doveva rispettare le norme del proprio Statuto Organico e quelle dello Statuto Organico del Monte. Nel capo 3°, formato da 8 articoli, dopo una precisazione su ciò che poteva essere dato in pegno (oggetti nuovi o poco usati, con esclusione delle pietre preziose e dei tessuti di lana), era stabilito che ogni somma data in prestito doveva essere non maggiore ai due terzi del valore di stima dell’oggetto dato in pegno e d’importo non inferiore a lire 5, né superiore a lire 50; era inoltre precisato che il ricavato degli interessi ( il cui tasso era categoricamente fissato al 6%), sottratte le spese di amministrazione, doveva servire per aumentare il capitale e che i pegni non riscattati alla scadenza annuale, eventualmente prorogata fino a sei mesi, erano posti in vendita all’incanto, “per via di manifesti in carta libera e di bando”, al prezzo stabilito dai periti; ma ove al primo incanto le offerte fossero state inferiori a tale prezzo, si procedeva ad un secondo incanto, accettando qualsiasi prezzo. Infine i tre articoli del capo 4° riguardavano:

- la remunerazione del Segretario e del Tesoriere della Congregazione, ai quali competevano  in parti uguali lire dieci per ispese di scrittoio, ed, a titolo di stipendio, il terzo per ciascuno, dell’interesse prodotto dalle somme mutuate, depurato da ogni spesa”;    

- la cauzione che doveva prestare il Tesoriere era pari al capitale dell’Istituto ( £ 4250), ma poteva essere sostituita con la garanzia offerta da un proprietario di notoria probità e solvibilità;

- la mercede da corrispondere ai Periti, che stimavano gli oggetti dati in pegno, era “cavata dall’altro terzo dell’interesse delle somme mutuate”.    

La suddetta seconda stesura dello Statuto Organico del “Monte dei Pegni Congedo ottenne la sovrana approvazione il 26 settembre 1869.

La Congregazione di Carità, riunitasi il 13 marzo 1870, predispose il “Regolamento per l’esecuzione dello Statuto Organico del Monte dei Pegni Congedo”, che la Deputazione Provinciale di Lecce approvò il successivo 4 aprile. Il documento constava di complessivi diciannove articoli, distribuiti in quattro capi intitolati: pegnorazione, spegnorazione, vendita e conto. I primi tre titoli indicavano le operazioni che abitualmente si svolgevano nella sede del Monte, situata “in due camere dell’Ospedale”, il quale, essendo costantemente abitato, garantiva una sicura custodia degli oggetti avuti in pegno, del denaro e dei registri. Le “operazioni degl’impegni e de’ dispegni”avvenivano in due giorni di ogni settimana e per tre ore in ciascun giorno. Esse erano effettuate sempre alla presenza del Segretario e del Tesoriere, ai quali si aggiungevano due membri della C. d. C., estratti a sorte trimestralmente. Per ogni oggetto impegnato, dopo la valutazione, veniva compilata in duplice copia una cartella con le generalità del mutuatario, la descrizione del pegno e l’indicazione sia del valore attribuitogli che della somma prestata. Inoltre su un 1° registro  venivano riportate le notizie contenute nella cartella, della quale una copia andava all’interessato, mentre l’altra veniva attaccata al pegno.     

Per la spegnorazione gli operatori del Monte, dopo aver accertata l’identità del portatore della cartella, calcolavano l’interesse, che annotavano sul registro per poi incassarlo insieme alla somma restituita. Indi il pegno veniva restituito, “mettendo in pezzi le cartelle”.  

Nella spegnorazione la somma mutuata doveva essere della stessa moneta (ossia d’argento- N.d.A.); e nel caso si vorrà restituire in carte monetarie, o in bronzo, la Congregazione avrà il diritto di ritenersi l’aggio, che correrà in piazza, a benefizio del Monte”(art. 13 ).                 Nella vendita dei pegni non ritirati alla scadenza non era “lecito di annunziare i nomi de’ pignoranti”, ma veniva redatto un verbale “e il prezzo della vendita, insieme alla somma mutuata ed all’interesse (erano) descritti nel 2° registro, ed in esso (era) notata altresì la somma restituita alla Parte, proveniente da aumento nella licitazione”. Anche chi acquistava oggetti all’incanto doveva “sborsare il prezzo in moneta effettiva d’argento”o corrispondere il suddetto aggio.

Il conto di cui al Capo 4° era l’annuale bilancio del Monte.

Col  R.D. 5 ottobre 1886 di Umberto I furono apportate modifiche agli articoli 3 e 9 dello Statuto Organico del Monte, infatti: (art.3) il capitale fu elevato a £ 13.000, di cui 4250 lasciate dal fondatore Congedo e “£ 8750 lasciate dal fu Fortunato Mandorino mercè testamento pubblico per Notar P. Garrisi di Galatina ai 29 aprile 1879; (art. 9) il tasso d’interesse sulle somme mutuate fu ribassato dal 6% al 4%.

La legge 17 luglio 1890 sulle Opere Pie e soprattutto la legge 4 maggio 1898 sui Monti di Pietà portarono la C. d. C., presieduta da Antonio Romano, a formulare il 27 marzo 1806 un nuovo Statuto Organico del Monte dei Pegni Congedo di Galatina, che fu approvato con R.D. 29 luglio 1906 di Vittorio Emanuele III. Il nuovo documento constava di 23 articoli, nei quali c’erano numerose novità, tra cui vale la pena segnalare le seguenti: il patrimonio del Monte veniva elevato da £ 13.000 a £ 28.460,87 in virtù della somma degli avanzi di amministrazione, che alla fine del 1904 ammontava a lire 15.640,87; l’affidamento della direzione dell’Istituto ad un membro della C. d. C.; i locali degli uffici e della custodia dei pegni dovevano essere assicurati contro i danni d’incendio; la C. d. C. era tenuta ad effettuare saltuarie verifiche nel magazzino dei pegni e della cassa, della quale c’erano due diverse chiavi, una tenuta dal presidente e l’altra dal tesoriere in modo da non potersi aprire senza l’uso di entrambe; gli  addetti all’amministrazione erano il Segretario della C. d. C., un Tesoriere Montista (che esercitava anche le funzioni di stimatore) e un bidello; venivano aumentati gli oggetti accettati in pegno aggiungendovi le pietre preziose e i Titoli garantiti dallo Stato; s’istituivano le polizze al portatore, in sostituzione delle tradizionali cartelle con le generalità del mutuatario; le somme esuberanti dovevano essere depositate presso la Cassa di Risparmio Postale.        

In seguito alle norme riguardanti gli Istituti di Credito, emanate a partire dal 1923 dal Governo Fascista, la  C. d. C., presieduta da Fedele Sambati, il 20 agosto 1931-IX formulò lo Statuto Organico del Monte di Pietà di seconda categoria con sede in Galatina, che fu approvato con R.D. 2 maggio 1932-X , firmato da Vittorio Emanuele III e da B. Mussolini. Ma, nonostante la nuova intitolazione, l’Istituto aveva sempre il solo scopo di “sovvenire i poveri mediante prestiti contro pegno di cose mobili”. Il nuovo Statuto Organico, composto di 31 articoli, conteneva innovazioni atte, secondo gli estensori, a migliorare e facilitare il funzionamento del pio Ente. Fra queste è opportuno citare le seguenti:                                     - il patrimonio al 31 dicembre 1929 era costituito da titoli di rendita pubblica dello Stato e da crediti per prestiti sopra pegni per l’ammontare complessivo di £ 19.629,72;                             - la C. d. C. era responsabile del Monte di Pietà e ne curava il funzionamento con i propri impiegati amministrativi;

- era vietato ad amministratori ed impiegati contrarre obbligazioni di qualsiasi genere con l’Istituto, e di partecipare comunque agli utili della sua gestione;

-  il limite minimo dei prestiti era di £ 5, il massimo di £ 100; per ogni operazione di prestito il Monte esigeva una tassa fissa di £ 2 a titolo di rimborso custodia, deterioramenti eventuali, spese di stima, ecc., la quale tassa andava a beneficio del Monte e doveva essere applicata gradualmente in vigore dell’ammontare del prestito contratto (art. 15);

- i pegni non riscattati, se rimanevano invenduti dopo tre esperimenti d’incanto, restavano in proprietà dello stimatore, il quale era obbligato a reintegrare il Monte dell’intero suo avere;

- il Monte considerava sempre come esclusivo proprietario degli oggetti pignorati il portatore della relativa polizza di pegno;

-  le somme esuberanti in confronto alle necessità dell’azienda del pegno dovevano essere investite nell’acquisto di titoli di Stato o garantiti dallo Stato; gli utili netti di ogni anno, sottratte tutte le spese, andavano in aumento del capitale del Monte o devolute, invece, per la riduzione degli oneri che gravavano il pegno.  

Il “Monte Congedo”cessò ogni sua attività nel 1939, quando alla Congregazione di Carità era già subentrato l’Ente Comunale di Assistenza ( E. C. A.), mentre in Città operavano da tempo tre Istituti di Credito, ossia la Banca Popolare Cooperativa ( fondata nel 1887, chiusa per liquidazione coatta nel 1939 e rimpiazzata nello stesso anno da un’agenzia del Banco di Napoli ), la Banca F.lli Vallone fu Vincenzo (fondata nel 1925) e la Banca Donato Mongiò (fondata nel 1926).

                                                                                     Pietro Congedo



[1] Marcantonio Zimara (1475ca. – 1535ca.) fu filosofo, medico e docente nelle Università di Padova e Salerno.
[2] Cfr F. Giovannini Vacca, Un’inedita storia del cinquecento, in “Urbs Galatina”- Editrice Salentina Galatina, 1992, p. 21.
[3] Ibidem, p. 18.
[4] Q/m, abbreviazione del termine latino quondam( = una volta), che precedeva  il nome di persona defunta.
[5] Clemente Mongiò era frate minore osservante e per due volte ( nel 1563 e nel 1577) fu eletto Ministro Provinciale del proprio Ordine. La sua tomba si trova sulla parete sinistra del presbiterio della Chiesa  S. Caterina in Galatina.
[6] La casa di Orazio Vernaleone, oltre a diventare sede del Monte di Pietà, fu in parte trasformata, per esplicita disposizione testamentaria dello stesso donatore, in una sorta di albergo dei poveri, nel quale gli infermi e i pellegrini trovavano non solo alloggio gratuito per tre giorni, ma anche il necessario per la cucina e per la mensa. 
[7] Orazio Congedo (1793- 1886), figlio di Giuseppe e di Francesca Congedo, frequentò le Scuole Pie di Campi, il Collegio dei Gesuiti di Lecce e l’Università di Napoli. Laureatosi in giurisprudenza, si dedicò  gratuitamente all’assistenza dei concittadini, che trovavano difficoltà ad affrancare i propri beni dai vincoli feudali. Come “invigilatore” fece parte della Commissione preposta all’istituzione (1834) e alla gestione delle Scuole della propria Città. Fu presidente della Congregazione di Carità di Galatina dall’istituzione della stessa (1 gennaio 1863) fino alla propria morte (13 luglio 1886).