Patria delle icone è l’Oriente Europeo.
Nelle Chiese Orientali l’iconografia è
parte organica della tradizione religiosa e costituisce una sorta di “ teologia
visiva”: l’icona è immagine per gli occhi del corpo, ma anche e soprattutto è
immagine per gli occhi della fede, perché vuole essere immagine
dell’Invisibile.
Per i cristiani d’Oriente l’icona è come la
predicazione della Parola e quindi ha il
compito di far ricordare e di rendere presente ciò che vi è rappresentato. In
altri termini : ciò che la
Scrittura dice con le parole, l’icona lo annuncia con i
colori e lo rende presente.
Nella Chiesa Occidentale invece le
immagini hanno un’importanza molto più limitata . Nel Sinodo di Parigi (824) fu
addirittura dichiarato che le immagini servono solo per ornamento e che è
indifferente averle o non averle :”Non è con la pittura che Cristo ci ha
salvati”.
Quindi mentre l’Oriente ha difeso il
valore dell’espressione artistica ed ha definito teologicamente l’icona come
rappresentazione dell’Invisibile, in Occidente le immagini sono state prese in
considerazione come ornamento o al più per la loro funzione pedagogica .Per
esempio, secondo S. Gregorio Magno (535-604 ) “le immagini sono la Bibbia per gli
illetterati”.
I pittori occidentali hanno rinunciato
alla rappresentazione della realtà misteriosa , trascendente il mondo. Essi
hanno introdotto il realismo ottico, la prospettiva della profondità ed il
chiaroscuro così la loro arte non è più arte del trascendente.
Dunque in Occidente l’arte sacra è
diventata semplicemente arte religiosa, spostandosi verso il ritratto, il
paesaggio e la decorazione, che non hanno alcuna funzione liturgica, perché
sono opere fatte per essere guardate, in quanto capaci di suscitare emozioni,
di rapire l’anima raggiungendo talvolta sublimi vertici espressivi. Invece
l’icona nella Chiesa Orientale è un sacramentale cioè capace di essere veicolo
della Grazia, di produrre benefici spirituali.
Anche l’icona suscita emozioni ma in
senso mistico, perché è testimonianza del Trascendente.
L’iconografo, secondo i Padri del VII Concilio(787),
non deve inventare nulla, “sono le antiche tradizioni che guidano il suo
pennello, egli non fa che eseguire”. Perciò sia l’umile monaco-pittore che il rinomato musaicista di Costantinopoli
“hanno dinanzi agli occhi modelli immutabili, che riproducono fedelmente”. In
altri termini l’iconografo (che quasi mai firma la sua opera ) scompare dietro la tradizione che gli parla.
Nell’icona l’aspetto artistico passa in secondo
ordine, lasciando il primo posto alla teologia, cioè alla manifestazione
divina. Chi guarda l’icona con criteri estetici e alla ricerca di emozioni si
trova spaesato; invece l’uomo religioso, colto da una rivelazione folgorante,
si prostra in atto di adorazione e di preghiera.
Durante gli uffici liturgici il sacerdote
incensa le icone dei santi, indirizzando quel saluto liturgico ai loro
Prototipi, specchi di Dio; egli incensa anche i fedeli per salutare la presenza
di Dio nella sua immagine che è l’uomo;
saluta gli uomini, icone viventi di Dio.
Le norme del Concilio dei Cento Capitoli (1551 ) ordinano
all’iconografo di “lavorare con timor di Dio, perché la sua arte è divina”. Inoltre precisano che una cattiva icona è “un’offesa
a Dio” e, perciò, bisogna impedire che gli inetti si applichino a questo
lavoro. Vietano, infine, il commercio delle icone.
Particolarmente impegnativa è risultata
nel corso dei secoli dell’era cristiana la rappresentazione del Mistero della
Trinità. La trascendenza divina sfugge ad ogni rappresentazione iconografica se
non c’è la fede nell’Incarnazione: il Cristo è l’unica Icona di Dio. Egli,
infatti, dice di se stesso:”Chi ha visto me ha visto il Padre”. In altri
termini la vivente “immagine di Dio” ( 2 Cor. 4,4 ) è il Figlio suo unigenito,
che “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” ( Gv. 1,4 ). Così il
Padre “che nessuno ha mai visto” (Gv. 1,18 )
possiede nel suo Figlio un “volto” , attraverso il quale Egli si rivolge al
mondo, si rivela.
2- La rappresentazione di Genesi
18
Gn. 18,1-10 : Poi il Signore apparve a lui (Abramo) alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva
all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e
vide tre uomini che stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro
incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra dicendo: “Mio
Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti
dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e
accomodatevi sotto l’albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane
e rinfrancatevi il cuore; dopo potrete proseguire, perché è ben
per questo che voi siete passati dal vostro servo”.
Quelli dissero:”Fa pure come hai detto”.
Allora Abramo andò in fretta nella tenda,
da Sara, e disse:”Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne
focacce”. All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono
e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte
fresco insieme con il vitello che aveva preparato, e li porse a loro. Così,
mentr’egli stava in piedi presso di loro
sotto l’albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero:”Dov’è Sara,tua
moglie?”. Rispose:”E’ là, nella tenda “.
Il Signore rispose:”Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua
moglie, avrà un figlio”.
Intanto Sara stava ad ascoltare
all’ingresso della tenda ed era dietro di lui.
* * *
Pittori e musicisti dei primi secoli
dell’era cristiana, basandosi anche sulle indicazioni dei Padri della Chiesa,
vedevano nei tre Ospiti di Abramo, di cui parla il capitolo 18 della Genesi,
una manifestazione della Trinità.
Il pittore russo Andrei Rublev riferendosi
proprio all’Ospitalità di Abramo ha creato la famosa icona della Trinità
, la quale è nello stesso tempo sublime interpretazione teologica e grandissimo
capolavoro pittorico. Essa da una parte è una creazione originale, ma
dall’altra rappresenta il culmine di una evoluzione iconografica più che
millenaria, perché è il riflesso artistico di una lunga serie di
interpretazioni di Gn. 18. Infatti le rappresentazioni iconografiche dei tre
personaggi in
visita da Abramo risalgono ai
primordi dell’iconografia cristiana e col tempo sono diventate sempre più
numerose specialmente nella Chiesa Orientale.
Purtroppo, però, relativamente al primo
millennio esistono solo rappresentazioni appartenenti all’occidente latino,
poiché nell’oriente greco innumerevoli opere andarono distrutte durante le
lotte iconoclastiche ( 730-843 ).
Lo storico della Chiesa Eusebio di
Cesarea riferisce che già prima di Costantino ( 280-337) esisteva nel
boschetto di Mamre un’immagine dipinta dei tre visitatori di Abramo. Di questa sarebbe
pervenuta una copia del V secolo, consistente in un medaglione di pietra
calcarea, nel quale si possono riconoscere tre figure giovanili,
avvolte in chitone e clamide, ritratte frontalmente, che siedono dietro ad un
tavolo a tre gambe, su cui si distinguono tre pani a forma di stella. Ciascuno
regge nella mano sinistra una coppa. A sinistra del gruppo s’innalza un albero,
da cui pende una gabbia per uccelli. Nel campo inferiore si distinguono una
forma cilindrica, interpretata come il pozzo di Abramo, un vitello, una figura
maschile ed una femminile. Nonostante tutti questi elementi, non è però certo
che si tratti di una rappresentazione cristiana: infatti potrebbe essere una raffigurazione pagana,
che riprende tradizioni ebraiche locali intorno alla figura di Abramo
La più antica rappresentazione certamente
cristiana di Gn.18 finora conosciuta è un affresco risalente alla prima metà
del IV secolo, scoperto nel 1955
a Roma, nelle catacombe sulla via Latina. Vi
è raffigurato Abramo che siede sotto un albero; a destra davanti a lui, su
un’altura circolare, stanno tre giovani in bianche vesti. Abramo saluta con la
destra e i tre giovani rispondono allo
stesso modo. Accanto ad Abramo si nota un vitello, che simboleggia l’ospitalità
non ancora offerta. I tre giovani sono quasi perfettamente identici ( per
dimensioni,abbigliamento ed atteggiamento ) e sono strettamente accostati tra
loro , quasi per dare l’impressione della loro “unità”. Siamo quindi in
presenza di una interpretazione del testo biblico e non semplicemente di fronte
ad una sua riproduzione figurativa.
Nella Basilica di S. Maria Maggiore in
Roma vi è uno splendido mosaico della metà del V secolo, nella zona
superiore del quale è rappresentato Abramo che , inginocchiandosi, saluta tre
giovani vestiti di bianco, sulla cui testa c’è il nimbo. La figura centrale è
contenuta in una mandorla, per cui si distingue chiaramente dai suoi compagni .
Nella zona inferiore a sinistra si nota la tenda di Abramo, sotto forma di
casa, davanti alla quale Sara prepara i pani e Abramo dà le disposizioni per
l’accoglienza; a destra i tre giovani siedono uno accanto all’altro dietro un
tavolo rettangolare, su cui sono disposti tre pani triangolari; davanti al
tavolo è posto un recipiente per le abluzioni (v. Gn.18,4); a sinistra Abramo,
all’ombra di un albero, porge agli ospiti il vitello intero su un vassoio. I
tre giovani seduti sono quasi uguali , si differenziano solo nei gesti: quello
di sinistra leva la mano benedicente e indica la figura centrale, che a sua
volta indica il vitello, mentre quella di destra indica con il dito i pani. E’
evidente che siamo di fronte ad una ben ponderata interpretazione dell’episodio
biblico narrato in Gn. 18 .
Anche in un grande mosaico della metà del
VI secolo, che si trova nella Chiesa di S. Vitale a Ravenna, i tre giovani si
rassomigliano tra di loro salvo che nei gesti : quello di centro e quello di
destra levano la destra benedicente, mentre quello di sinistra e quello di
destra indicano tre pani a forma di disco contrassegnati da una croce; il
vitello è presentato da Abramo su un vassoio.
Circa seicento anni dopo, cioè alla metà
del XII sec., la maniera di raffigurare il racconto di Gn.18 non era
sostanzialmente cambiata in Occidente, come si può rilevare nel mosaico della
Cappella Palatina del Palazzo dei
Normanni di Palermo, nel quale i tre angeli sono quasi perfettamente
eguali nella mimica e nei gesti . Uno di essi però, quello che sta a sinistra
nella scena del saluto e al centro nella scena dell’ospitalità, ha l’aureola
bordata di rosso che lo distingue lievemente dagli altri due . Esso è anche
l’unico che rivolge lo sguardo direttamente allo spettatore: ciò non è
certamente casuale, ed è rilevabile anche nei mosaici di S. Maria Maggiore a
Ravenna. Invece sono una novità le scritte in latino: “Abramo accoglie i tre
Angeli come ospiti”; “Abramo vede tre
Angeli e ne adora uno”.
In un altro mosaico, che è nel Duomo di
Monreale (figg. 6A, 6B ) e risale alla fine del XII sec. , i tre angeli si rassomigliano
in maniera sorprendente, ma quello di centro stringe nella sinistra il rotolo
di un libro. Il significato è evidente: con altri mezzi (il rotolo invece della
mandorla o del nimbo bordato di rosso ), qui come in S. Maria Maggiore e nella
Cappella Palatina, si vuole indicare che uno dei tre visitatori d i Abramo era”
il Signore “. Infatti in una delle scritte esplicative si legge:
“Abramo riceve gli Angeli come
ospiti. E, benché ne veda tre, ne adora uno”.
Nei mosaici di Palermo e Monreale tutti e
tre i visitatori sono identificati inequivocabilmente come Angeli per mezzo
delle ali e con la conferma delle scritte esplicative. Ma proprio le scritte
informano che i tre Visitatori non sono intesi solo come Angeli. C’è quindi un
certo contrasto tra
forma e contenuto, che è senza
dubbio dovuto all’influenza dell’Oriente bizantino. Infatti in una miniatura
facente parte di un salterio greco dell’XI sec., cioè anteriore di
almeno un secolo rispetto ai predetti mosaici, gli elementi figurativi sono i
soliti (una tavola imbandita, i tre Angeli Sara dubbiosa sulla porta, Abramo
con i suoi doni, e in primo piano il vitello ), eppure è tutto diverso!
Gli ospiti non siedono in fila e l’angelo
di centro è più grande degli altri,
diverso è il colore della sua veste , lui solo reca un rotolo di libro nella
sinistra, mentre la destra si leva in gesto benedicente, lui solo porta il
nimbo crociato. E’ evidente che siamo di fronte ad una nuova tipologia, poiché
il tema dell’Ospitalità di Abramo in Orienta si era già liberato dal suo
diretto contesto veterotestamentario (ciclo di Abramo ) e cominciava a condurre
una vita propria. Pertanto le rappresentazioni del tema stesso prodotte in
Sicilia nel XII sec. erano già, per così dire, piuttosto arcaiche.
Alla nuova tipologia appartiene senza
dubbio la rappresentazione del 1230, intitolata “La Trinità ”,che è inserita
nella porta meridionale della Chiesa della Natività di Maria a Suzdal’, in
Russia: si tratta di una formella di cm 31x cm23. In essa l’Angelo
tiene nella mano sinistra un rotolo di libro, mentre gli altri due reggono il
consueto bastone del messaggero; sulla tavola ci sono tre calici ; l’Angelo al
centro benedice la tavola quello di sinistra indica la coppa in mezzo alla
tavola, mentre quello di destra stende la mano benedicente su uno dei tre pani.
Dello stesso tipo è anche un affresco di Teofane il Greco del 1378, che si trova nella Chiesa della
Trasfigurazione di Cristo a Novgorod .In esso i tre Angeli sono seduti intorno
ad una tavola-altare ( cioè a semicerchio, come si usava in Oriente ) ; al
centro della mensa si trova un grosso recipiente a forma di coppa , contenente
la testa del vitello; sulla tavola ci
sono delle posate e due pani; il terzo pane è nelle mani di Sara.
Impressionante è la raffigurazione degli Angeli. Quello centrale, notevolmente
più grande, ha il rotolo del libro nella mano sinistra e con le gigantesche ali
spalancate domina la superficie pittorica, quasi avvolgendo gli altri due Angeli
:senza dubbio esso simboleggia il Cristo.
Alla fine del XIV sec. si va affermando un terzo tipo
iconografico: attorno ad una tavola rettangolare riccamente imbandita
siedono tre Angeli; la rappresentazione frontale, già superata con
i due Angeli di profilo, viene
ancora moderata, perché anche l’Angelo centrale appare leggermente girato su se
stesso e col capo chino.
Questo lo si nota benissimo nell’icona
bizantina della fine del XIV sec., già facente parte di un’iconostasi ed ora
conservata nel museo Benaki di Atene. In essa la figura centrale non è per niente differente dalle altre
due: tutti e tre gli Angeli si
somigliano, specialmente per il colore delle vesti, e si possono distinguere solo
per la gestualità e la mimica; gli Angeli ai lati non sembrano proprio figure secondarie, poiché la loro
gestualità è viva e personalizzata. Abramo e Sara non sostano davanti e lo
sfondo non reca gli elementi del racconto biblico ( casa, albero, roccia ), essendo costituito
da quinte architettoniche riccamente sviluppate .
All’inizio del XV sec.( 1411 )
appartiene la grande icona di cm.161 x cm.122, conservata nel museo
di Sergiev Posad ( già Zagorsk ), e proveniente dal Monastero della
Trinità di S. Sergio che è nella stessa città. In essa, come nei modelli greci,
la gestualità dei tre Angeli è determinata dagli oggetti collocati davanti a
ciascuno; l’Angelo al centro è leggermente chinato verso quello di sinistra ,
tuttavia non volge lo sguardo verso lo spettatore, come in detti modelli, ma
verso l’Angelo di sinistra. Invece delle quinte architettoniche c’è la roccia
sulla sinistra, l’albero al centro e la casa sulla destra. Questa imponente
icona, ancora oggi di grande effetto, si può dire che rappresenti l’ultima e la
più importante tappa della evoluzione iconografica che precede l’opera di
Rublev.
3- Evoluzione iconografica ed interpretazione teologica
Da quanto già
detto risulta evidente che la
rappresentazione di Gn. 18 nel corso dei secoli ha attraversato fasi
successive.
In un primo
momento le tre figure sono state sempre rappresentate in atteggiamento
frontale, senza tutti i particolari che le distinguessero ( rappresentazione veterotestamentaria ).
Solo
gradualmente hanno acquistato oltre al nimbo le ali e il bastone. Attorno al
1000 l’Angelo centrale viene messo chiaramente in risalto rispetto agli altri
con una serie di attributi ( nimbo crociato, rotolo del libro , proporzioni
della figura e colore della veste ) al fine di simboleggiare il “Signore”, cioè
il Cristo (rappresentazione cristologia ).
Successivamente
si rinuncia alla rappresentazione
frontale degli Angeli di destra e di sinistra e compare il titolo “la Trinità . In epoca
tardo-bizantina anche per l’Angelo centrale si rinuncia alla rappresentazione
centrale e si introduce in tutte le tre figure una particolare mobilità,
evidenziando così anche i rapporti reciproci.
Comunque alla
base della evoluzione iconografica c’è una sempre più chiara interpretazione
teologica,nella quale è possibile distinguere tre momenti: angelico,
cristologico e trinitario.
Rappresentazione
angelica è quella delle Catacombe sulla via Latina a Roma, nella quale i tre
visitatori di Abramo sono raffigurati come giovani imberbi in bianche vesti,
senza aureola, senza ali, ma del tutto simili agli Angeli dipinti in un altro
affresco, che trovasi nelle stesse Catacombe e rappresenta la Scala di Giacobbe ( v. Gn.
28,12 ) . Tuttavia tale rappresentazione è angelogica nella forma, ma sembra
non esserlo nel contenuto a causa della somiglianza quasi perfetta dei tre
soggetti. Infatti la triplice ripetizione di un determinato simbolo è stata fin
dall’antichità uno degli strumenti stilistici preferiti per rappresentare la Santa
Trinità. Quindi l’affresco delle Catacombe è formalmente
angelogico , ma
contenutisticamente può essere inteso in senso trinitario.
Tale tipo
iconografico diventerà una costante nelle successive rappresentazioni del
capitolo 18 della Genesi. Infatti nei secoli V e VI i tre Angeli portano già le aureole, e dal
secolo XI anche le ali e il bastone del
messaggero. Però nessuna di tali rappresentazioni va intesa contenutisticamente
in senso angelogico. A questo proposito il mosaico di Monreale chiarisce ogni
cosa, poiché tutti e
tre i Visitatori sono
rappresentati come Angeli, ma quello centrale è caratterizzato come il Logos
(
Verbo fatto carne ), poiché regge un rotolo di libro. Inoltre è molto
significativa la scritta “Abramo accoglie tre Angeli come ospiti ; Abramo vede
tre Angeli e ne adora uno “,che potrebbe essere stata ispirata da S. Ambrogio
(morto nel 397 ) secondo il quale Abramo, nonostante la somiglianza degli
ospiti , “si appellò …ad uno,
chiamandolo “Signore” ,offrendo ai tre un unico onore e significando un’unica
potenza. Infatti non la dottrina bensì la Grazia parlava in lui. E credeva di più colui che
non era stato istruito , rispetto a noi che lo siamo stati….”.
Quindi la Chiesa primitiva già dava a
Gn.18 una interpretazione cristologia. D’altronde nel versetto 1 è detto che”il
Signore”apparve ad Abramoalle querce di Mamre ; nel versetto successivo si
parla di “tre uomini” a cui Abramo si rivolge chiamandoli “mio Signore”. Quindi
è evidente che il patriarca ha avuto un’apparizione divina, ma nella concezione
cristiana, come già detto nella Premessa, l’immagine di Dio invisibile (il
Padre )è Cristo (v. Col. 1,15 ) , Egli è “il Signore” (At. 2,36 ) .Da ciò
deriva che le teofanie dell’Antico Testamento vengono interpretate come
cristofanie.
Tuttavia il tipo cristologico con la sua identificazione univoca del Figlio
alla lunga non poteva soddisfare completamente la visione trinitaria.
Nel corso dei secoli gli iconografi
rispondono in vari modi all’esigenza di una maggiore armonia tra immagine e
titolo. Si torna così a raffigurare i tre angeli tanto somiglianti da renderli
praticamente indistinguibili, come era avvenuto nel primo tipo
iconografico (v.figg. 2-4).
E’ dunque evidente l’intento degli
iconografi di rendere visibile “nell’Immagine” dell’episodio biblico l’unità
delle essenze specifiche delle tre Persone della Santa Trinità. Al contrario si
rinuncia a rendere in qualche modo visibili le proprietà caratteristiche delle
stesse Persone, per cui diventa superfluo indicare chi sia il Padre, chi il
Figlio e chi lo Spirito Santo :L’icona della Trinità va assumendo un carattere
astratto.
- “La Trinità ”
di Andrei Rublev
Il complesso antefatto teologico - iconografico
accennato nei paragrafi precedenti è stato certamente determinante per l’opera
di Andrei Rublev , quando tra il1422 e il1427 dipinse”La Trinità ” per l’iconostasi
della Chiesa del Monastero della Trinità
, voluto da S. Sergio a Zagorsk
( ora Sergiev Posad ). Egli senza
dubbio conosceva altre rappresentazioni della S. Trinità e particolarmente
quella di Teofane il Greco e l’altra che dal 1411
era nella stessa Chiesa del Monastero
di Zagorsk .
Il capolavoro di Rublev è un’icona delle dimensioni di cm. 112 x cm.
142 e dal 1929
si trova nella galleria Tret’jakov.
Come già detto, gli iconografi
dovevano tener presenti e riprodurre fedelmente i modelli immutabili tramandati
dalle antiche tradizioni. Confrontando “La Trinità ”
di Rublev con le icone che l’hanno preceduta, salta subito all’occhio
come essa non sia semplicemente una riproduzione dell’uno o dell’altro tipo.
Lo schema compositivo è
essenzialmente quello del tipo trinitario, tuttavia presenta caratteristiche
proprie e significative, per esempio :
- l’Angelo centrale non rivolge lo sguardo
verso l’osservatore, ma verso l’Angelo di sinistra;
- gli Angeli laterali hanno le stesse
dimensioni di quello centrale;
- le vesti dei tre Angeli sono caratterizzate
in modo individuale ed inconfondibile;
- il tavolo è piccolo e le tre Persone sono
così ravvicinate che accanto al calice non c’è posto per
altre stoviglie; al calice accenna con la
propria destra l’Angelo che è al centro;
-
l’Angelo di sinistra leva la mano destra indicando e benedicendo, in
direzione dell’Angelo di destra,che a sua volta abbassa la sua destra sulla
tavola: un movimento che si ripete nella inclinazione del suo capo;
- il gioco delle mani non è motivato da
oggetti collocati sul tavolo, cioè la gestualità ha acquistato chiaramente un
nuovo significato.
Quindi Rublev non ha più creato solamente,
come nel tipo cristologico, una figura individuale con due accompagnatori,
oppure,come nel caso ideale del tipo trinitario, tre figure uguali,
intercambiabili, bensì tre personalità inconfondibili. Inoltre per quanto
riguarda lo sfondo si rifà al contesto biblico e lo riduce all’essenziale,
associando l’Angelo di sinistra ad una casa , quello del centro ad un albero e
quello di destra ad una roccia. In questo modo i vari elementi vengono elevati
dalla sfera narrativa a quella di simbolo.
Il fatto che l’angelo centrale e quello di
destra siano chinati verso quello di sinistra e volgano su di lui lo sguardo,
mentre quello di sinistra guarda quello di destra, non solo origina un
intreccio di rapporti tra le tre Persone , ma l’Angelo di sinistra diviene il
punto di riferimento dell’intera composizione.
L’Angelo di sinistra si distingue molto
chiaramente dagli altri due per il portamento, la mimica e la gestualità, oltre
che per la foggia ed i colori della sua veste, ed è il solo a sedere eretto,
mentre gli altri due si chinano verso di lui. Egli simboleggia dunque il Padre,
perciò ha la clamide ( mantello )
color porpora chiaro, rifinita
con tratteggio dorato, che avvolge quasi completamente la sua figura, lasciando
intravedere solo una piccola porzione dell’azzurro lucente del suo chitone
(tunica ).E al Padre allude la casa che si innalza dietro di lui:”nella casa
del Padre mio vi sono molti posti (Gv. 14,2
e segg. ).
L’Angelo centrale ha una veste che per
forma e colore lo identifica con il
Figlio, cioè con il Cristo .Infatti il chitone color porpora scuro,
decorato con due bande dorate (delle quali è visibile solo una ) , allude a
“Colui che è stato sacrificato per noi”(Lc. 22,19 ); la clamide, drappeggiata
in modo da lasciare libero il braccio destro è di colore azzurro denso e
rappresenta il mantello del profeta. Il Figlio, indicando con la destra la
coppa contenente il vitello sgozzato, allude al suo sacrificio volontario.
L’albero che si erge dietro di lui è insieme simbolo della vita e legno della
croce.
Anche l’Angelo di destra, che simboleggia
lo Spirito Santo, si china verso il Padre. Come il Figlio anch’egli indossa la
clamide in modo da lasciare libero un braccio, che però è il sinistro e non il
destro. Ciò è conforme all’antica dottrina patristica ( S.Ireneo ), secondo il
quale il Figlio e lo Spirito Santo sono le “mani”, rispettivamente destra e
sinistra, con le quali il Padre compie ogni cosa. Come nel Figlio, è ben
visibile l’azzurro celeste, che qui è il colore del chitone. Ciò significa che
lo Spirito, che il Figlio ci ha inviato
dal Padre come”l’altro Paraclito” ( l’altro Consolatore )
(v. Gv. 14,16 e
15,26 ), si è rivelato a noi come il Figlio stesso. La clamide è color
verde chiaro, il colore liturgico della Pentecoste, in occasione della quale
anche le Chiese Orientali vengono adornate con rami verdi. D’altronde il verde
è il simbolo della vita nuova , che “il datore di vita”, cioè lo Spirito, come
si dice nell’Ufficio di Pentecoste, genera e fa crescere. La roccia appena
abbozzata alle spalle dell’Angelo di destra simboleggia il cosmo.
I corpi dei tre angeli, leggeri e snelli,
sono altissimi (14 volte la testa, contro le 7 della
dimensione normale). Il
dispiegamento delle ali dei tre e la maniera schematica di trattare il
paesaggio danno l’impressione immediata dell’immateriale dell’assenza di peso.
La leggerezza vivace dell’insieme è
accentuata dai colori, che senza marcati effetti policromi raggiungono una
ricchezza ineguagliabile.
L’assenza dell’ombra e l’oro dello sfondo
indicano la divinità, la sua sovrabbondanza: ogni frammento dell’icona non solo
è illuminato, ma emette la sua propria luce che sembra scaturire da radici
segrete.
Le figure sono presentate di tre quarti,
così la larghezza delle spalle diminuita e la linea flessibile e plastica
scivola seguendo i profili allungati, con un’eleganza tutta celeste.
I contorni esprimono il movimento molto
più che i volumi. Il movimento tra le Persone divine,il dialogo
intertrinitario, parte dal Figlio: Egli guarda ,supplica il Padre, mentre la
sua destra indica “il calice della sua passione” , e sopra il calice lo sguardo dello Spirito.
Questo sguardo e il gesto alludono alla preghiera di mandare il Paraclito, che
ora è un fatto possibile grazie al sacrificio volontario del Figlio. Il Padre
esaudisce la preghiera e, dirigendo lo sguardo verso lo Spirito (che gli siede
di fronte, dietro l’altare ), con la destra gli impartisce la benedizione per
il completamento dell’opera salvifica del Figlio. Lo Spirito Santo china il
capo in segno di umiltà ed accettazione, sottolineando quest’ultima col gesto
della destra abbassata.
In questo modo Rublev nella sua icona ha
rappresentato anche l’invio da parte del Padre della Persona dello Spirito
Santo, della cui venuta, grazie al sacrificio volontario del Cristo, noi
facciamo memoria a Pentecoste.
Egli , realizzando quel che sembrava irrealizzabile, ci ha dato un’immagine tutta umana e tutta spirituale al tempo stesso, in cui la materia è divenuta veicolo trasparente dello Spirito.
Tuttavia quasi ogni
dettaglio della composizione si può far
risalire a modelli precedenti. Pertanto si può affermare che la genialità di
Rublev consista nel fatto che egli, proprio raccogliendo l’antica tradizione
iconografica della chiesa, è pervenuto ad una profondità e ad una chiarezza che
non erano mai state raggiunte prima e che non saranno mai raggiunte neanche in seguito.
Molto opportunamente quindi il Concilio
dei Cento Capitoli nel 1551 “canonizzò” l’opera del grande iconografo;
infatti, a proposito dell’immagine della Trinità, stabilì che ”...i pittori
dovessero dipingere le icone secondo modelli antichi, come avevano fatto Andrei
Rublev ed altri famosi pittori, e
aggiungere la scritta “Santa Trinità”, e non mutare nulla per loro decisione”.
Riferimenti:
- Trasfigurazione di M. Giovanna Muzj
(Milano 1987),
- L’icona/immagine dell’invisibile di Egon Sendler (
Milano 1985),
- Teologia della bellezza di P. N.
Evdokimov (Milano 1990)
- Lo
Spirito Consolatore di
G. Bunge (Milano 1995).
Pietro Congedo