venerdì 5 ottobre 2012

La trinità nell'iconografia orientale

 
  1-Premessa

    Patria delle icone è l’Oriente Europeo.

    Nelle Chiese Orientali l’iconografia è parte organica della tradizione religiosa e costituisce una sorta di “ teologia visiva”: l’icona è immagine per gli occhi del corpo, ma anche e soprattutto è immagine per gli occhi della fede, perché vuole essere immagine dell’Invisibile.

    Per i cristiani d’Oriente l’icona è come la predicazione della Parola e quindi  ha il compito di far ricordare e di rendere presente ciò che vi è rappresentato. In altri termini : ciò che la Scrittura dice con le parole, l’icona lo annuncia con i colori e lo rende presente.

     Nella Chiesa Occidentale invece le immagini hanno un’importanza molto più limitata . Nel Sinodo di Parigi (824) fu addirittura dichiarato che le immagini servono solo per ornamento e che è indifferente averle o non averle :”Non è con la pittura che Cristo ci ha salvati”.

     Quindi mentre l’Oriente ha difeso il valore dell’espressione artistica ed ha definito teologicamente l’icona come rappresentazione dell’Invisibile, in Occidente le immagini sono state prese in considerazione come ornamento o al più per la loro funzione pedagogica .Per esempio, secondo S. Gregorio Magno (535-604 ) “le immagini sono la Bibbia per gli illetterati”.

      I pittori occidentali hanno rinunciato alla rappresentazione della realtà misteriosa , trascendente il mondo. Essi hanno introdotto il realismo ottico, la prospettiva della profondità ed il chiaroscuro così la loro arte non è più arte del trascendente.

      Dunque in Occidente l’arte sacra è diventata semplicemente arte religiosa, spostandosi verso il ritratto, il paesaggio e la decorazione, che non hanno alcuna funzione liturgica, perché sono opere fatte per essere guardate, in quanto capaci di suscitare emozioni, di rapire l’anima raggiungendo talvolta sublimi vertici espressivi. Invece l’icona nella Chiesa Orientale è un sacramentale cioè capace di essere veicolo della Grazia, di produrre benefici spirituali.

      Anche l’icona suscita emozioni ma in senso mistico, perché è testimonianza del Trascendente.

      L’iconografo, secondo i Padri del VII Concilio(787), non deve inventare nulla, “sono le antiche tradizioni che guidano il suo pennello, egli non fa che eseguire”. Perciò sia l’umile monaco-pittore che     il rinomato musaicista di Costantinopoli “hanno dinanzi agli occhi modelli immutabili, che riproducono fedelmente”. In altri termini l’iconografo (che quasi mai firma la sua opera ) scompare  dietro la tradizione che gli parla.

     Nell’icona l’aspetto artistico passa in secondo ordine, lasciando il primo posto alla teologia, cioè alla manifestazione divina. Chi guarda l’icona con criteri estetici e alla ricerca di emozioni si trova spaesato; invece l’uomo religioso, colto da una rivelazione folgorante, si prostra in atto di adorazione e di preghiera.

      Durante gli uffici liturgici il sacerdote incensa le icone dei santi, indirizzando quel saluto liturgico ai loro Prototipi, specchi di Dio; egli incensa anche i fedeli per salutare la presenza di Dio nella sua  immagine che è l’uomo; saluta gli uomini, icone viventi  di Dio.

      Le norme del  Concilio dei Cento Capitoli (1551 ) ordinano all’iconografo di “lavorare con timor di Dio, perché la sua arte è divina”. Inoltre  precisano che una cattiva icona è “un’offesa a Dio” e, perciò, bisogna impedire che gli inetti si applichino a questo lavoro. Vietano, infine, il commercio delle icone.

     Particolarmente impegnativa è risultata nel corso dei secoli dell’era cristiana la rappresentazione del Mistero della Trinità. La trascendenza divina sfugge ad ogni rappresentazione iconografica se non c’è la fede nell’Incarnazione: il Cristo è l’unica Icona di Dio. Egli, infatti, dice di se stesso:”Chi ha visto me ha visto il Padre”. In altri termini la vivente “immagine di Dio” ( 2 Cor. 4,4 ) è il Figlio suo unigenito, che “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” ( Gv. 1,4 ). Così il Padre “che nessuno ha mai visto” (Gv. 1,18 ) possiede nel suo Figlio un “volto” , attraverso il quale Egli si rivolge al mondo, si rivela.

 

2- La rappresentazione di  Genesi 18

     Gn. 18,1-10 : Poi il Signore apparve a lui (Abramo) alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide tre uomini che stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra dicendo: “Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo potrete proseguire, perché è    ben per questo che voi siete passati dal vostro servo”.

     Quelli dissero:”Fa pure come hai detto”.

      Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse:”Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce”. All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentr’egli stava in piedi  presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.

      Poi gli dissero:”Dov’è Sara,tua moglie?”.  Rispose:”E’ là, nella tenda “. Il Signore rispose:”Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”.

      Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda ed era dietro di lui.

 

                                                         *  *  *

 
      Pittori e musicisti dei primi secoli dell’era cristiana, basandosi anche sulle indicazioni dei Padri della Chiesa, vedevano nei tre Ospiti di Abramo, di cui parla il capitolo 18 della Genesi, una manifestazione della Trinità.

      Il pittore russo Andrei Rublev   riferendosi  proprio all’Ospitalità di Abramo ha creato la famosa icona della Trinità , la quale è nello stesso tempo sublime interpretazione teologica e grandissimo capolavoro pittorico. Essa da una parte è una creazione originale, ma dall’altra rappresenta il culmine di una evoluzione iconografica più che millenaria, perché è il riflesso artistico di una lunga serie di interpretazioni di Gn. 18. Infatti le rappresentazioni iconografiche dei tre personaggi in

visita da Abramo risalgono ai primordi dell’iconografia cristiana e col tempo sono diventate sempre più numerose specialmente nella Chiesa Orientale.

      Purtroppo, però, relativamente al primo millennio esistono solo rappresentazioni appartenenti all’occidente latino, poiché nell’oriente greco innumerevoli opere andarono distrutte durante le lotte iconoclastiche ( 730-843 ).

      Lo storico della Chiesa  Eusebio di  Cesarea riferisce che già prima di Costantino ( 280-337) esisteva nel boschetto di Mamre un’immagine dipinta dei tre visitatori di Abramo. Di questa sarebbe pervenuta una copia del V secolo, consistente in un medaglione di pietra calcarea, nel quale si possono riconoscere tre figure giovanili, avvolte in chitone e clamide, ritratte frontalmente, che siedono dietro ad un tavolo a tre gambe, su cui si distinguono tre pani a forma di stella. Ciascuno regge nella mano sinistra una coppa. A sinistra del gruppo s’innalza un albero, da cui pende una gabbia per uccelli. Nel campo inferiore si distinguono una forma cilindrica, interpretata come il pozzo di Abramo, un vitello, una figura maschile ed una femminile. Nonostante tutti questi elementi, non è però certo che si tratti di una rappresentazione cristiana: infatti potrebbe essere una raffigurazione pagana, che riprende tradizioni ebraiche locali intorno alla figura di Abramo

      La più antica rappresentazione certamente cristiana di Gn.18 finora conosciuta è un affresco risalente alla prima metà del IV secolo, scoperto nel 1955 a Roma, nelle catacombe sulla via Latina. Vi è raffigurato Abramo che siede sotto un albero; a destra davanti a lui, su un’altura circolare, stanno tre giovani in bianche vesti. Abramo saluta con la destra  e i tre giovani rispondono allo stesso modo. Accanto ad Abramo si nota un vitello, che simboleggia l’ospitalità non ancora offerta. I tre giovani sono quasi perfettamente identici ( per dimensioni,abbigliamento ed atteggiamento ) e sono strettamente accostati tra loro , quasi per dare l’impressione della loro “unità”. Siamo quindi in presenza di una interpretazione del testo biblico e non semplicemente di fronte ad una sua riproduzione figurativa.

     Nella Basilica di S. Maria Maggiore in Roma vi è uno splendido mosaico della metà del V secolo, nella zona superiore del quale è rappresentato Abramo che , inginocchiandosi, saluta tre giovani vestiti di bianco, sulla cui testa c’è il nimbo. La figura centrale è contenuta in una mandorla, per cui si distingue chiaramente dai suoi compagni . Nella zona inferiore a sinistra si nota la tenda di Abramo, sotto forma di casa, davanti alla quale Sara prepara i pani e Abramo dà le disposizioni per l’accoglienza; a destra i tre giovani siedono uno accanto all’altro dietro un tavolo rettangolare, su cui sono disposti tre pani triangolari; davanti al tavolo è posto un recipiente per le abluzioni (v. Gn.18,4); a sinistra Abramo, all’ombra di un albero, porge agli ospiti il vitello intero su un vassoio. I tre giovani seduti sono quasi uguali , si differenziano solo nei gesti: quello di sinistra leva la mano benedicente e indica la figura centrale, che a sua volta indica il vitello, mentre quella di destra indica con il dito i pani. E’ evidente che siamo di fronte ad una ben ponderata interpretazione dell’episodio biblico narrato in Gn. 18  .

      Anche in un grande mosaico della metà del VI secolo, che si trova nella Chiesa di S. Vitale a Ravenna, i tre giovani si rassomigliano tra di loro salvo che nei gesti : quello di centro e quello di destra levano la destra benedicente, mentre quello di sinistra e quello di destra indicano tre pani a forma di disco contrassegnati da una croce; il vitello è presentato da Abramo su un vassoio.

      Circa seicento anni dopo, cioè alla metà del XII sec., la maniera di raffigurare il racconto di Gn.18 non era sostanzialmente cambiata in Occidente, come si può rilevare nel mosaico della

Cappella Palatina del Palazzo dei Normanni di Palermo, nel quale i tre angeli sono quasi perfettamente eguali nella mimica e nei gesti . Uno di essi però, quello che sta a sinistra nella scena del saluto e al centro nella scena dell’ospitalità, ha l’aureola bordata di rosso che lo distingue lievemente dagli altri due . Esso è anche l’unico che rivolge lo sguardo direttamente allo spettatore: ciò non è certamente casuale, ed è rilevabile anche nei mosaici di S. Maria Maggiore a Ravenna. Invece sono una novità le scritte in latino: “Abramo accoglie i tre Angeli come ospiti”;  “Abramo vede tre Angeli e ne adora uno”.

      In un altro mosaico, che è nel Duomo di Monreale (figg. 6A, 6B ) e risale alla fine del XII sec. , i tre angeli si rassomigliano in maniera sorprendente, ma quello di centro stringe nella sinistra il rotolo di un libro. Il significato è evidente: con altri mezzi (il rotolo invece della mandorla o del nimbo bordato di rosso ), qui come in S. Maria Maggiore e nella Cappella Palatina, si vuole indicare che uno dei tre visitatori d i Abramo era” il Signore “. Infatti in una delle scritte esplicative si legge:

“Abramo riceve gli Angeli come ospiti. E, benché ne veda tre, ne adora uno”.

      Nei mosaici di Palermo e Monreale tutti e tre i visitatori sono identificati inequivocabilmente come Angeli per mezzo delle ali e con la conferma delle scritte esplicative. Ma proprio le scritte informano che i tre Visitatori non sono intesi solo come Angeli. C’è quindi un certo contrasto tra
forma e contenuto, che è senza dubbio dovuto all’influenza dell’Oriente bizantino. Infatti in una miniatura facente parte di un salterio greco dell’XI sec., cioè anteriore di almeno un secolo rispetto ai predetti mosaici, gli elementi figurativi sono i soliti (una tavola imbandita, i tre Angeli Sara dubbiosa sulla porta, Abramo con i suoi doni, e in primo piano il vitello ), eppure è tutto diverso!

      Gli ospiti non siedono in fila e l’angelo di centro è    più grande degli altri, diverso è il colore della sua veste , lui solo reca un rotolo di libro nella sinistra, mentre la destra si leva in gesto benedicente, lui solo porta il nimbo crociato. E’ evidente che siamo di fronte ad una nuova tipologia, poiché il tema dell’Ospitalità di Abramo in Orienta si era già liberato dal suo diretto contesto veterotestamentario (ciclo di Abramo ) e cominciava a condurre una vita propria. Pertanto le rappresentazioni del tema stesso prodotte in Sicilia nel XII sec. erano già, per così dire, piuttosto arcaiche.

       Alla nuova tipologia appartiene senza dubbio la rappresentazione del 1230, intitolata “La Trinità”,che è inserita nella porta meridionale della Chiesa della Natività di Maria a Suzdal’, in Russia: si tratta di una formella di cm 31x cm23. In essa l’Angelo tiene nella mano sinistra un rotolo di libro, mentre gli altri due reggono il consueto bastone del messaggero; sulla tavola ci sono tre calici ; l’Angelo al centro benedice la tavola quello di sinistra indica la coppa in mezzo alla tavola, mentre quello di destra stende la mano benedicente su uno dei tre pani.

       Dello stesso tipo è anche un affresco di Teofane il Greco  del 1378, che si trova nella Chiesa della Trasfigurazione di Cristo a Novgorod .In esso i tre Angeli sono seduti intorno ad una tavola-altare ( cioè a semicerchio, come si usava in Oriente ) ; al centro della mensa si trova un grosso recipiente a forma di coppa , contenente la testa del vitello; sulla tavola  ci sono delle posate e due pani; il terzo pane è nelle mani di Sara. Impressionante è la raffigurazione degli Angeli. Quello centrale, notevolmente più grande, ha il rotolo del libro nella mano sinistra e con le gigantesche ali spalancate domina la superficie pittorica, quasi avvolgendo gli altri due Angeli :senza dubbio esso simboleggia il Cristo.

     Alla fine del  XIV sec. si va affermando un terzo tipo iconografico: attorno ad una tavola rettangolare riccamente imbandita siedono tre Angeli; la rappresentazione frontale, già superata con  
i due Angeli di profilo, viene ancora moderata, perché anche l’Angelo centrale appare leggermente girato su se stesso e col capo chino.                             

     Questo lo si nota benissimo nell’icona bizantina della fine del XIV sec., già facente parte di un’iconostasi ed ora conservata nel museo  Benaki di Atene. In essa la figura centrale non è per niente differente dalle altre due: tutti e tre gli Angeli  si somigliano, specialmente per il colore delle vesti, e si possono distinguere solo per la gestualità e la mimica; gli Angeli ai lati non sembrano  proprio figure secondarie, poiché la loro gestualità è viva e personalizzata. Abramo e Sara non sostano davanti e lo sfondo non reca gli elementi del racconto biblico  ( casa, albero, roccia ), essendo costituito da quinte architettoniche riccamente sviluppate .

All’inizio del XV sec.( 1411 ) appartiene la grande icona di cm.161 x cm.122, conservata nel museo di Sergiev  Posad ( già  Zagorsk ), e proveniente dal Monastero della Trinità di S. Sergio che è nella stessa città. In essa, come nei modelli greci, la gestualità dei tre Angeli è determinata dagli oggetti collocati davanti a ciascuno; l’Angelo al centro è leggermente chinato verso quello di sinistra , tuttavia non volge lo sguardo verso lo spettatore, come in detti modelli, ma verso l’Angelo di sinistra. Invece delle quinte architettoniche c’è la roccia sulla sinistra, l’albero al centro e la casa sulla destra. Questa imponente icona, ancora oggi di grande effetto, si può dire che rappresenti l’ultima e la più importante tappa della evoluzione iconografica che precede l’opera di Rublev. 

3- Evoluzione iconografica ed interpretazione teologica

     Da quanto già detto risulta  evidente che la rappresentazione di Gn. 18 nel corso dei secoli ha attraversato fasi successive.

      In un primo momento le tre figure sono state sempre rappresentate in atteggiamento frontale, senza tutti i particolari che le distinguessero  ( rappresentazione veterotestamentaria ).

      Solo gradualmente hanno acquistato oltre al nimbo le ali e il bastone. Attorno al 1000 l’Angelo centrale viene messo chiaramente in risalto rispetto agli altri con una serie di attributi ( nimbo crociato, rotolo del libro , proporzioni della figura e colore della veste ) al fine di simboleggiare il “Signore”, cioè il Cristo (rappresentazione cristologia ).

      Successivamente si rinuncia  alla rappresentazione frontale degli Angeli di destra e di sinistra e compare il titolo “la Trinità . In epoca tardo-bizantina anche per l’Angelo centrale si rinuncia alla rappresentazione centrale e si introduce in tutte le tre figure una particolare mobilità, evidenziando così anche i rapporti reciproci.

     Comunque alla base della evoluzione iconografica c’è una sempre più chiara interpretazione teologica,nella quale è possibile distinguere tre momenti: angelico, cristologico e trinitario.

      Rappresentazione angelica è quella delle Catacombe sulla via Latina a Roma, nella quale i tre visitatori di Abramo sono raffigurati come giovani imberbi in bianche vesti, senza aureola, senza ali, ma del tutto simili agli Angeli dipinti in un altro affresco, che trovasi nelle stesse Catacombe e rappresenta la Scala di Giacobbe ( v. Gn. 28,12 ) . Tuttavia tale rappresentazione è angelogica nella forma, ma sembra non esserlo nel contenuto a causa della somiglianza quasi perfetta dei tre soggetti. Infatti la triplice ripetizione di un determinato simbolo è stata fin dall’antichità uno degli strumenti stilistici preferiti per rappresentare  la Santa Trinità. Quindi l’affresco delle Catacombe è  formalmente  angelogico  , ma contenutisticamente può essere inteso in senso trinitario.

      Tale tipo iconografico diventerà una costante nelle successive rappresentazioni del capitolo 18 della Genesi. Infatti nei secoli V e VI  i tre Angeli portano già le aureole, e dal secolo XI  anche le ali e il bastone del messaggero. Però nessuna di tali rappresentazioni va intesa contenutisticamente in senso angelogico. A questo proposito il mosaico di Monreale chiarisce ogni cosa, poiché tutti e

tre i Visitatori sono rappresentati come Angeli, ma quello centrale è caratterizzato come il Logos

(  Verbo fatto carne ), poiché regge un rotolo di libro. Inoltre è molto significativa la scritta “Abramo accoglie tre Angeli come ospiti ; Abramo vede tre Angeli e ne adora uno “,che potrebbe essere stata ispirata da S. Ambrogio (morto nel 397 ) secondo il quale Abramo, nonostante la somiglianza degli ospiti , “si appellò  …ad uno, chiamandolo “Signore” ,offrendo ai tre un unico onore e significando un’unica potenza. Infatti non la dottrina bensì la Grazia parlava in lui. E credeva di più colui che non era stato istruito , rispetto a noi che lo siamo stati….”.

Quindi la Chiesa primitiva già dava a Gn.18 una interpretazione cristologia. D’altronde nel versetto 1 è detto che”il Signore”apparve ad Abramoalle querce di Mamre ; nel versetto successivo si parla di “tre uomini” a cui Abramo si rivolge chiamandoli “mio Signore”. Quindi è evidente che il patriarca ha avuto un’apparizione divina, ma nella concezione cristiana, come già detto nella Premessa, l’immagine di Dio invisibile (il Padre )è Cristo (v. Col. 1,15 ) , Egli è “il Signore” (At. 2,36 ) .Da ciò deriva che le teofanie dell’Antico Testamento vengono interpretate come cristofanie.

     Tuttavia il tipo cristologico  con la sua identificazione univoca del Figlio alla lunga non poteva soddisfare completamente la visione trinitaria.

       Nel corso dei secoli gli iconografi rispondono in vari modi all’esigenza di una maggiore armonia tra immagine e titolo. Si torna così a raffigurare i tre angeli tanto somiglianti da renderli praticamente indistinguibili, come era avvenuto nel primo tipo iconografico (v.figg. 2-4).
E’ dunque evidente l’intento degli iconografi di rendere visibile “nell’Immagine” dell’episodio biblico l’unità delle essenze specifiche delle tre Persone della Santa Trinità. Al contrario si rinuncia a rendere in qualche modo visibili le proprietà caratteristiche delle stesse Persone, per cui diventa superfluo indicare chi sia il Padre, chi il Figlio e chi lo Spirito Santo :L’icona della Trinità va assumendo un carattere astratto.     

 
- “La Trinità” di Andrei Rublev

      Il complesso antefatto teologico - iconografico accennato nei paragrafi precedenti è stato certamente determinante per l’opera di Andrei Rublev , quando tra il1422 e il1427 dipinse”La Trinità” per l’iconostasi della Chiesa  del Monastero della Trinità , voluto da S. Sergio a Zagorsk
( ora Sergiev Posad ). Egli senza dubbio conosceva altre rappresentazioni della S. Trinità e particolarmente quella di Teofane il Greco e l’altra che dal  1411  era nella  stessa Chiesa del Monastero di Zagorsk .

      Il capolavoro di Rublev  è un’icona delle dimensioni di cm. 112  x  cm. 142  e dal  1929  si trova nella galleria  Tret’jakov.

Come già detto, gli iconografi dovevano tener presenti e riprodurre fedelmente i modelli immutabili tramandati dalle antiche tradizioni. Confrontando “La Trinità  di Rublev con le icone che l’hanno preceduta, salta subito all’occhio come essa non sia semplicemente una riproduzione dell’uno o dell’altro tipo.

Lo schema compositivo è essenzialmente quello del tipo trinitario, tuttavia presenta caratteristiche proprie e significative, per esempio :

-   l’Angelo centrale non rivolge lo sguardo verso l’osservatore, ma verso l’Angelo di sinistra;

-   gli Angeli laterali hanno le stesse dimensioni di quello centrale;

-   le vesti dei tre Angeli sono caratterizzate in modo individuale ed inconfondibile;

-   il tavolo è piccolo e le tre Persone sono così ravvicinate che accanto al calice non c’è posto per

 altre stoviglie; al calice accenna con la propria destra l’Angelo che è al centro;

-  l’Angelo di sinistra leva la mano destra indicando e benedicendo, in direzione dell’Angelo di destra,che a sua volta abbassa la sua destra sulla tavola: un movimento che si ripete nella inclinazione del suo capo;

-   il gioco delle mani non è motivato da oggetti collocati sul tavolo, cioè la gestualità ha acquistato chiaramente un nuovo significato.

    Quindi Rublev non ha più creato solamente, come nel tipo cristologico, una figura individuale con due accompagnatori, oppure,come nel caso ideale del tipo trinitario, tre figure uguali, intercambiabili, bensì tre personalità inconfondibili. Inoltre per quanto riguarda lo sfondo si rifà al contesto biblico e lo riduce all’essenziale, associando l’Angelo di sinistra ad una casa , quello del centro ad un albero e quello di destra ad una roccia. In questo modo i vari elementi vengono elevati dalla sfera narrativa a quella di simbolo.

    Il fatto che l’angelo centrale e quello di destra siano chinati verso quello di sinistra e volgano su di lui lo sguardo, mentre quello di sinistra guarda quello di destra, non solo origina un intreccio di rapporti tra le tre Persone , ma l’Angelo di sinistra diviene il punto di riferimento dell’intera composizione.

    L’Angelo di sinistra si distingue molto chiaramente dagli altri due per il portamento, la mimica e la gestualità, oltre che per la foggia ed i colori della sua veste, ed è il solo a sedere eretto, mentre gli altri due si chinano verso di lui. Egli simboleggia dunque il Padre, perciò ha la clamide ( mantello )
color porpora chiaro, rifinita con tratteggio dorato, che avvolge quasi completamente la sua figura, lasciando intravedere solo una piccola porzione dell’azzurro lucente del suo chitone (tunica ).E al Padre allude la casa che si innalza dietro di lui:”nella casa del Padre mio vi sono molti posti (Gv. 14,2  e segg. ).

    L’Angelo centrale ha una veste che per forma e colore lo identifica con il  Figlio, cioè con il Cristo .Infatti il chitone color porpora scuro, decorato con due bande dorate (delle quali è visibile solo una ) , allude a “Colui che è stato sacrificato per noi”(Lc. 22,19 ); la clamide, drappeggiata in modo da lasciare libero il braccio destro è di colore azzurro denso e rappresenta il mantello del profeta. Il Figlio, indicando con la destra la coppa contenente il vitello sgozzato, allude al suo sacrificio volontario. L’albero che si erge dietro di lui è insieme simbolo della vita e legno della croce.

     Anche l’Angelo di destra, che simboleggia lo Spirito Santo, si china verso il Padre. Come il Figlio anch’egli indossa la clamide in modo da lasciare libero un braccio, che però è il sinistro e non il destro. Ciò è conforme all’antica dottrina patristica ( S.Ireneo ), secondo il quale il Figlio e lo Spirito Santo sono le “mani”, rispettivamente destra e sinistra, con le quali il Padre compie ogni cosa. Come nel Figlio, è ben visibile l’azzurro celeste, che qui è il colore del chitone. Ciò significa che lo Spirito, che il Figlio  ci ha inviato dal Padre come”l’altro Paraclito” ( l’altro Consolatore )

(v. Gv. 14,16   e   15,26 ), si è rivelato a noi come il Figlio stesso. La clamide è color verde chiaro, il colore liturgico della Pentecoste, in occasione della quale anche le Chiese Orientali vengono adornate con rami verdi. D’altronde il verde è il simbolo della vita nuova , che “il datore di vita”, cioè lo Spirito, come si dice nell’Ufficio di Pentecoste, genera e fa crescere. La roccia appena abbozzata alle spalle dell’Angelo di destra simboleggia il cosmo.

     I corpi dei tre angeli, leggeri e snelli, sono altissimi (14 volte la testa, contro le 7 della

dimensione normale). Il dispiegamento delle ali dei tre e la maniera schematica di trattare il paesaggio danno l’impressione immediata dell’immateriale dell’assenza di peso.

     La leggerezza vivace dell’insieme è accentuata dai colori, che senza marcati effetti policromi raggiungono una ricchezza ineguagliabile.

     L’assenza dell’ombra e l’oro dello sfondo indicano la divinità, la sua sovrabbondanza: ogni frammento dell’icona non solo è illuminato, ma emette la sua propria luce che sembra scaturire da radici segrete.

     Le figure sono presentate di tre quarti, così la larghezza delle spalle diminuita e la linea flessibile e plastica scivola seguendo i profili allungati, con un’eleganza tutta celeste.

     I contorni esprimono il movimento molto più che i volumi. Il movimento tra le Persone divine,il dialogo intertrinitario, parte dal Figlio: Egli guarda ,supplica il Padre, mentre la sua destra indica “il calice della sua passione” , e  sopra il calice lo sguardo dello Spirito. Questo sguardo e il gesto alludono alla preghiera di mandare il Paraclito, che ora è un fatto possibile grazie al sacrificio volontario del Figlio. Il Padre esaudisce la preghiera e, dirigendo lo sguardo verso lo Spirito (che gli siede di fronte, dietro l’altare ), con la destra gli impartisce la benedizione per il completamento dell’opera salvifica del Figlio. Lo Spirito Santo china il capo in segno di umiltà ed accettazione, sottolineando quest’ultima col gesto della destra abbassata.

     In questo modo Rublev nella sua icona ha rappresentato anche l’invio da parte del Padre della Persona dello Spirito Santo, della cui venuta, grazie al sacrificio volontario del Cristo, noi facciamo memoria a Pentecoste.
 
Egli , realizzando quel che sembrava irrealizzabile, ci ha dato un’immagine tutta umana e tutta spirituale al tempo stesso,  in cui la materia è divenuta veicolo trasparente dello Spirito.

Tuttavia quasi ogni dettaglio  della composizione si può far risalire a modelli precedenti. Pertanto si può affermare che la genialità di Rublev consista nel fatto che egli, proprio raccogliendo l’antica tradizione iconografica della chiesa, è pervenuto ad una profondità e ad una chiarezza che non erano mai state raggiunte prima e che non saranno mai raggiunte neanche in seguito.

     Molto opportunamente quindi il Concilio dei Cento Capitoli nel  1551  “canonizzò” l’opera del grande iconografo; infatti, a proposito dell’immagine della Trinità, stabilì che ”...i pittori dovessero dipingere le icone secondo modelli antichi, come avevano fatto Andrei Rublev  ed altri famosi pittori, e aggiungere la scritta “Santa Trinità”, e non mutare nulla per  loro decisione”.

Riferimenti:

  • Trasfigurazione di M. Giovanna Muzj (Milano 1987),
  • L’icona/immagine dell’invisibile di Egon Sendler ( Milano 1985),  
  • Teologia della bellezza di P. N. Evdokimov  (Milano 1990)
  • Lo  Spirito  Consolatore di G. Bunge (Milano 1995).
Pietro Congedo