Il 25 luglio 2007, in S. Cesarea
Terme, presso l’Oasi Martiri Idruntini, nel corso dell’annuale Convegno-Studio
della Pro Civitate Cristiana, Donato Moro a dieci anni dalla sua morte è stato
commemorato dal prof. Donato Valli. Questi per tratteggiare la figura di Moro,
uomo, si è riferito ad una personale esperienza giovanile risalente a 50 anni
fa, quando, laureato da poco, partecipò al concorso per un posto di
“ordinatore” presso la Biblioteca Provinciale “N.Bernardini” di Lecce. In tale
circostanza egli ebbe modo di apprezzare la notevole statura morale e la grande
onestà intellettuale di Donato Moro, che in qualità di presidente della
Commissione Esaminatrice, seppe indurre la stessa a valutare con equità i
concorrenti, per cui vinse il più bravo e non il più raccomandato.
Egli ha, quindi, definito Moro
uomo semplice e povero, la cui esistenza è stata caratterizzata da sensibilità,
umanità e incapacità di risentimenti, perciò era amico di tutti. Per meglio
mettere in evidenza tali doti, ha poi letto una poesia in dialetto magliese di
Nicola G. De Donno, intitolata “Donatu Moro”, della quale si trascrivono qui di
seguito le due ultime terzine:
“…La mente toa, parole nu ne vinni, / nu ncucchi sordi, nu tte tramenzani / cu ttiri voti, nu ssali e nu scinni // scale. L’oi bbene a tutti li cristiani, / te aprene le razze li piccinni, /
l’animali te lliccane li mani. ”
[La tua mente, parole non ne
vendi, / moneta non ne ammucchi, né intrallazzi a tirar voti, non sali e non
scendi // scale. Ed a tutti gli uomini
vuoi bene, / i bambini t’aprono le braccia, / gli animali ti leccano le mani.]
Passando alla presentazione di
Moro, poeta, il prof. Valli ha ricordato che lo stesso cominciò a pubblicare
sporadicamente i suoi versi su riviste e giornali periodici. Infatti le prime
quattro poesie comparvero nel 1963 sulla rivista bimestrale di letteratura, arti, scienze ”Dialoghi” (anno XI n°
1-2, Roma, 1963), altre seguirono dieci
anni dopo sulla rivista bimestrale “ U T “, diretta da Aldo Bello (anno 1°, n°
2, Matino, 1973), successivamente altre ancora sul quindicinale “il galatino”,
diretto da mons. Antonio Antonaci, e sul periodico magliese “Tempi d’oggi ”, diretto da Nicola G. De
Donno.
Dopo queste saltuarie
pubblicazioni uscì il volume “Segni nostri” (ed. Lacaita , Manduria, 1993), la
più importante raccolta di liriche di Donato Moro, con la prefazione di Oreste
Macrì.
Quattro anni dopo, poco prima
della sua morte, ci fu la pubblicazione, a cura del suo compagno di studi nella
Scuola Normale di Pisa prof. Luigi Blasucci, di un’altra raccolta, intitolata
“A Giovanna detta anche Girmi” (ed. M. Pacini Fazzi, Lucca, 1997). Dopo la sua
morte, sono state pubblicate le raccolte
“Dicembre è ritornato” (supplemento del periodico “Presenza
Taurisanese”, Taurisano, 1998) e, a cura del prof. Gino Pisanò, “Antologia Poetica” (ed. M. Congedo,
Galatina, 2004). Quest’ultimo volume contiene anche poesie inedite e alcune addirittura non portate a
termine.
Numerose liriche di Donato Moro
sono il risultato di una lunga incubazione: talvolta sono trascorsi anni ed
anni tra la prima stesura e quella definitiva.
Dai versi del Nostro, secondo
Valli, emergono:
- il senso morale della poetica;
- il senso dell’amore vissuto più letterariamente che come passione;
- un’impostazione, che diventa impressionistica per quel che
riguarda il Salento.
Soprattutto nelle prime liriche
(risalenti agli anni 50) è presente il riferimento al mondo classico (
catulliano, oraziano, ecc. ), ma in un contesto moderno, che ha ben assorbito
l’antica tradizione letteraria nella fattura del verso. Quindi, sostiene Valli,
Donato Moro è un classico in veste moderna: egli è preso dal ritmo, la
manipolazione della musica lo affascina, ma nei suoi versi non c’è nulla di
forzato, perché il modello classico rappresenta per lui il mondo della serena
gioia, dell’armonia dei contenuti, della consolazione dei concetti.
Egli non
gioca sulla forma, cioè sul formalismo poetico, né sulle sonorità esterne o
sulle assonanze, ma gioca soprattutto sui contenuti.
Fra i temi preferiti dal Nostro
c’è la famiglia (es.: il padre, il padre santo, ecc.). Proprio la santità del
padre è un tratto di natura antropologica presente nella poesia meridionale del
secolo scorso, per esempio in quella di Rocco Scotellaro, Leonardo Sinisgalli ,
Alfonso Gatto e di altri. Ma questa poesia, proprio perché insiste su valori
morali di vecchia tradizione, come la santità della famiglia e il rispetto
della morte, è stata, secondo Valli, oggetto di discriminazione, infatti
difficilmente è stata accettata nelle antologie, che vanno per la maggiore e
sono stampate dalle grandi Case Editrici del Nord. Detti valori, che sono stati
la forza della poesia meridionale degli anni 50, hanno continuato ad essere
presenti nella poesia di Donato Moro.
Il relatore sostiene che in
“Segni Nostri” (cioè segni della nostra terra, il Salento), il più valido libro
del Poeta, c’è una forte coesione di pensiero e di sentimento, cioè un forte
senso della moralità della scrittura, basata su un sottofondo di onestà
intellettuale, ormai scomparsa.
Moro rifiuta la poesia come gioco
( sul tipo dei testi delle canzoni), perchè crede in una poesia fuori dei formalismi, fuori dal privilegio
accademico del significante, involucro della poesia, mentre nelle sue liriche tutto è basato sul significato
delle parole.
Una poesia di questo genere, che
non trova più spazio nei libri di letteratura per le scuole, ha ,secondo Valli,
i suoi nuclei espressivi nel realismo, inteso non come impianto sociologico e
politico (neorealismo) , ma come accettazione della realtà nella sua essenza,
nobilitata attraverso una forte impressione di natura surreale.
Quindi il Poeta
non ignora le conquiste nel campo dello sperimentalismo poetico e
dell’ermetismo.
La fusione di questi nuclei
arricchisce i dati realistici, accumulando su di essi suggestioni, richiami,
sentimenti, riferimenti che istituiscono una relazione tra la realtà e la non
realtà, tra quello che si vede e quello che c’è e non si vede, tra la
storia e la metastoria e, in definitiva, tra la vita e la morte. Questo
ovviamente suppone un fondo di natura filosofica.
Valli sostiene altresì che per la
poesia di Donato Moro sono modelli visibili i due maggiori poeti italiani del
‘900, Eugenio Montale e Giuseppe Ungaretti, per quel che essi hanno
rappresentato: il primo come corifeo degli oggetti, il secondo della parola.
Ciò è evidente, per esempio, nel largo uso che il Nostro fa tanto del futuro
come tempo onirico della speranza, quanto della formula analogica fatta di due sostantivi (es. :
“conca di silenzio” invece di 'conca silenziosa').
Il relatore conclude con una
notazione sui termini dialettali che sono presenti nei versi di Moro, per es.:
“giacco” per ‘gilet’, “cuti” per
‘rocce’, “ farcone” per ‘finestrino’, ecc.. Con l’inserimento del dialetto in
un impasto tutto di natura letteraria, il Poeta impreziosisce la poesia dandole
un arcaismo terraneo. Il suo è un bilinguismo camuffato, infatti non si tratta
solo di un dato linguistico, ma anche di una profonda meccanica poetica: è un
modo per far entrare il Salento nella
poesia, un Salento senza tempo,simbolo di un’età che non tramonta.
Dopo la relazione del prof.
Donato Valli, il milanese prof Roberto Carusi ha letto magistralmente le
seguenti poesie di Donato Moro: ‘La mia
terra’,’ Il mio sogno è l’America’,’ Il polparo ‘ e ‘Santa Lucia ’ (tratte
dal volume ‘Tempi nostri ’), ‘ Tra poco la pioggia ‘, ‘ Cave di
Mondonuovo’ , ‘ Disperazione ‘e ‘
Veli il pescatore ‘ (tratte dal volume ‘Antologia poetica ’).
A conclusione della serata la
vedova Moro, prof.ssa Maria Marinari, ha fatto a ciascuno dei presenti un
graditissimo omaggio, donando una copia del libro ‘ Antologia poetica ’.
Il prof. Donato Valli con la sua relazione ha brillantemente
ricordato il poeta Donato Moro, perché proprio “…nella poesia, più che nell’insegnamento, e forse più che nelle stesse
ricerche storico letterarie portate a termine,…Donato ha realizzato le sue vere
potenzialità, imponendosi…come una delle voci poetiche più alte e più pure
della sua terra” ( Luigi Blasucci ).
Ma, secondo il sottoscritto,
sarebbe quanto mai opportuno, in occasione
di una eventuale celebrazione del 10° anniversario della morte di Donato, da
farsi a Galatina, sua città, ricordare il Nostro, oltre che come poeta, anche
come autore di importanti opere storico-letterarie, e particolarmente di: “Per l’autentico Antonio De Ferraris Galateo
” (ed. Ferraro, Napoli, 1990 ) e “Hydruntum
/ fonti documenti e testi sulla vicenda otrantina del 1480”,in 2 tomi, a
cura di Gino Pisanò (ed. M. Congedo,
Galatina, 2002 ).
Pietro Congedo