I Frati Minori Cappuccini vennero
nella Terra di S.Pietro in Galatina nel 1544, invitati dal sindaco Altobello
Vernaleone, e si stabilirono in un fabbricato umile e povero, del quale non si
conosce il sito, ma certamente distante dall’abitato due - tre chilometri.
Essi dopo il 1570 per la munificenza del giureconsulto
galatinese Nicolò Zimara, figlio del celebre Marcantonio[1],
ebbero un vero convento a 250 passi dalle mura del paese, in località “ le
Tostine”[2] sulla via per Corigliano.
Questa Comunità francescana intendeva
effettuare con sistematicità l’assistenza dei poveri, ma per questo era
necessario disporre delle rendite di un patrimonio, che i Cappuccini non potevano possedere, in quanto
appartenenti ad un Ordine monastico mendicante. Era quindi necessario
costituire un Ente, diretto da laici o da ecclesiastici non vocati alla
povertà, che avesse l’effettivo possesso dei beni, i cui proventi fossero
destinati ad opere di carità.
Pertanto per iniziativa del cappuccino fra Giovanni Puterti da Taranto fu
istituito in S. Pietro in Galatina il Sacro Monte di Pietà, amministrato da
quattro Priori (o Governatori), che rimanevano in carica un solo anno. Ciò
sarebbe avvenuto prima della costruzione del suddetto convento, e precisamente nel 1569[3].
Nell’Archivio dell’Ospedale di
Galatina (A.O.G.) è però conservato un manoscritto senza data, ma
verosimilmente redatto nel ‘600, intitolato “Inventario dei beni stabili,
che possiede il Sacro ed Ecclesiastico Monte della Pietà…”, nel quale fra
l’altro si legge testualmente: “…una…possessione d’olive di albori ottanta
uno ( 81 )in feudo di S. Pietro sopra
le due trappete …pervenne … a detto Monte dal q/m[4] Panfilo De Vito in
anno mille cinquecento sessanta due (1562)”. Vi si legge anche che i “sig.ri Governatori” il 26 agosto1568
acquistarono 57 ulivi da Bonifacio Vernaleone, con atto del notaio Nicolò Caio,
e che nella stessa data altri 70 ulivi furono donati al S. Monte dai fratelli
Annibale e Clemente Mongiò[5]. In
presenza di questi dati l’anno di fondazione del pio Istituto può essere anticipato addirittura di sette anni, cioè dal 1569 al 1562. Comunque è
verosimile che, prima che il patrimonio in questione avesse una certa
consistenza, l’assistenza ai bisognosi fosse già stata praticata per anni in maniera ridotta e magari saltuaria, e
che fra Giovanni Puterti nel 1569 abbia dato al S. Monte di Pietà una
definitiva struttura amministrativa.
Comunque l’attività assistenziale
dell’Istituto potè essere completa solo intorno al 1580, quando il galatinese
Orazio Vernaleone di Domizio, ritiratosi nell’eremo di Camaldoli (AR), prese
l’abito di quella Comunità monastica col nome di fra Mauro e con testamento del 24 dicembre 1579 (copia
del quale è allegata al suddetto Inventario
) donò al Monte di Pietà della propria Città la maggior parte dei suoi beni,
tra cui:
- 357 alberi d’ulivo, di cui 74 in località “le Longhe della macchia” (feudo di
Collemeto), 229 in
località “ la Carcara ” (feudo di
S. Pietro) e 54 in
località “le Longhe grandi”;
- quattro botteghe “nella strada pubblica della Piazza” ed
un magazzino “nel vico del Monte, i quali sono siti nel fabbrico di detto Monte
all’ora(sic) casa del suddetto donatore..”.[6]
Fra Mauro nel suo testamento
aveva innanzitutto disposto che nel “cortile”
di quella che era stata la sua casa si costruisse una “Cappella,…(che) onoratamente
finita in tutte quante le cose che si richiedono al culto,… (fosse) dedicata al glorioso nome di Gesù e della
sua SS. Madre Maria” (ed) officiata …di una Messa di Morti ogni giorno”e
con la celebrazione di una Messa solenne nel “dì della Circoncisione del Signore”.
Si accedeva alla suddetta
Cappella attraverso l’attuale “Corte del
Monte”, retrostante quello che oggi è palazzo Gaballo (in corso Vittorio
Emanuele – angolo vico del Monte). La stessa fu in seguito dedicata alla Madonna
di Costantinopoli e adornata col
polittico della bottega dei Vivarini (pittori veneti del XV secolo), che,
trasferito nella Chiesa S.Caterina dopo la soppressione del Monte, trovasi
attualmente nel Museo Provinciale di Lecce, al quale alla fine dell’Ottocento
fu donato dal Sindaco di Galatina. In questa chiesetta c’era la seguente
epigrafe, il cui testo è riportato nell’opera di Tommaso Vanna Il
regno delle Due Sicilie descritto e illustrato, IX Terra d’Otranto: Galatina, a cura di F. Girelli, ed. Nobile,
Napoli, 1854-55”:
“D. O. M. / ORATIO VERNALEONE PATRITIO OPTIMO / QUI / CUM IN
CIVITATE 40 ANNOS HONORIFICENTISSIME VIXISSET /
AMPLAM QUAE REM
SUAM / ET
DOMUM REI SACRAE
FACIENDAE PAUPERIBUS ET
HOSPITIBUS / DONAVIT
/ ET IN
CAMALDULENSIUM HEREMUM MAURUS GALATINUS /
APPELLATUS / RELIQUUM
AETATIS SANCTISSIME TRADUXIT
/
VIXIT AN. 57. MENS. 3.
DIES 7 . /
SOCIETAS MONTIS PIETATIS
GALATINI, CUI REM
COMMISIT / TANTI
MEMOR BENEFICII / A.
D. 1594.”
In seguito il S. Monte di Pietà
entrò in possesso di altri beni, tra cui:
-
434 ulivi, ossia 157( di incerta provenienza) + 56 (venduti ai
Governatori da Francesco e Gironimo de Lettera il 29.6 1580) + 47 (acquistati il 7 maggio 1608) + 127
(venduti ai Priori da Bernardino De Pandis il 4 marzo 1611) + 47
(acquistati il 20 agosto 1624);
- quattro giornate di terre seminatorie donate dal q/m Lionardo Filingeri nel 1592;
- due altre giornate di terre seminatorie di provenienza sconosciuta;
- una casa nel vicinato di S. Pantaleone,
da cui si ricavava il censo annuo di carlini 10;
- un’altra casa presso le mura di
S.Giorgio, da cui si ricavavano 17 carlini annui;
- “…più capitali che fanno la somma di ducati 347 fondati sopra stabili
sicuri, come appare più distintamente nel censuario alla ragione del nove.”
Le più importanti opere di carità
cristiana effettuate dal S. Monte (quasi tutte disposte da fra Mauro Vernaleone
nel proprio testamento del 1579) erano:
- la distribuzione ai poveri di
pane, ottenuto ogni volta da un tomolo di grano, nella vigilia di Natale, a
Capodanno e in due giornate di ogni mese, da settembre a maggio;
- la preparazione “nel Giovedì Santo o fra l’ottava in memoria
della cena del Signore… (di un)
pranzo…sufficiente a tante persone mendiche e miserabili” ;
- la fornitura di vesti a chi ne
era privo;
- la dispensa di elemosine ai
carcerati nei giorni dell’Annunziata, del Sabato Santo e della commemorazione
dei Defunti, “procurando in detti giorni
scarcerare qualche povero uomo importante, che ivi per sorte si ritrovasse più
lungamente carcerato soddisfacendo il debito per lui”;
- la consegna di elemosine a “poveri vergognosi”direttamente nelle
loro case il 2 novembre; - l’ospitalità fino
a tre giorni agli infermi e ai pellegrini (v. nota 6);
- una sovvenzione annuale a chi curava il servizio di
accompagnamento del SS. Sacramento; - l’assegnazione di maritaggi
(doti matrimoniali) a povere orfanelle.
A partire del 1654 un maritaggio di ducati 20 fu annualmente
assegnato ad un’orfana, il cui nominativo veniva estratto a sorte nel giorno
del Corpus Domini. Ciò divenne possibile, in quanto il S. Monte ereditò da D.
Geminiano Robertini un capitale di ducati 400 (v. “Inventario dei beni…”) , il quale fu dato a censo al 5% nel maggio1654,
con atto del notaio Serpentino Vese, fruttando appunto 20 ducati annui. Per
espressa volontà dello stesso D. Geminiano Robertini l’orfanella assegnataria
del maritaggio non doveva essere “di mal
concetto, né figlia di madre disonesta, come anco morendo la detta orfanella
senza figli debbino applicare” lo stesso maritaggio ad altra orfana. In
riferimento al primo sorteggio nello stesso manoscritto “Inventario dei beni…” si
legge: “ A di 4 giugno 1654: giorno del
Corpus Domini uscì la cartella a l’orfana Lucrezia Miri per esecuzione di detto
testatore come appare negli atti di notaro Serpentino Vese; la medesima morì
senza eredi, il maritaggio sortì all’orfana Teresa Giuppa; l’istrumento lo fece
notaro Vincenzo Picca.”
Relativamente al sorteggio effettuato
121 anni dopo si legge: “A 15 giugno
1775. Giorno del Corpus Domini uscì la cartella della povera orfana figlia del
qndm (quondam) Antonio Miri e di
Caterina Danna. Priori li signori D.
Pasquale canonico Luceri, D. Salvatore Tondi, Dr D. Baldassarre Papadia e D.
Onofrio Luceri.”
L’ultima registrazione riportata in
“Inventario dei beni…” recita: “A di primo giugno 1809, giorno del Corpus Domini, uscì a sorte la
cartella alla povera orfana Rosa figlia del qdm Carmine Maggiullo e di
Francesca Romana Maggiullo. Priori li signori D. Fedele canonico Papadia,
Rev.do D. Fedele De Simone, D. Francesco Tanza e D. Paschale Congedo.”
Si noti che i sorteggi in un
primo tempo avvenivano in presenza di un notaio, in seguito furono effettuati
dinanzi ai quattro Priori in carica. Inoltre nelle registrazioni non è mai
indicato l’importo dei maritaggi, che col passar degli anni fu inferiore a 20
ducati. D’altronde nell’arco dei 155 anni, a cui si riferiscono le suddette
registrazioni, le entrate del Monte
andarono progressivamente diminuendo, poiché, a parte la mancanza di nuovi
lasciti, i proventi del patrimonio, costituito nei secoli XVI e XVII,
consistevano prevalentemente nel prodotto degli uliveti, il quale, oltre ad
essere aleatorio per natura, dipendeva molto dalle cure costanti richieste dagli
alberi, che gli amministratori o gli affittuari non sempre effettuavano.
Intanto a partire dal 1820 ci
furono novità in ordine all’organizzazione della Beneficenza nelle Province e
nei Comuni del Regno delle Due Sicilie. Infatti ci fu l’istituzione, alle
dipendenze del Ministero degli Affari Interni, del Consiglio Generale degli
Ospizi in ogni Provincia ( presieduto dall’Intendente) e della Commissione di
Beneficenza in ogni Comune (costituita dal Sindaco, da due amministratori e da
un deputato ecclesiastico).
Nel 1833 il Consiglio Generale degli Ospizi di
Lecce, considerati l’ormai precario funzionamento del Monte di Pietà e le
difficoltà economiche dell’Orfanotrofio, propose al Ministero degli Affari Interni
che le residue rendite del primo fossero riunite a quelle del secondo. La
proposta fu accolta con Reale Rescritto del 22 maggio 1833. Quindi il “Il Sacro Ecclesiastico Monte della Pietà”
di Galatina fu soppresso a circa 270 anni dalla sua fondazione e oggi il suo ricordo è rimasto solo nella toponomastica cittadina.
L’Orfanotrofio femminile fu
ovviamente obbligato a tutti gli adempimenti, a cui il Pio Istituto soppresso
andava soggetto per espressa volontà testamentaria dei benefattori, e in
particolare alla celebrazione annuale di
441 Messe di suffragio. Tale onere era incompatibile con la scarsezza delle
risorse necessarie al mantenimento delle orfanelle. Pertanto, su richiesta
degli amministratori dell’Orfanotrofio, l’Arcivescovo di Otranto mons. Vincenzo
Andrea Grande, ridusse “in perpetuo
le 441 Messe inerenti ai beni
dell’antico Monte… ad annue Messe 180, col darsi ai celebranti…limosina non
minore di grana quindici per ogni Messa” (v. Indultum Archiepiscopi, conservato in A.O.G.). Di queste 52
dovevano essere celebrate nella Cappella del Monte di Pietà, mentre le
rimanenti128 dovevano essere applicate a suffragio di coloro che morivano
nell’Ospedale.
A partire dal 1° gennaio 1863 a Galatina, come in
tutti i Comuni del neonato Regno d’Italia, alla Commissione di Beneficenza
subentrò la
Congregazione di Carità (C. d. C) Questa, presieduta dal 1863 al 1886 da Orazio
Congedo, previa intesa con gli ex dirigenti della soppressa Commissione di Beneficenza,
pagò maritaggi dell’importo di ducati 16 (= £ 68) ciascuno alle orfane Lucia
Luceri (sorteggiata nel 1859) e Santa Congedo (sorteggiata addirittura nel
1853), le quali avevano contratto matrimonio rispettivamente nel gennaio 1863 e nell’agosto 1865. Invece
maritaggi, ognuno dell’importo di ducati 6 (= £ 25,50), furono corrisposti dalla
stessa Congregazione, sempre nel 1863, alle orfane Rosaria Campa, Francesca
Serafini e Cesaria Codazzo, che avevano contratto matrimonio rispettivamente negli
anni 1860, 1862 e 1863. Quindi alle orfane sorteggiate a partire dal 1860
veniva corrisposto un maritaggio
d’importo pari al 30% di quello a suo tempo fissato dal benefattore D. Geminiano
Robertini nel proprio testamento.
La stessa C. d. C. già nei primi
anni della sua attività amministrativa, per migliorare le entrate dell’Ospedale
e dell’Orfanotrofio, cercò d’investire in titoli di Stato il ricavato di
immobili divenuti poco produttivi. Tra questi c’era il sopraccitato vasto
podere “ la Calcara ”, che il Monte
di Pietà aveva a suo tempo ereditato da
fra Mauro Vernaleone, del quale
nell’agosto 1866 fu effettuata la vendita all’asta al prezzo di £ 3941,25.
Proprio nel corso dell’anno 1866
furono avviate le procedure per la fondazione di un nuovo istituto
assistenziale. Infatti il defunto Gaetano Congedo fu Giuseppe con testamento
olografo del 23 giugno 1859, registrato il 7 giugno 1866, aveva lasciato ducati
1000 (= £ 4250) per l’istituzione di un “Monte
di Pegni a vantaggio esclusivo dei naturali di Galatina e di Noha”. Esecutore testamentario del
predetto era il di lui fratello Orazio Congedo[7], che
investì della questione la
Congregazione di Carità. Questa il 9 dicembre 1866, “considerando che il legato destinato alla
fondazione del Monte dei Pegni era più che conveniente e soprattutto giovevole
ad alleviare ed a soccorrere la classe dei bisognosi”, accettò il suddetto
legato e si assunse l’onere di fondare il nuovo istituto.
Con R. D. 11 agosto 1867 di
Vittorio Emanuele II il Monte dei Pegni Congedo di Galatina fu “eretto a Corpo Morale” (art. 2) e
assegnato all’amministrazione della Congregazione di Carità, la quale entro tre
mesi doveva presentare “lo Statuto
Organico del Pio Istituto, salvo rassegnare successivamente all’approvazione
della Deputazione Provinciale il Regolamento di Amministrazione e di Servizio
interno” (art. 3).
Nel capo
1°, che constava di 3 articoli, erano riportate in maniera concisa notizie
di carattere storico e vi era precisato
che l’Istituto, avendo a disposizione un capitale di lire 4250, aveva. lo scopo
di “soccorrere per mezzo di prestiti in
denaro i naturali poveri” di Galatina e di Noha e, avendo liquidità
sufficiente, anche i nati altrove, ma domiciliati a Galatina o a Noha. Nei 2
articoli del capo 2° era stabilito
che l’amministrazione doveva essere
curata dalla Congregazione di Carità, la quale doveva rispettare le norme del
proprio Statuto Organico e quelle dello Statuto Organico del Monte. Nel capo 3°, formato da 8 articoli, dopo
una precisazione su ciò che poteva essere dato in pegno (oggetti nuovi o poco
usati, con esclusione delle pietre preziose e dei tessuti di lana), era stabilito
che ogni somma data in prestito doveva essere non maggiore ai due terzi del
valore di stima dell’oggetto dato in pegno e d’importo non inferiore a lire 5,
né superiore a lire 50; era inoltre precisato che il ricavato degli interessi (
il cui tasso era categoricamente fissato al 6%), sottratte le spese di
amministrazione, doveva servire per aumentare il capitale e che i pegni non
riscattati alla scadenza annuale, eventualmente prorogata fino a sei mesi,
erano posti in vendita all’incanto, “per
via di manifesti in carta libera e di bando”, al prezzo stabilito dai
periti; ma ove al primo incanto le offerte fossero state inferiori a tale
prezzo, si procedeva ad un secondo incanto, accettando qualsiasi prezzo. Infine
i tre articoli del capo 4° riguardavano:
- la remunerazione del Segretario
e del Tesoriere della Congregazione, ai quali competevano “in
parti uguali lire dieci per ispese di scrittoio, ed, a titolo di stipendio, il
terzo per ciascuno, dell’interesse prodotto dalle somme mutuate, depurato da ogni
spesa”;
- la cauzione che doveva prestare
il Tesoriere era pari al capitale dell’Istituto ( £ 4250), ma poteva essere
sostituita con la garanzia offerta da un proprietario di notoria probità e
solvibilità;
- la mercede da corrispondere ai
Periti, che stimavano gli oggetti dati in pegno, era “cavata dall’altro terzo dell’interesse delle somme mutuate”.
La suddetta seconda stesura dello
Statuto Organico del “Monte dei Pegni
Congedo” ottenne la sovrana
approvazione il 26 settembre 1869.
Per la spegnorazione gli operatori del Monte, dopo aver accertata
l’identità del portatore della cartella,
calcolavano l’interesse, che annotavano sul registro per poi incassarlo insieme
alla somma restituita. Indi il pegno veniva restituito, “mettendo in pezzi le cartelle”.
“Nella spegnorazione la somma mutuata doveva essere della stessa moneta
(ossia d’argento- N.d.A.); e nel caso si
vorrà restituire in carte monetarie, o in bronzo, la Congregazione avrà
il diritto di ritenersi l’aggio, che correrà in piazza, a benefizio del Monte”(art.
13 ). Nella vendita dei pegni non ritirati alla
scadenza non era “lecito di annunziare i
nomi de’ pignoranti”, ma veniva redatto un verbale “e il prezzo della vendita, insieme alla somma mutuata ed all’interesse
(erano) descritti nel 2° registro, ed in
esso (era) notata altresì la somma
restituita alla Parte, proveniente da
aumento nella licitazione”. Anche chi acquistava oggetti all’incanto doveva
“sborsare il prezzo in moneta effettiva
d’argento”o corrispondere il suddetto aggio.
Il conto di cui al Capo 4° era
l’annuale bilancio del Monte.
Col R.D. 5 ottobre 1886 di Umberto I furono
apportate modifiche agli articoli 3 e 9 dello Statuto Organico del Monte,
infatti: (art.3) il capitale fu elevato a £ 13.000, di cui 4250 lasciate dal
fondatore Congedo e “£ 8750 lasciate dal
fu Fortunato Mandorino mercè testamento pubblico per Notar P. Garrisi di
Galatina ai 29 aprile 1879” ; (art. 9) il tasso d’interesse sulle somme mutuate
fu ribassato dal 6% al 4%.
La legge 17 luglio 1890 sulle
Opere Pie e soprattutto la legge 4 maggio 1898 sui Monti di Pietà portarono la C. d. C., presieduta da Antonio
Romano, a formulare il 27 marzo 1806 un nuovo Statuto Organico del Monte dei
Pegni Congedo di Galatina, che fu approvato con R.D. 29 luglio 1906 di Vittorio
Emanuele III. Il nuovo documento constava di 23 articoli, nei quali c’erano
numerose novità, tra cui vale la pena segnalare le seguenti: il patrimonio del
Monte veniva elevato da £ 13.000
a £ 28.460,87
in virtù della somma degli avanzi di amministrazione, che
alla fine del 1904 ammontava a lire 15.640,87; l’affidamento della direzione
dell’Istituto ad un membro della C. d. C.; i locali degli uffici e della
custodia dei pegni dovevano essere assicurati contro i danni d’incendio; la C. d. C. era tenuta ad
effettuare saltuarie verifiche nel magazzino dei pegni e della cassa, della
quale c’erano due diverse chiavi, una tenuta dal presidente e l’altra dal
tesoriere in modo da non potersi aprire senza l’uso di entrambe; gli addetti all’amministrazione erano il
Segretario della C. d. C., un Tesoriere Montista (che esercitava anche le
funzioni di stimatore) e un bidello; venivano aumentati gli oggetti accettati
in pegno aggiungendovi le pietre preziose e i Titoli garantiti dallo Stato; s’istituivano le polizze al portatore, in sostituzione delle tradizionali cartelle con le generalità del
mutuatario; le somme esuberanti
dovevano essere depositate presso la
Cassa di Risparmio Postale.
In seguito alle norme riguardanti
gli Istituti di Credito, emanate a partire dal 1923 dal Governo Fascista, la C.
d. C., presieduta da Fedele Sambati, il 20 agosto 1931-IX formulò lo Statuto Organico del Monte di Pietà di
seconda categoria con sede in Galatina, che fu approvato con R.D. 2
maggio 1932-X , firmato da Vittorio Emanuele III e da B. Mussolini. Ma,
nonostante la nuova intitolazione, l’Istituto aveva sempre il solo scopo di “sovvenire i poveri mediante prestiti contro
pegno di cose mobili”. Il nuovo Statuto Organico, composto di 31 articoli,
conteneva innovazioni atte, secondo gli estensori, a migliorare e facilitare il
funzionamento del pio Ente. Fra queste è opportuno citare le seguenti: - il
patrimonio al 31 dicembre 1929 era costituito da titoli di rendita pubblica
dello Stato e da crediti per prestiti sopra pegni per l’ammontare complessivo di
£ 19.629,72; - la C. d. C. era responsabile del
Monte di Pietà e ne curava il funzionamento con i propri impiegati
amministrativi;
- era vietato ad amministratori
ed impiegati contrarre obbligazioni di qualsiasi genere con l’Istituto, e di
partecipare comunque agli utili della sua gestione;
- il limite minimo dei prestiti era di £ 5, il
massimo di £ 100; per ogni operazione di
prestito il Monte esigeva una tassa
fissa di £ 2 a
titolo di rimborso custodia, deterioramenti eventuali, spese di stima, ecc., la
quale tassa andava a beneficio del Monte e doveva essere applicata gradualmente
in vigore dell’ammontare del prestito contratto (art. 15);
- i pegni non riscattati, se
rimanevano invenduti dopo tre esperimenti d’incanto, restavano in proprietà
dello stimatore, il quale era obbligato a reintegrare il Monte dell’intero suo
avere;
- il Monte considerava sempre come
esclusivo proprietario degli oggetti pignorati il portatore della relativa
polizza di pegno;
- le somme esuberanti in confronto alle
necessità dell’azienda del pegno dovevano essere investite nell’acquisto di
titoli di Stato o garantiti dallo Stato; gli utili netti di ogni anno,
sottratte tutte le spese, andavano in aumento del capitale del Monte o
devolute, invece, per la riduzione degli oneri che gravavano il pegno.
Il “Monte Congedo”cessò ogni sua attività nel 1939, quando alla
Congregazione di Carità era già subentrato l’Ente Comunale di Assistenza ( E.
C. A.), mentre in Città operavano da tempo tre Istituti di Credito, ossia la Banca Popolare Cooperativa (
fondata nel 1887, chiusa per liquidazione coatta nel 1939 e rimpiazzata nello
stesso anno da un’agenzia del Banco di Napoli ), la Banca F.lli Vallone fu Vincenzo
(fondata nel 1925) e la Banca Donato
Mongiò (fondata nel 1926).
Pietro
Congedo
[1]
Marcantonio Zimara (1475ca. – 1535ca.) fu filosofo, medico e docente nelle
Università di Padova e Salerno.
[2] Cfr F. Giovannini Vacca,
Un’inedita storia del cinquecento, in “Urbs
Galatina”- Editrice Salentina Galatina, 1992, p. 21.
[3] Ibidem, p. 18.
[4] Q/m, abbreviazione del termine latino quondam( = una volta),
che precedeva il nome di persona
defunta.
[5]
Clemente Mongiò era frate minore osservante e per due volte ( nel 1563 e nel
1577) fu eletto Ministro Provinciale del proprio Ordine. La sua tomba si trova sulla
parete sinistra del presbiterio della Chiesa
S. Caterina in Galatina.
[6] La
casa di Orazio Vernaleone, oltre a diventare sede del Monte di Pietà, fu in
parte trasformata, per esplicita disposizione testamentaria dello stesso
donatore, in una sorta di albergo dei
poveri, nel quale gli infermi e i pellegrini trovavano non solo alloggio
gratuito per tre giorni, ma anche il necessario per la cucina e per la
mensa.
[7]
Orazio Congedo (1793- 1886), figlio di Giuseppe e di Francesca Congedo,
frequentò le Scuole Pie di Campi, il Collegio dei Gesuiti di Lecce e
l’Università di Napoli. Laureatosi in giurisprudenza, si dedicò gratuitamente all’assistenza dei concittadini,
che trovavano difficoltà ad affrancare i propri beni dai vincoli feudali. Come
“invigilatore” fece parte della
Commissione preposta all’istituzione (1834) e alla gestione delle Scuole della
propria Città. Fu presidente della Congregazione di Carità di Galatina
dall’istituzione della stessa (1 gennaio 1863) fino alla propria morte (13
luglio 1886).