lunedì 24 dicembre 2012

Ricordo di Donato Moro a 10 anni dalla morte



Il 25 luglio 2007, in S. Cesarea Terme, presso l’Oasi Martiri Idruntini, nel corso dell’annuale Convegno-Studio della Pro Civitate Cristiana, Donato Moro a dieci anni dalla sua morte è stato commemorato dal prof. Donato Valli. Questi per tratteggiare la figura di Moro, uomo, si è riferito ad una personale esperienza giovanile risalente a 50 anni fa, quando, laureato da poco, partecipò al concorso per un posto di “ordinatore” presso la Biblioteca Provinciale “N.Bernardini” di Lecce. In tale circostanza egli ebbe modo di apprezzare la notevole statura morale e la grande onestà intellettuale di Donato Moro, che in qualità di presidente della Commissione Esaminatrice, seppe indurre la stessa a valutare con equità i concorrenti, per cui vinse il più bravo e non il più raccomandato.
Egli ha, quindi, definito Moro uomo semplice e povero, la cui esistenza è stata caratterizzata da sensibilità, umanità e incapacità di risentimenti, perciò era amico di tutti. Per meglio mettere in evidenza tali doti, ha poi letto una poesia in dialetto magliese di Nicola G. De Donno, intitolata “Donatu Moro”, della quale si trascrivono qui di seguito le due ultime terzine:
“…La mente toa, parole nu ne vinni, / nu ncucchi sordi, nu  tte tramenzani / cu  ttiri voti, nu ssali e nu scinni  // scale. L’oi  bbene a tutti li cristiani, / te aprene le razze li piccinni, / l’animali te lliccane li mani. ”
[La tua mente, parole non ne vendi, / moneta non ne ammucchi, né intrallazzi a tirar voti, non sali e non scendi //  scale. Ed a tutti gli uomini vuoi bene, / i bambini t’aprono le braccia, / gli animali ti leccano le mani.]

Passando alla presentazione di Moro, poeta, il prof. Valli ha ricordato che lo stesso cominciò a pubblicare sporadicamente i suoi versi su riviste e giornali periodici. Infatti le prime quattro poesie comparvero nel 1963 sulla rivista  bimestrale di letteratura, arti, scienze ”Dialoghi” (anno XI n° 1-2, Roma, 1963), altre seguirono dieci anni dopo sulla rivista bimestrale “ U T “, diretta da Aldo Bello (anno 1°, n° 2, Matino, 1973), successivamente altre ancora sul quindicinale “il galatino”, diretto da mons. Antonio Antonaci, e sul periodico magliese  “Tempi d’oggi ”, diretto da Nicola G. De Donno.

Dopo queste saltuarie pubblicazioni uscì il volume “Segni nostri” (ed. Lacaita , Manduria, 1993), la più importante raccolta di liriche di Donato Moro, con la prefazione di Oreste Macrì.
Quattro anni dopo, poco prima della sua morte, ci fu la pubblicazione, a cura del suo compagno di studi nella Scuola Normale di Pisa prof. Luigi Blasucci, di un’altra raccolta, intitolata “A Giovanna detta anche Girmi” (ed. M. Pacini Fazzi, Lucca, 1997). Dopo la sua morte, sono state pubblicate le raccolte  “Dicembre è ritornato” (supplemento del periodico “Presenza Taurisanese”, Taurisano, 1998) e, a cura del prof. Gino Pisanò,  “Antologia Poetica” (ed. M. Congedo, Galatina, 2004). Quest’ultimo volume contiene anche poesie  inedite e alcune addirittura non portate a termine.            
Numerose liriche di Donato Moro sono il risultato di una lunga incubazione: talvolta sono trascorsi anni ed anni tra la prima stesura e quella definitiva.

Dai versi del Nostro, secondo Valli, emergono:

-  il senso morale della poetica;
-  il senso dell’amore vissuto più letterariamente che come  passione;
-  un’impostazione, che diventa impressionistica per quel che riguarda il Salento.
Soprattutto nelle prime liriche (risalenti agli anni 50) è presente il riferimento al mondo classico ( catulliano, oraziano, ecc. ), ma in un contesto moderno, che ha ben assorbito l’antica tradizione letteraria nella fattura del verso. Quindi, sostiene Valli, Donato Moro è un classico in veste moderna: egli è preso dal ritmo, la manipolazione della musica lo affascina, ma nei suoi versi non c’è nulla di forzato, perché il modello classico rappresenta per lui il mondo della serena gioia, dell’armonia dei contenuti, della consolazione dei concetti. 

Egli non gioca sulla forma, cioè sul formalismo poetico, né sulle sonorità esterne o sulle assonanze, ma gioca soprattutto sui contenuti.

Fra i temi preferiti dal Nostro c’è la famiglia (es.: il padre, il padre santo, ecc.). Proprio la santità del padre è un tratto di natura antropologica presente nella poesia meridionale del secolo scorso, per esempio in quella di Rocco Scotellaro, Leonardo Sinisgalli , Alfonso Gatto e di altri. Ma questa poesia, proprio perché insiste su valori morali di vecchia tradizione, come la santità della famiglia e il rispetto della morte, è stata, secondo Valli, oggetto di discriminazione, infatti difficilmente è stata accettata nelle antologie, che vanno per la maggiore e sono stampate dalle grandi Case Editrici del Nord. Detti valori, che sono stati la forza della poesia meridionale degli anni 50, hanno continuato ad essere presenti nella poesia di Donato Moro.

Il relatore sostiene che in “Segni Nostri” (cioè segni della nostra terra, il Salento), il più valido libro del Poeta, c’è una forte coesione di pensiero e di sentimento, cioè un forte senso della moralità della scrittura, basata su un sottofondo di onestà intellettuale, ormai scomparsa.

Moro rifiuta la poesia come gioco ( sul tipo dei testi delle canzoni), perchè crede in una poesia  fuori dei formalismi, fuori dal privilegio accademico del significante, involucro della poesia, mentre  nelle sue liriche tutto è basato sul significato delle parole.

Una poesia di questo genere, che non trova più spazio nei libri di letteratura per le scuole, ha ,secondo Valli, i suoi nuclei espressivi nel realismo, inteso non come impianto sociologico e politico (neorealismo) , ma come accettazione della realtà nella sua essenza, nobilitata attraverso una forte impressione di natura surreale. 

Quindi il Poeta non ignora le conquiste nel campo dello sperimentalismo poetico e dell’ermetismo.
La fusione di questi nuclei arricchisce i dati realistici, accumulando su di essi suggestioni, richiami, sentimenti, riferimenti che istituiscono una relazione tra la realtà e la non realtà, tra quello che si vede e quello che c’è  e  non si vede, tra la storia e la metastoria e, in definitiva, tra la vita e la morte. Questo ovviamente suppone un fondo di natura filosofica.

Valli sostiene altresì che per la poesia di Donato Moro sono modelli visibili i due maggiori poeti italiani del ‘900, Eugenio Montale e Giuseppe Ungaretti, per quel che essi hanno rappresentato: il primo come corifeo degli oggetti, il secondo della parola. Ciò è evidente, per esempio, nel largo uso che il Nostro fa tanto del futuro come tempo onirico della speranza, quanto della formula   analogica fatta di due sostantivi (es. : “conca di silenzio” invece di 'conca silenziosa').

Il relatore conclude con una notazione sui termini dialettali che sono presenti nei versi di Moro, per es.: “giacco” per  ‘gilet’, “cuti” per ‘rocce’, “ farcone” per ‘finestrino’, ecc.. Con l’inserimento del dialetto in un impasto tutto di natura letteraria, il Poeta impreziosisce la poesia dandole un arcaismo terraneo. Il suo è un bilinguismo camuffato, infatti non si tratta solo di un dato linguistico, ma anche di una profonda meccanica poetica: è un modo per far entrare il Salento  nella poesia, un Salento senza tempo,simbolo di un’età che non tramonta.

Dopo la relazione del prof. Donato Valli, il milanese prof Roberto Carusi ha letto magistralmente le seguenti poesie di Donato Moro: ‘La mia terra’,’ Il mio sogno è l’America’,’ Il polparo ‘ e ‘Santa Lucia ’ (tratte dal volume ‘Tempi nostri ’),   ‘ Tra poco la pioggia ‘, ‘ Cave di Mondonuovo’ , ‘ Disperazione ‘e      ‘ Veli il pescatore ‘ (tratte dal volume ‘Antologia poetica ’).
A conclusione della serata la vedova Moro, prof.ssa Maria Marinari, ha fatto a ciascuno dei presenti un graditissimo omaggio, donando una copia del libro  ‘ Antologia poetica ’.  

 Il prof. Donato Valli con la sua relazione ha brillantemente ricordato il poeta Donato Moro, perché proprio “…nella poesia, più che nell’insegnamento, e forse più che nelle stesse ricerche storico letterarie portate a termine,…Donato ha realizzato le sue vere potenzialità, imponendosi…come una delle voci poetiche più alte e più pure della sua terra” ( Luigi Blasucci ).  
Ma, secondo il sottoscritto, sarebbe quanto mai opportuno,  in occasione di una eventuale celebrazione del 10° anniversario della morte di Donato, da farsi a Galatina, sua città, ricordare il Nostro, oltre che come poeta, anche come autore di importanti opere storico-letterarie, e particolarmente di: “Per l’autentico Antonio De Ferraris Galateo ” (ed. Ferraro, Napoli, 1990 ) e “Hydruntum / fonti documenti e testi sulla vicenda otrantina del 1480”,in 2 tomi, a cura di Gino Pisanò  (ed. M. Congedo, Galatina, 2002 ).

                                                                                 Pietro Congedo